Non ho una mente scientifica o, almeno, credo di non averla mai avuta. Eppure, chi possiede tale peculiarità ha tutta la mia stima e fascinazione e, pare più credente di quanto voglia apparire.
Per questo oggi mi trovo a parlarti del libro scritto a quattro mani da Margherita Hack e Pierluigi Di Piazza, intitolato Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete. In questa occasione, tratto un argomenti che non mi sono congeniali ma sui quali mi sono spesso trovata a riflettere.
Ti sembrerà un po’ buffo ma quando da bambina frequentavo le lezioni di catechismo, spesso tornavo a casa piangendo o indignata per le cattiverie narrate nella Bibbia mentre, da adolescente, mi indispettivo nel trovare un immancabile 4 nei compiti di matematica.
«Fortunato, lei la matematica la sa. Solo che quando mi vede un foglio bianco, mi entra in panico»
Diceva, per confortarmi, il mio professore di allora. Personalmente, la percezione della fantasia e della creatività di una mente scientifica spiegata attraverso la logica e la razionalità tuttora mi esalta, ma la frustrazione di non riuscire ad applicare ciò che apprendevo mi faceva sentire ottusa e perdevo fiducia nelle mie capacità.
Logica o fede? Tutto ciò che è duale e contrastante ha la mia attenzione e così mi sono arrischiata a leggere Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete.
Non aspettarti una recensione, vorrei fare qualcosa di diverso e lasciarti a disposizione le impressioni che mi hanno portata ad acquistarlo e a leggerlo.