Siamo così abituati a chiedere e rispondere che sembra abbiamo perso la capacità di soffermarci su questo processo formulando quesiti non banali per dare agli argomenti che meglio conosciamo spunti di riflessione ai quali non avevamo mai pensato né considerato.
Tale convinzione è un po’ sgradevole da mettere per iscritto perché preannuncia l’idea o il sospetto o la paura che non ci sia più nulla e nessuno con cui conversare, alla pari, su temi che sentiamo importanti. Per questo, un paio di mesi fa, ho provato a lanciare sui social un minuscolo sassolino etichettato Domande Tra Lettori dove chiedevo:
“Quali sono le domande che un lettore o una lettrice vorrebbe ricevere?”
Sui social ha generato discussioni interessanti ma poche di quelle domande utili a dare l’invio alle interazioni, alle riflessioni e alle conversazioni sulla lettura che cercavo ma abbastanza, tuttavia, per raccoglierle e condividerle in questo post.
Domande Tra Lettori: spunti, risposte, conversazioni
L’idea delle Domande Tra Lettori mi è venuta in mente quando mi è capitato di leggere, era da tanto che non accadeva, un libro brutto.
Nonostante la delusione, mi ha dato l’input di chiedere ad altri lettori se avevano vissuto un’esperienza simile e come l’avevano gestita accostandola anche alla domanda di Valentina Baldon:
Qual è il libro più bello mai letto?
Poste a confronto, il quesito sui libri belli e brutti ma permesso di scoprire con:
- Sara Salvarani che la narrativa di Milan Kundera, in genere, possono essere considerate letture noiosissime e questo mi ha fatto riflettere, perché è un genere di letteratura al quale torno volentieri. A me piace questo stile di scrittura con la quale si costruisce una prosa variegata e particolare per l’eleganza, l’acutezza e la profondità di pensiero con cui esprime e veicola tematiche in cui sessualità, storia, politica si mescolano in un magma indistinto ma vitale. È probabile, e questo non l’avevo considerato, che la difficoltà di leggere Kundera sia dovuta all’impressione di gestire i fili narrativi in modo talmente sofisticato da far perdere di vista il confine, sottilissimo, tra erotismo e pornografia rendendo il messaggio finale un po’ sgradevole e degradante. A questa riflessione non sarei mai arrivata se Sara Salvarani non avesse espresso la sua opinione contraria;
- Veronica Ramos che uno dei probabili motivi per cui Madame Bovary di Flaubert è un classico che o si ama o si odia sta nella sua capacità di alimentare discorsi e analisi polarizzanti in merito alla struttura, ai personaggi, a ciò che il libro comunica nei tempi che attraversa. Madame Bovary è un ottimo libro brutto. Al momento concordo con la critica che ne fece Nabokov in Lezioni di letteratura e il bello di questo scambio tra lettori è che non si può mai sapere come e quanto un romanzo possa modificare le opinioni di base fornendo spesso diverse interpretazioni di lettura;
- Paola Fontana che un libro brutto può anche subire una sorte tragica e finire direttamente nell’immondizia, senza passare per le biblioteche o nei percorsi di scambio e condivisione che potrebbero favorirne la libera circolazione. Superato il trauma di un simile destino libresco non è poi così malvagio ricordarsi che, a differenza delle persone, i libri sono oggetti e, se non hanno niente che anima il lettore a utilizzarli come si conviene, come tali possono essere trattati;
- Sara Angelani una comunanza di impressioni in merito a Le nostre anime di notte di Kent Haruf e Ho voglia di te di Federico Moccia. Il primo è un libro bello che vorrei leggere, il secondo un libro brutto che non ha ancora scalfito il pregiudizio che mi impedisce di avvicinarmi ad esso per leggerlo. Ciò fa sorgere il dubbio che forse siamo lettrici troppo difficili da coinvolgere o convincere della bontà di specifiche narrazioni. Dubbio che verrà sciolto nella domanda posta da Marco Patrone:
Vi capita di leggere cose semplici solo per rilassarvi ed evadere o siete sempre lettori esigenti e senza compromessi?
La risposta data da me, in prima persona, sui social mi ha confermato che, quando si tratta di libri, sono incline alla serietà e all’intransigenza ma non per questo mi privo della possibilità di accedere a un luogo comune che, sempre secondo me, andrebbe tutelato perché rappresenta quello spazio dove tutti hanno il diritto di considerare un libro uno strumento di decompressione dell’anima e dell’intelletto provato dal continuo esercizio dello spirito critico che è importante ma non assoluto per essere e sentirsi dei buoni lettori.
Quale libro rileggeresti continuamente?
È una domanda posta da Federica Segalini che, con il senno di poi, collego al tema del leggere per svagarsi, per evadere da una realtà che si percepisce opprimente e soffocante. Per ottenere questo effetto è normale per me tornare ai libri che più ho amato durante l’infanzia per la ricarica di fiducia e spensieratezza di cui sono fonte e ai quali ho pensato, quasi senza rendermene conto, per rispondere alla domanda di Bruna Athena:
Qual è l’elemento che più influenza la tua scelta di acquistare e leggere un libro?
Per quanto possa sembrare banale, rileggere o scegliere verso quali libri orientare il mio interesse è determinato dallo stato d’animo del momento, personale e altrui.
In comune, tra lettrici e lettori, è bello poter commentare sottolineando che ciò che conta, in una conversazione, non è tanto imporre un consiglio ma esprimerlo considerando la sensibilità e i gusti dell’interlocutore in cerca di un libro per sé. Ciò mi ha fatto anche riflettere sul perché non sono sempre disponibile ad accettare consigli di lettura, soprattutto quando sono introdotti da un pregiudizio.
Sentirsi dire di non leggere qualcosa perché non è considerato il mio genere o che devo leggere qualcosa perché è piaciuto a molti o perché è mio dovere promuovere l’opera di ogni scrittore scrivente può creare parecchie tensioni alle quali non sempre reagisco con calma e pazienza.
In questo contesto, mi piacerebbe sapere perché è così difficile dire:
Ho letto questo libro e l’ho apprezzato perché certi passaggi mi hanno ricordato te e ciò che ci siamo detti l’ultima volta che ci siamo visti. Te lo consiglio, te lo presto, te lo regalo. Unica condizione: mi fai sapere se ho indovinato i tuoi gusti? Se ho toppato, dimmelo sinceramente così, per la prossima volta scelgo e propongo qualcosa di meglio.
Forse, è la volta buona che mi decido a leggere L’arte di ottenere ragione di Schopenhauer per capire la difficoltà di un approccio che aiuterebbe anche ad ampliare gli argomenti di conversazione suggeriti dalle domande di Loredana Gasparri:
Ti è mai capitato di non riuscire a leggere per qualche tempo? Se sì, come ne sei uscita? Cosa cerchi in un libro? Cosa provi per l’oggetto libro prima ancora di leggerlo?
Pensare a come rispondere adeguatamente mi ha permesso di realizzare che, ad eccezione del motivo per cui sto scrivendo questo post, non ho mai provato una sensazione simile al blocco del lettore.
Ci sono momenti in cui il desiderio di leggere si attenua e altri in cui, inaspettatamente, aumenta alimentando la curiosità di sapere, comprendere, approfondire qualcosa che si ignora.
“Ciò che provo davanti all’oggetto libro, di solito, è la sensazione di non sapere cosa aspettarmi. Leggo per scoprirlo”.
L’emozione che si prova quando si legge è di rivelazione perché se la vita non è nei libri ciò non significa che essi non sappiano come farci vivere intensamente, disgustando e meravigliando. Dandoci, inoltre, gli strumenti che ci servono per andare oltre e non per intrattenersi anestetizzando pensieri e sentimenti.
Lo spunto di riflessione fornito da Loredana sfuma in quello offerto dalla Counselor Sara Angelani con le domande:
Come è nato il tuo rapporto con la lettura? Quale libro ti ha emozionato di più e perché? Quale genere di libri proprio non leggeresti mai e poi mai?
Quesiti molto belli perché vanno in profondità e segnalano un grande interesse a prendersi cura della persona educandola a fare esperienza della sua interiorità. Al di là di ciò, ho preferito comunicare il titolo del primo libro che ebbe su di me un impatto emotivo molto forte: Oliver Twist di Charles Dickens. Capolavoro che ha il merito di descrivere il lato oscuro, doloroso e anche ipocrita della natura umana e che mi rese consapevole, anche, dell’esatto valore della sincerità in una relazione d’amicizia in cui non sempre il rispettare le opinioni combacia con il condividere gli stessi sentimenti riguardo a un tema in comune.
Per quanto riguarda la terza domanda, fatico a sostenere una conversazione in cui i generi non vengono accostati ma posti l’uno di fronte all’altro, in contrapposizione. Sancire quale tra essi è il più adatto a salire sul podio della letteratura alta non è un risultato che mi interessa e al quale aspiro particolarmente.
Mi interessano però i libri proibiti e di avvalermi del diritto di non far sapere che li ho letti. Questo mi ha fatto pensare con una punta di invidia a Leopardi e a quelle letture alle quali, per intercessione del padre, ha avuto accesso malgrado fossero state messe all’Indice.
Cosa ti ha lasciato il mio libro? Nascondi qualcosa fra le pagine? Perché hai scelto proprio il mio libro?
Sono domande integrative all’educazione emotiva e all’istruzione intellettuale che incuriosiscono i lettori e che Sylvia Baldessari accresce ponendo l’accento sulla fase che, sospesa tra il passato e il presente, precede l’interesse a leggere e a sviluppare la capacità di conversare con e sui libri.
Riflettendo su di esse ho provato un sentimento di tenerezza per come la lettura ha mantenuto nel tempo la possibilità di spaziare in pensieri ed emozioni che mi sembravano preclusi trovando, in essi, alcune anticipazioni.
È rassicurante anche riscoprire una certa coerenza nel dimenticare tra le pagine cose di poco conto perché hanno esaurito lo scopo per cui erano nate e nel conservare, nel libro giusto, ciò che secondo me va sempre la pena ricordare e sbloccare quando si incontrano quesiti della massima difficoltà come quelli posti da Margherita Cogoi:
Quali sono i libri più importanti per te e perché? In quali personaggi ti rivedi e perché? Qual è il libro che più ti ha fatto soffrire e di quale ti sei sentita più orfana una volta finito?
Ci vorrebbe un filosofo per rispondere in modo esauriente, soddisfacente e convincente a questi dilemmi che, con i limiti delle parole scelte, ho formulato così:
- I libri più importanti sono quelli che si prestano ad essere letti, anche quando pare impossibile comprenderli fino in fondo e che collocherei in un tipo di letteratura in cui i perché sono importanti e si cerca di averne cura tanto quanto la si rivolge al quando, al come e con quali intenzioni si decide di narrare.
- I personaggi di Guerra e Pace di Tolstoj sono quelli che più mi hanno fatto soffrire perché la loro sofferenza non finisce mai eppure, non smettono di cercare una verità comprensiva di tutte le cose per farci sentire meno orfani di qualcosa.
Prima di concludere, c’è un’altra domanda di Margherita che, per usare un gergo sportivo, passa a me la palla per proseguire la conversazione invitandomi a chiederle qualcosa.
Oltre al grazie per la sua disponibilità, mi piacerebbe sapere se ho risposto correttamente e se ci sono le possibilità di tornare a incontrarsi di persona per dialogare sui particolari inespressi di questa conversazione. 🙂
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Ora che hai tutto il materiale di interazione, riflessione e conversazione raccolto con l’intenzione di confutare quello che percepivo come un pregiudizio, si capisce perché i libri sono importanti e a quale necessità umana e umanistica corrispondono? Secondo te, quali altre Domande Tra Lettori si potrebbero condividere sui social per continuare a conversare?
Photo Credits: immagine via Pixabay
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