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I Benandanti di Carlo Ginzburg: stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento

20 Marzo 2023

Libro del mese, I benandanti di Carlo Ginzburg, come si evince dal titolo, è uno studio sulla nascita e la scomparsa della stregoneria e dei culti agrari esistenti in Friuli tra il Cinquecento e il Seicento.

A incuriosirmi, è stato il tema e, in correlazione, la natura folkloristica e il sistema di credenze legate alla lavorazione della terra e alla coltivazione di ciò che serviva per garantire benessere e prosperità alla comunità che se ne prendeva cura.

Mi sembrava una lettura propizia per un blog apparentemente a riposo come questo, dedicato fin dalla sua progettazione, alla letteratura nel particolare e alla cultura umanistica nel generale.

I benandanti di Carlo Ginzburg: cultura, culti agrari e stregonerie in Friuli

I benandanti è uno studio che si occupa di spiegare di chi o cosa si parla e quale ruolo avesse in un dato contesto rendendolo un elemento distinto e, al contempo, caratteristico di una società colta e ignorante, magica e inquisitoria.

Suddiviso in quattro capitoli – Le battaglie notturne, Le processioni dei morti, I benandanti tra inquisitori e streghe, I benandanti al sabba – il libro torna indietro nel tempo, tra il Cinquecento e il Seicento, e racconta ciò che è rimasto a riguardo.

Le battaglie notturne

L’esistenza dei benandanti si scopre nel 1575, anno in cui risale il primo processo di chi non aveva paura di dichiararsi come tale, né conosceva la cultura che si era formata dall’alto creando un nuovo ente di controllo sociale, l’Inquisizione, al quale, peraltro, la figura del benandante risulta nuova e inedita.

Dalle trascrizioni degli interrogatori, emerge che i benandanti hanno origini e caratteristiche ben più antiche e diffuse di quanto si supponesse all’epoca in cui si sono svolti i fatti.

Nati con la camicia, ovvero ancora provvisti del cordone ombelicale conservato dalle madri, i benandanti avevano il compito di recarsi – in spirito e in specifici giorni dell’anno – in un campo aperto per combattere, armati di bacchette di finocchio o rami di viburno, contro streghe e stregoni armati, invece, di bacchette di sorgo. In questo modo, i benandanti rispettavano un rito agrario e facevano in modo che gli esiti della lotta profetizzassero una buona annata.

“I benandanti escono la notte del giovedì delle quattro tempora: in una festività, cioè, proveniente da un antico rito agrario e tardivamente entrata a far parte del calendario cristiano, che simboleggia la crisi stagionale, il pericoloso trapasso dalla vecchia alla nuova stagione, con le sue promesse di semine, di raccolti, di mietitura o di vendemmia. È allora che i benandanti escono per proteggere i frutti della terra, condizione di prosperità della comunità, dalle streghe e dagli stregoni, dalle forze cioè che occultamente insidiano la fertilità dei campi”.

Esulando dagli schemi diabolici di cui l’Inquisizione è a conoscenza, sono dati difficili da cogliere per quello che sono e questo fa sì che gli inquisitori cerchino dei cavilli ai quali aggrapparsi per facilitare il lavoro processuale e giungere quanto prima alla condanna per stregoneria.

Le processioni dei morti

Ai cavilli scelti dagli Inquisitori per condizionare gli interrogatori e la mentalità dell’imputato se ne aggiungono altri nel secondo capitolo il cui titolo indica che i benandanti, oltre a presenziare ai riti agrari abbandonando il corpo, riuscivano anche a vedere e parlare con i morti.

Inizialmente separati nei ruoli, il benandante agrario (principale) si fonde nel tempo con il benandante funebre (marginale) ma entrambi avevano un unico compito: lottare per proteggere la vita, in tutti i suoi aspetti, pratici ed emotivi.

È una distinzione che però la classe colta, motivata ad assimilare il benandante all’avversario contro cui si contrappone, non può considerare sul piano razionale perché intrinseco e profondamente radicato al campo delle credenze e delle superstizioni popolari.

Il pregiudizio, dunque, non proviene dal volgo ma, sembra un’ovvietà scriverlo, dall’élite.

I benandanti tra inquisitori e streghe

Appresa l’esistenza e le funzioni del benandante, il saggio di Carlo Ginzburg mostra anche come questa figura sia stata indicativa della frattura culturale che stava avvenendo tra il Cinquecento e il Seicento rendendo il soggetto studiato ancora più sfuggente e incatalogabile all’interno del contesto in cui avrebbe dovuto operare per mantenerlo fertile e produttivo.

In sostanza, avviene pressappoco ciò che viene narrato ne La chimera di Sebastiano Vassalli: si perde il senso e la cognizione della persona che la distingue dagli altri per le caratteristiche con le quali, la o si, identifica al fine darle un senso comune negativo e deleterio per l’intera società.

Si determina una situazione in cui anche il benandante stesso entra in crisi il quale, per difesa e sopravvivenza, non può far altro che cercare di adattarsi sia al pensiero comune sia a quello dominante.

I benandanti al sabba

Le pressioni sociali e culturali raccolte e documentate nel libro narrano, in breve, come si chiude la parabola storica del benandante. Non più chiamato a lottare contro il male è indotto a rinnegare ciò in cui credeva e a dire ciò che gli si vuol sentir dire ovvero di aver più volte partecipato al sabba per commettere ogni tipo di delitto o atrocità, ad entrare nello schema mentale dell’Inquisizione.

In appena cinquant’anni, la natura mitica e folkloristica del benandante legata a fiabe e leggende note e diffuse in tutta Europa viene, in Friuli, completamente estirpata.

Perché ho scelto di leggere I benandanti di Carlo Ginzburg?

In primo luogo perché, a prescindere dal nome dell’autore, è un modello esemplare di come si conduce uno studio storico curato e approfondito, povero di pregiudizi e ricco di ipotesi atte a spiegare e recuperare le caratteristiche culturali del soggetto e del contesto posti sotto indagine conoscitiva.

In secondo luogo perché il metodo adottato per orientarsi in un sistema di credenze cercando di individuare i motivi che lo hanno reso complesso e oscuro è ancora valido per riflettere e ragionare da quali punti di vista, con quali criteri e a che livello di profondità la trasmissione di vicende e fatti storici (ma anche d’attualità) viene manipolata in un senso o nell’altro.

In terzo luogo (è, tuttavia, un’opinione personale) I benandanti di Carlo Ginzburg raccontano quello che chiamerei un paradosso culturale e come si determina. Questo è un aspetto che trovo molto affascinante negli studi storici perché, semplicemente, indica come usare bene i documenti che abbiamo a disposizione del nostro passato e a formulare le domande sulle quali ragionare per capire quanti e quali paradossi ci sono oggi, in questa specifica epoca, e se si è ancora in tempo nel provare a risolverli per il meglio. 🙂

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