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La scatola del tè di Giuliano Pellizzari: un noir friulano

6 Dicembre 2021
La scatola del tè di Giuliano Pellizzari: un romanzo che funziona

È raro ma, qualche volta, succede che un autore giustamente intenzionato a promuovere il suo libro si rivolga a un blogger nei modi corretti per poter ottenere un parere di lettura comunemente detta recensione.

A me è capitato con Giuliano Pellizzari e con il suo primo romanzo e noir friulano (Corvino Edizioni) La scatola del tè.

La scatola del tè di Giuliano Pellizzari: un romanzo che funziona

In tutta onestà, ho accettato di leggere La scatola del tè perché il noir è un genere che apprezzo collocandolo, solitamente, nella letteratura e narrativa di svago e perché è ambientato in Friuli, in luoghi che conosco e ai quali, vivendoli d’abitudine, non sempre faccio particolarmente caso.

Fatte le dovute premesse, le vicende del romanzo hanno inizio al parco del Cormor, con un estratto che anticipa la figura della vittima designata, il giurista Elpidio Lavari, donnaiolo e affarista doppiogiochista e senza scrupoli.

Trovato morto in centro a Udine, nella piazza riprodotta in copertina, dal linguista esperto in comunicazione persuasiva Leandro Arcani e dall’intransigente ambientalista Marianna Griotti, il caso d’omicidio, che sarebbe di pertinenza della questura di Udine, viene assegnato al commissario Corba la cui descrizione lo rende il candidato ideale per costruirci un noir dove l’investigatore è indiscutibilmente acuto ma apparentemente facile da manovrare per occultare scomode verità e/o fare il gioco di forze che complottano nell’ombra.

“Il commissario Corba, a capo del distretto di Palmanova, sentiva di nutrire un certo fastidio per chiunque disturbasse la quiete dei suoi ritmi quotidiani, dei suoi libri, delle sue cene. Se avesse voluto fare una vita agiata, sarebbe rimasto in questura di Trieste. Aveva scelto Palmanova proprio perché non succedeva quasi niente. I delinquenti li conosceva per nome, e con alcuni era persino cresciuto. Questa cosa delle rapine però…”

Agganciato il lettore, secondo le dinamiche di genere, al commissario Corba, la narrazione procede alla giusta velocità aprendo la strada:

  • ai collaboratori scelti per tenere le fila della narrazione come, ad esempio, l’imprevedibile ma non particolarmente fine ispettore Lengue, l’intelligente e dal carattere poco malleabile ispettrice Lupineri e il vicequestore Mocilnik, italiano ma dal cognome e dalla parlata slava;
  • ai modi con cui questi personaggi interagiscono fra loro e con quali affinità svolgono, insieme o in solitaria, gli incarichi assegnati;
  • all’apparizione di personaggi coinvolti nei servizi segreti nazionali e internazionali o collegati a operazioni commerciali di multinazionali con ramificazioni in America, Cina e Africa che, riuniti attorno al cadavere del Lavari, cercano di rientrare in possesso di ciò che aveva sottratto in vita mettendo a rischio la sicurezza e gli equilibri economici globali;
  • a possibili ma forse improbabili collegamenti del caso d’omicidio con la stessa Marianna Griotti, che scompare all’inizio della storia, o con una serie di rapine a bancomat situati in paesini sparsi delle campagne friulane attribuite a professionisti militari provenienti, a quanto pare, dall’Est Europa.

Il tutto racchiuso in un Friuli prevalentemente agricolo e sonnecchiante che non è poi un contesto così poco verosimile per sovrapporlo agli scenari e alle dinamiche di un genere che nasce in contesti urbani e fortemente industrializzati senza, peraltro, dare l’idea di essere un romanzo improvvisato o scritto per hobby.

In conclusione, La scatola del tè di Giuliano Pellizzari mi è sembrata una lettura surreale per come riesce a rendere credibili le atmosfere noir senza togliere realismo alle descrizioni di ambienti e modalità di comportamento, anche nel linguaggio, tipico del Friuli, terra di confine e dei mus. Molto ben costruito, è un romanzo che funziona anche perché:

  1. non ci sono volgarità, né nell’uso delle parole né nella descrizione di situazioni piccanti;
  2. menziona luoghi che, anche alla luce del sole, hanno un che di insondabile, misterioso, arcano. 😉

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