Da piccola, sulle pareti del corridoio di casa erano appese le stampe di due opere di Alfons Mucha. Ritraevano due donne che per me erano creature provenienti da un mondo incantato.
A volte mi fermavo a guardarle e mi aspettavo che prendessero vita da un momento all’altro come nei quadri di Hogwarts, scuola di magia che ancora non esisteva nemmeno nella mente di J.K. Rowlings. Non sapevo chi era l’artista fino a quando non studiai l’Art Noveau alle superiori e non mi accorsi che il nome Mucha compariva sia sulle stampe sia sui libri di testo. Lessi, in quel periodo, anche L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.
Poche settimane fa, mi è stato regalato il libro sulla storia di Alfons Mucha, scritto dal figlio Jiří e tradotto da Tiziana Menotti, presentato a Udine, presso la libreria Tarantola, giovedì scorso.
Ci sono andata, come per collegare i punti di una storia personale da trasporre su questo blog che segue un corridoio di riflessioni alle cui pareti sono appesi sguardi trasversali lasciati dalle tracce del tempo.