Di Fëdor Dostoevskij lessi, per cominciare, L’idiota al quale fecero seguito Memorie dal sottosuolo e, di recente, Il giocatore che, alternate alla lettura delle opere di Tolstoj come Anna Karenina, Padre Sergej, La morte di Ivan Il’ič, Sonata a Kreutzer e Guerra e pace, rappresentano il materiale raccolto per concretizzare l’idea di conoscere abbastanza della letteratura russa per poter esprimere coscientemente una preferenza nei riguardi di uno o dell’altro autore.
Solo che tra l’idea e la sua effettiva realizzazione c’è sempre stato di mezzo Delitto e castigo e il fatto che, fino ad oggi, non sono mai riuscita a superare la tredicesima pagina di questo romanzo macchinoso e angosciante.
Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij: logiche e meccanismi dell’umano
Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij è apparentemente incentrato solo ed esclusivamente sui motivi che hanno condotto Raskol’nikov a ideare, progettare e mettere in atto l’assassinio di una vecchia e orribile usuraia e, per le circostanze createsi al momento fatidico, della sorella di lei. Con questo atto, compiuto con la scusa di liberare la madre e la sorella da una condizione di miseria morale e materiale, Raskol’nikov decide di rendersi indipendente da loro sollevandole, anche, dalle responsabilità conseguenti al delitto.
Sicuro di essere immune da una crisi di coscienza posteriore all’omicidio, Raskol’nikov non ha però previsto le logiche e i meccanismi propri della sua natura sensibile che lo porteranno, alla fine, a costituirsi e ad accettare il suo reale, umano destino.
La trama di Delitto e castigo è la struttura scelta da Dostoevskij per innestare le tematiche, ricorrenti nella cultura e nella mentalità dell’epoca, che il protagonista ha intenzione di sperimentare e verificare sul campo umanistico.
- La psicologia, astro nascente di una nuova branca scientifica delle discipline di cui è costituito lo scibile umano;
- la questione femminile e i dibattiti che si accendevano in merito alla parità di genere;
- l’etica morale sulla quale ci si interrogava per rinnovare la Russia intellettuale di cui si discuteva al circolo Petraševskij e che, nell’analisi di Isaiah Berlin, spiega perché abbia determinato la deportazione di Dostoevskij in Siberia;
sono i filoni narrativi che, intrecciati tutti insieme, fanno supporre che Raskol’nikov non sia altro che l’alter ego, l’avatar adottato dallo stesso autore per spiegare ai suoi lettori cosa aveva capito delle idee, provenienti da molteplici direzioni, che circolavano nel suo tempo e mostrare, inoltre, come esse avevano attecchito al contesto di un romanzo il cui realismo, seppur localizzato a San Pietroburgo, è molto vicino a quello adottato da Turgenev quando racconta la Russia di campagna.
Per quanto si abbondi, in Delitto e castigo, di termini quali follia, malattia, confusione e delirio l’immagine del protagonista non appare affatto confusa e, se suscita angoscia, è perché a minare l’integrità del suo essere è il come i personaggi che entrano in relazione con lui influiscono sulla sua natura costringendolo a tornare sui suoi passi, a guardare con altri occhi il delittuoso fatto compiuto e a scegliere se mutare o meno il percorso individuale che aveva immaginato per sé.
Tutti i personaggi che danno forma e sostanza al romanzo assumono, in modo autonomo e inconsapevole, un’importanza determinante per Raskol’nikov. Tra questi, i più convincenti per proseguire con la lettura, sono:
- Razumichin, giovane idealista e di buon cuore che sogna di creare una casa editrice per mezzo della quale importare tutto ciò che c’è di meglio della letteratura per liberare la cultura russa dai pregiudizi e dall’arretratezza, si presenta, per i tratti emotivi e caratteriali che lo contraddistinguono, come un personaggio dalle sfumature tolstoiane che, accostato all’indubbiamente dostoevskiano Raskol’nikov, fa un certo effetto. Soprattutto se ci si sofferma a pensare come questa figura mostri quanto sia profondo il valore dato all’amicizia e al suo potere di soccorrere, prima ancora di sapere se c’è, in effetti, qualcosa che merita di essere salvato.
- Lüzin e Svidrigajlov per il loro essere degni (e indegni) rappresentanti dell’uomo comune e mediocre che pensa che sia sufficiente avere titoli e denaro per violare il pudore o comprare la gratitudine di coloro che hanno il potere di elevarli sul piano morale e sociale.
- Porfirij Petrovič, singolare rappresentante della giustizia terrena è un personaggio utile a regolare l’andamento del romanzo seguendo nuovi metodi d’indagine derivanti dalle nuove scoperte sui processi psicologici che portano l’umanità a danneggiare sé stessa. Mascherando da conversazioni gli interrogatori, Porfirij è colui che, armato delle parole, le usa adottando il filo della menzogna per arrivare a verità occultate. Il movente del delitto sembra quasi non interessargli. Più di tutto gli interessa l’omicida, vero obiettivo per risolvere un caso al quale è suo dovere assegnare il giusto castigo.
Tali personaggi, esclusivamente maschili, suscitano, per paradosso, maggiore coinvolgimento, partecipazione ed empatia per le loro controparti femminili.
Ad eccezione dell’usuraia assassinata è con non poca inquietudine che si seguono espressioni, parole e azioni delle donne per le quali si spera, almeno nel romanzo, che riescano ad evitare le trappole tese a far sì che esse si sobbarchino il peso delle sofferenze di colpe che non hanno commesso e ad accettare con rassegnazione l’accusa di essere la causa dei tormenti di tutta l’umanità. Proseguendo su questo pensiero, Delitto e castigo non è la narrazione di un uomo confuso dai suoi stessi ideali ma è la redistribuzione logica, con tutti gli intrecci del caso, delle teorie discusse (psicologia, parità di genere, etica morale) per venire a capo del caos di nozioni che, acquisite in modo troppo veloce, disordinato e innaturale, hanno soffocato sul nascere le domande giuste, quelle dalle quali la classe intellettuale poteva partire per rinnovare e far progredire la Russia del 1860.
- Come possiamo pretendere di essere e diventare uomini migliori se non abbiamo rispetto né amor proprio verso le donne che, senza pensare, si addossano la sofferenza e il coraggio di vivere?
- Come si distingue, esattamente, l’uomo comune da quello non comune e quali azioni e qualità devono possedere per essere riconosciuti, indistintamente, come esseri umani?
- Chi decide cosa è realmente utile per il progresso dell’umanità?
- Cos’è il delitto e come si capisce quale sia il giusto castigo da applicare?
Per giungere alla verità, è più importante il fine, il mezzo o entrambi?
Sono domande le cui risposte si formulano all’interno di Delitto e castigo, un capolavoro che, nell’epilogo, già ne anticipa un altro e che è, molto probabilmente, L’idiota.
Superate anche queste 539 pagine di letteratura russa posso abbandonare tranquillamente l’idea di esprimere una preferenza su Dostoevskij o Tolstoj che, per la logica ferrea e la passione rivoluzionaria delle loro opere, sono stati necessari e complementari per dare significato esistenziale alla parola umanità.
Ciò che è angosciante e che rende Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij attuale è il rilevare che, sul piano extra-letterario, ancora si discute se val la pena leggere, oggi, la letteratura russa del passato per giustificare l’incapacità di mettersi nella condizione di imparare a leggere meglio la letteratura, a prescindere dalla nazionalità di colui che l’ha prodotta.
Autore: Fëdor Dostoevskij
Titolo: Delitto e castigo
Titolo originale: Prestuplénie i nakazànie
Traduzione: Costantino Di Paola
Casa editrice: Marsilio
Pubblicazione: maggio 1999
Pagine: 539
Prezzo di copertina: € 10.80 (su Amazon e in edizione Einaudi)
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