«Al crepuscolo condussi la bambina che non vede per un tratto di bosco, dove c’erano oscurità e ombre. La condussi verso un’ombra che ci veniva incontro. Le sfiorò le gote con le sue dita vellutate. E ora lei pure predilige le ombre. Svanita la paura che fu».
È con questo passo con il quale inizierei la recensione di Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés, edito Frassinelli. Perché sintetizza un’opera impegnativa.
Un libro che chiede al lettore e alla lettrice tempo, concentrazione e volontà di addentrarsi, senza pregiudizi, nelle ombre della psiche femminile.
Capitolo dopo capitolo, la Estés segnala le tappe che costituiscono il viaggio nella natura selvaggia della donna, allegoricamente rappresentata come un bosco. Un intricato mondo interiore dove l’essenza del femminino genera architetture naturali, antiche, ricche di trappole e rivelazioni.
Il sentiero da seguire è indicato dalle storie raccolte dall’autrice. Favole, fiabe e antiche leggende individuano, studiano e riscoprono la Donna Selvaggia, presente da sempre e per sempre nella donna.
Qui non si ricerca la donna intesa come essere libertino o graziosamente disinibito per favorire convenzioni e piaceri dettati dalla cultura del momento.
Clarissa decanta le capacità interiori del femminino come la forza, la resistenza, la creatività, la sensibilità e l’intuito. Qualità che il gentil sesso si è trovata spesso a reprimere e a non esporre nelle società che vedono nell’elemento maschile l’unico depositario di tali virtù. Con le favole l’autrice espone delle prove concrete che certificano la presenza e l’associazione di tali capacità al Sé femminile.