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L’uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy

21 Marzo 2022
L'uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy: romanzo psichedelico e amaro

L’uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy è il primo NN 2022 del quale parlerò in questo post.

L’ho scelto perché trama, copertina e lunghezza del titolo mi ricordavano Le prime quindici vite di Harry August di Claire North e perché, in comune, hanno un tipo di narrazione non lineare, nella quale si corre spesso il rischio di perdersi, che mantiene alta l’attenzione di chi legge fino e oltre il momento in cui assume la struttura di un romanzo completo e comprensibile, indipendente dalle regole e dalle logiche di un genere specifico.

In tal senso, i due libri sono simili ma non uguali. Hanno una piccola differenza.

L’uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy: un romanzo psichedelico e sbadato

L’uomo che aveva visto tutto di Deborah Levy è un romanzo psichedelico puntato su Saul Adler.

Figlio di ebrei socialisti fuggiti dalla Germania nazista è uno storico di 28 anni che assomiglia a una rockstar e vive a Londra. L’unica cosa che vuole, prima di partire per la Berlino Est del 1988, è farsi scattare una foto mentre sta attraversando Abbey Road, come lo fecero i Beatles nel 1969.

Prima di essere ritratto in questo modo Saul Adler viene investito da un’auto e cacciato dalla vita sentimentale della fotografa e amante, Jennifer Moreau.

Letteralmente in un’immagine, l’autrice imposta la composizione del romanzo.

L’uomo che aveva visto tutto è un singolo scatto che si imprime alle storie separate e legate da un muro che delimita il passato e il presente del personaggio, sfasamenti temporali e mnemonici compresi.

Per sottolineare ulteriormente la struttura compositiva e divisiva dell’individuo, rappresentato come uno spettro e un uomo a pezzi, il libro non segue una successione cronologica degli eventi che vanno dal 1988 al 2016 ma si concentra nel raccontare, esclusivamente, ciò Saul Adler vide del futuro partendo nel 1988 e del cosa non ricorda quando arriva in un letto d’ospedale nel 2016, anno in cui l’incidente su Abbey Road si ripete.

Nei capitoli che seguono le storie invisibili vissute all’interno e al di fuori della fotografia, l’autrice caratterizza il personaggio, un ventottenne di sublime bellezza che, ferito e offeso per la morte della madre, non riesce:

  • a liberarsi da un atteggiamento paranoico e conflittuale nei riguardi di un mondo in cui padre, fratello e ideologia comunista non è poi un granché come modello di libertà, sostegno, solidarietà tra uomini e donne;
  • ad accettare la natura e le contraddizioni dei sentimenti, dei pensieri e della sessualità propria e di coloro ai quali, pur cercando di evitarlo, è intimamente legato.

L’uomo che aveva visto tutto era già un uomo a pezzi quando viene lasciato dalla fidanzata Moreau, quando si innamora di Walter Müller, quando fa a pezzi i sogni, le speranze e le aspettative di Luna o quando fugge dalle responsabilità di figlio, fratello, fidanzato e padre rendendo anormale e sfalsato l’andamento esistenziale di un individuo in balia di eventi storici e artistici più grandi di lui perché vanno al di là dell’idea che ha di umana comprensione.

Il vero protagonista del romanzo non è il personaggio ma un fatto.

L’incidente ad Abbey Road attiva un processo in cui Saul Adler perde coscienza del suo personale presente e del tempo in cui vive e agisce.

Nel romanzo, infatti, rimane concentrato sul futuro che si immaginava da giovane e sul passato che rivede all’età di 56 anni. Nonostante questo sfasamento, L’uomo che aveva visto tutto trova modo di ricomporsi anche nella mente del lettore rispondendo al come in realtà ha vissuto al di fuori della fotografia scattatagli in gioventù e al perché i collegamenti per rendere comprensibile e uniforme la storia sembrano giungere in ritardo rispetto al tempo narrativo percepito.

In breve, l’obiettivo del romanzo è completare una singola azione: attraversare Abbey Road e raggiungere l’altra parte lasciando, in sottofondo, la colonna sonora di un’epoca.

Alla fine, L’uomo che aveva visto tutto, è così.

Un eroe tragico sostanzialmente statico, un individuo sbadato colto in un attimo in cui rimane solo e isolato da una collettività allo sbando, un soggetto emotivamente e psicologicamente esaurito e privato della possibilità di fare delle scelte per riuscire a resistere al dolore che si prova nei momenti in cui ci si scopre vivi quando, dall’altra parte del muro, tutto quello che doveva contare è morto e perduto per sempre.

Per lo stile e il modo di gestire i tempi avviando e riavviando le sequenze narrative il romanzo di Deborah Levy è simile a Le prime quindici vite di Harry August Claire North ma l’effetto di lettura è contrario a quello presentato in copertina: più che magico e struggente è psichedelico e amaro. L’unica differenza tra i due è che il primo non mi ha incantato come il secondo. Capita.

Autrice: Deborah Levy
Titolo: L’uomo che aveva visto tutto
Titolo originale: The Man Who Saw Everything
Traduzione: Gioia Guerzoni
Casa editrice: NN Editore
Pubblicazione: dicembre 2021
Pagine: 234
Prezzo di copertina: € 18

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