Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz è un titolo che ho scelto di leggere partendo dalla citazione in apertura al libro di Ángeles Caso, Controvento.
Volevo sapere come continuava la frase nel contesto in cui è stata carpita e, alla fine, mi sono trovata immersa in un romanzo complesso, dedicato alla memoria, epico e lirico da leggere fino in fondo.
Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz: momenti da non dimenticare
Una storia di amore e di tenebra inizia in un appartamento interrato nel quale nasce, vive e cresce Amos Oz insieme al padre Arieh e alla madre Fania, entrambi profughi ebrei in cerca di una tregua da 120 anni (dall’epoca zarista al nazismo) di antisemitismo.
Prima di addentrarsi nella narrazione, Una storia di amore e di tenebra ha lo scrupolo di chiarire che, come per tutti gli altri libri, si tratta di un romanzo autobiografico.
A scanso di equivoci, Amos Oz comunica anche che il suo compito di scrittore non è di offrire ai lettori una morale sulla quale discutere ma, di assumersi l’incarico e la responsabilità di raccogliere, preservare e tramandare il corollario di esistenze che lo hanno formato ed educato a scrivere insegnandogli a discernere i buoni dai cattivi lettori.
“Il cattivo lettore pretende da me che speli per lui il libro che ho scritto. Esige che io con le mie mani getti nella spazzatura i miei acini, e offra a lui solo i semi”.
Chiarito il dove, il quando e il perché del romanzo, l’autore si affida al sé bambino dal quale recupera le informazioni utili a descrivere con esattezza le sue origini e quelle dei suoi familiari aprendo finestre sui volti e sui paesaggi della memoria visualizzando gli stili di vita, i valori e i principi sui quali facevano leva per uscire dallo scantinato in cui si erano rifugiati e riprendere contatto con il mondo circostante.
Era sufficiente:
- passare dal farmacista per una telefonata concordata a parenti lontani;
- onorare una visita programmata a casa di nonni e zii;
- riallacciare vecchie abitudini come discutere, di fronte a una tazza di tè, quale forma e sostanza dare a una nazione concepita sulla carta
per creare l’illusione di essersi lasciati alle spalle le persecuzioni, i campi di concentramento, la morte e coltivare la speranza di lasciare ai bambini una sorte e uno spazio in cui avrebbero potuto crescere e stare al sicuro.
Solo che, ad eccezione del fanciullo narrante, ci sono pochissimi bambini in Una storia di amore e di tenebra perché:
“La paura che abitava in ogni casa ebraica, una paura di cui non si parlava quasi mai, ce la iniettavano solo di striscio, una goccia ogni ora, era la paura terrificante che forse eravamo davvero delle persone non abbastanza monde, forse eravamo davvero troppo fastidiosi e invadenti, troppo intelligenti e avidi di denaro. Forse davvero la nostra buona educazione era inadeguata. Era la paura mortale, la paura di dare per disgrazia ai gentili una cattiva impressione, che in tal caso loro si sarebbero arrabbiati e ci avrebbero di nuovo fatto quelle cose tremende cui era meglio non pensare”.
Al bambino, assimilato questo sentimento collettivo, non resta altro che:
- cercare dei collegamenti che spieghino il perché la comunità di sopravvissuti allo sterminio nazista non riesca ad integrarsi con i suoi stessi simili, i pionieri residenti in Israele da ben più tempo di loro, e a trovare un modo per dialogare con la comunità araba per la quale, non riuscendo a decifrare quanto abbia influito il colonialismo inglese sulla loro cultura, provano sentimenti ambivalenti e comportamenti contraddittori;
- fantasticare su quali strategie adottare per combattere la diffidenza e la paura accarezzando il desiderio di dimostrare che il popolo ebraico è ancora capace di spiegare la ragione della sua esistenza e di farsi riconoscere, senza elemosinare il permesso o adattarsi al ruolo di vittima, il diritto di stare e coesistere sulla stessa terra.
Le paure e le speranze che il bambino percepisce si mescolano alla storia privata dei suoi genitori dediti a educarlo – uno coltivando la cultura del libro e la sete di sapere, l’altra raccontando malinconiche e nostalgiche fiabe di luoghi lontani, ignoti e misteriosi – per far sì che abbia tutti gli strumenti per affrontare le delusioni, i dolori e le incertezze del futuro e recuperare, semplicemente, le possibilità di vivere con dignità e fantasia.
Il talento immaginativo che nel Narratore fanciullo si esprimeva inventando scene eroiche e piene di buone intenzioni per deliziare gli adulti, in modo da rallegrarli il tempo sufficiente per dissipare le preoccupazioni sulle quali disquisivano, si ripropone in Una storia di amore e di tenebra in passaggi narrativi in cui, invece, sono gli adulti a fornire quegli sprazzi di luce di cui avevano disperatamente bisogno per non smettere di sperare e di sognare.
- La zia Zipporah che si prende cura dello zio Yosef Klausner, luminare di sapienza e coniatore di neologismi, come se fosse un bambino e il modo con cui questi consola la consorte per l’assenza di figli;
- L’arabo che salva il protagonista di appena quattro anni da un brutto incontro in un negozio di abbigliamento femminile;
- Le strategie adottate per evitare di bere una gazzosa imbevibile senza offendere zia Mala combinando una marachella che passa inosservata perché non ha causato alcun male a gatti battezzati Chopin e Schopenhauer;
- Il padre che, di nascosto, sostituisce le piantine malaticcie del triste orticello di casa con altre, fresche e di serra, per consolare il figlio del suo primo fallimento come orticoltore;
Non sono momenti immaginati o di fantasia ma rappresentano quegli intarsi poetici che, in Una storia di amore e di tenebra, illuminano la prosa intessuta dal Narratore adulto per esprimere i reali sentimenti di esistenze osservate per quello che erano e dalle quali man mano acquisiva la consapevolezza che il suo destino sarebbe stato quello di diventare uno scrittore non meno discusso e amato di quelli letti e riletti, studiati e commentati dal padre, dalla madre e da tutte le persone incontrate lungo il suo percorso individuale.
Tanti sono gli attimi di luce nelle tenebre riportate in questo romanzo. Ne ho solo citati alcuni per ricordarmi quanta forza hanno, nella loro piccolezza, nel contrastare il dolore di Amos Oz quando ricorda il suicidio della madre e l’assioma filosofico pronunciato dal professore emerito dell’Università di Gerusalemme sull’essere, il non essere e se c’è vita dopo la morte.
“Nulla, nulla scompare. Mai. […] E nemmeno vi entrerà. […] La materia si reincarna in energia e l’energia in materia, gli atomi si aggregano e si separano, tutto cambia e si tramuta, ma nul-la può passare dall’essere al non essere. Nemmeno un filo di capello sulla coda di un virus”.
Sono attimi che aprono molteplici spiragli che rendono il romanzo incredibilmente vivo, niente affatto superfluo, teso a comprendere ciò che, per pudore, la comunità ebraica taceva a sé stessa o commentava scegliendo, con estrema prudenza, poche parole.
Minuscoli indizi per rielaborare i sentimenti – di colpa, rabbia e rimpianto – scaturiti in seguito alla scelta materna di abbandonare il suo corpo e che vengono rielaborati per conservarne l’anima in un libro scritto apposta per darle un luogo dove continuare a essere, tangibile e concreta, invisibile ed essenziale.
Se si ha la pazienza di leggere fino in fondo, Una storia di amore e di tenebra di Amos Oz coglie e offre, con intensità e consapevolezza, cosa significa non dimenticare soddisfacendo anche l’intimo desiderio dello scrittore di diventare egli stesso un libro dove poter rimanere presente e indissolubilmente legato a suo padre, a sua madre, alle luci e alle ombre della comunità che gli ha dato i natali e alla quale non ha mai smesso di rivolgersi.
Ciò che resta, in fondo, è un libro gentile e cortese. Una rarità di un’anima sola e bella, preziosa per i suoi lettori.
Autore: Amos Oz
Titolo: Una storia di amore e di tenebra
Titolo originale: A Tale of Love and Darkness
Traduzione: Elena Loewenthal
Casa editrice: Feltrinelli
Collana: Universale Economica
Pubblicazione: Ottobre 2019, sedicesima edizione
Pagine: 627
Prezzo di copertina: € 16.00
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