Citato in Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman, Il riccio e la volpe di Isaiah Berlin è una raccolta di saggi messi per iscritto in seguito a un ciclo di “conferenze destinate a un pubblico non specializzato” in cui si esplora la storia delle idee e dell’etica sorta in Russia dalla fine dell’Ottocento.
Il riccio e la volpe di Isaiah Berlin: la visione complessa di un saggio da leggere attentamente
La visione complessa è il titolo con cui Aileen Kelly introduce Il riccio e la volpe raccomandando il lettore, parafrasando Aleksandr Herzen, di:
“Non cercare soluzioni in questo libro – non ce ne sono; in generale l’uomo moderno non ha soluzioni”.
Chiarito il come approcciare alla lettura, le considerazioni di Isaiah Berlin vengono inquadrate come risposta all’affermazione secondo cui Bertrand Russell dichiarava che l’unico modo per governare i russi era attraverso il socialismo dispotico.
A tale asserzione, Il riccio e la volpe si oppone ricostruendo contesto, pensatori e intellettuali della Russia collocata nell’epoca di cui si parla secondo i seguenti capitoli:
Nell’insieme, i saggi raccolti hanno un doppio significato.
“[…] come interventi critici contengono intuizioni che dovrebbero modificare, e non di poco, il nostro atteggiamento verso due scrittori tra i più grandi che la Russia abbia avuto; come analisi dei conflitti tra le opposte visioni della realtà rappresentano un cospicuo contributo alla storia delle idee”.
Pare l’unica dicotomia alla quale Il riccio e la volpe si attiene per esplorare, senza confutarlo, il mondo delle idee e di come esse hanno influito, nel bene e nel male, nel definire il corso dato alla storia dell’etica in Europa e in Russia.
La russia e il 1848
La Russia e il 1848 fu un anno di svolta per lo sviluppo del pensiero socialista e della filosofia riconducibile a Hegel e a Marx ma non ha molta attinenza con le sollevazioni represse dal sistema autocratico sul quale si fondava una nazione simboleggiata dallo zar Nicola I. Parallelismi, in tal senso e secondo Isaiah Berlin, sarebbero fuorvianti.
Più adatti a fine comparativo sono quelli che si possono fare con l’Europa Illuminista del Settecento e sulla modalità di circolazione di idee attraverso i salotti che ancora caratterizzava la società russa dell’Ottocento; industrialmente arretrata, priva di una vera e propria borghesia e terreno fertile per i pensatori liberali che desideravano affrancarsi dalla condizione di sudditanza alla quale erano, da secoli, abituati a stare.
L’effetto delle sollevazioni del 1848 accelerò uno scisma interno all’intelligencija russa che si divise tra occidentalisti e slavofili che, in comune, avevano l’insofferenza verso l’autocrazia zarista la quale, a sua volta e temendo un attacco al potere, aveva inasprito la censura e preventivamente bloccato qualsiasi forma di apertura a progetti di riforma agricola che eliminassero una volta per tutte la piaga, economica oltre che sociale, rappresentata dai servi della gleba.
La repressione imposta dalla politica zarista fu però anche responsabile della congiura Petraševskij che, formatasi in un circolo di intellettuali che studiavano e discutevano su come mettere in pratica gli ideali liberali, fu scoperta e dispersa. Arrestati e deportati, gli intellettuali che ne facevano parte (tra cui Dostoevskij) rimasero uniti nel pensiero, per quanto disilluso, che continuava a credere che un rinnovamento della struttura sociale e intellettuale russa fosse possibile.
Il riccio e la volpe
“La volpe sa molte cose ma il riccio ne sa una grande”
È una frase di Archiloco che Isaiah Berlin cita per spiegare il divario, tuttora esistente, tra chi ha una visione monista del mondo e delle sue strutture e chi, invece, ne ha una visione pluralista.
Secondo Berlin:
- Dante, Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen e Proust, ad esempio, fanno parte della categoria di pensatori con una visione monista del mondo, tipica del riccio mentre,
- per quanto riguarda la visione pluralista, pensatori come Shakespeare, Erodoto, Aristotele, Erasmo, Molière, Goethe, Puškin, Balzac o Joyce simboleggiano le volpi.
Una classificazione riduttiva che però viene proposta per poter indagare approfonditamente la storia dell’etica cercando, inoltre, di rispondere anche al dubbio che emerge quando ci si cimenta nel tentativo di assegnare a Tolstoj una delle due categorie.
Il riccio e la volpe non crede molto all’immagine di Tolstoj come un fatalista e un visionario che aveva una conoscenza superficiale della storia, dei suoi processi e delle sue dinamiche. Al contrario e riprendendo in esame alcuni dei passaggi più significativi di Guerra e pace, emerge che lo scrittore:
- aveva un profondo interesse storico per il passato;
- una curiosità innata e una predisposizione naturale, tutta umana, a voler capire come e perché si erano svolti
- gli avvenimenti sviluppando una vera e propria ossessione per la verità e le sue molteplici manifestazioni e che, per questo,
- cercò nei fatti e negli eventi storici una teoria che risolvesse in modo univoco i problemi etico-esistenziali del suo tempo.
Secondo Berlin, la genesi della teoria tolstoiana della storia, sebbene ispirata al pensiero di Rousseau, è influenzata da molteplici fattori derivanti da:
- una vasta istruzione e dalle letture eterogenee,
- un’estrazione e un’educazione aristocratica,
- una conoscenza dettagliata dei principi, occidentali e slavofili, sui quali si fondavano le visione e le teorie sociali dell’epoca.
Considerata la capacità dello scrittore, soprattutto in Guerra e pace, a riprodurre come nessuno mai la multipluralistica visione del mondo e le oscillazioni del sentimento umano e la disperata ricerca di un criterio pratico per ottenere una visione univoca e monista del mondo, Berlin conclude il capitolo:
- illustrando in che modo Tolstoj visse e morì lasciando irrisolto il conflitto in cui non riusciva a conciliare ciò che era (una volpe) con ciò che avrebbe dovuto essere (un riccio) e
- dimostrando anche quanto l’immagine di pensatore superficiale attribuitagli dai suoi contemporanei fosse lontana dalla verità e dalla realtà umana che lo ha reso tra i più grandi romanzieri mai esistiti nella storia della letteratura russa.
Herzen, Bakunin e la libertà individuale
Parzialmente risolto il dubbio di collocazione fornito da Tolstoj, Il riccio e la volpe passa all’analisi degli scrittori rivoluzionari russi Herzen e Bakunin i quali, malgrado le divergenze di comportamento, avevano a cuore la libertà dell’individuo, concetto sul quale costruiscono il loro pensiero e l’etica morale alla quale credono.
Schematizzando:
Bakunin era un giornalista e un rivoluzionario militante dalle capacità dialettiche esplosive e travolgenti che dedicò tutta la vita alla causa della libertà seguendo più il senso astratto che pratico del termine. Secondo lui, la libertà era una forma di reciprocità di pensiero più che un modo di esprimersi rimanendo indipendenti dal contesto e dai condizionamenti sociali ai quali l’individuo è sottoposto. Considerava la libertà personale come un appetibile sottoprodotto della trasformazione sociale” inteso come fine unico di ogni attività umana.
Herzen, invece, era uno scrittore russo con un forte senso della realtà che si impegnò per tutta la vita a mettere in discussione e a contrastare ogni forma di astrazione generalizzata sul concetto di libertà poiché era attraverso di essa che la società opprimeva o perseguiva l’individuo che non si associava al pensiero comune sacrificando un bisogno per un ideale. Nel concreto, diceva che non era vero che le masse desiderano la libertà e che, in realtà, non vogliono essere liberate ma desiderano che gli venga garantita la sicurezza e la sensazione di vivere in una società stabile e civile.
“Se gli uomini si decidessero a salvare se stessi, invece di voler salvare il mondo, a liberare se stessi, invece di liberare l’umanità, contribuirebbero enormemente alla salvezza del mondo e alla liberazione dell’uomo”.
Per quanto affine a Bakunin per estrazione sociale, gusti ed educazione, per l’odio contro il regime zarista, per la fede nel valore morale del contadino russo e per il reciproco sentimento di amicizia che li univa, per Herzen la libertà personale non era conseguenza di una trasformazione sociale ma il bene supremo al quale l’individuo doveva avere accesso, come tutti, per trasformare la società rendendola più equa, giusta, libera.
Più che divergenze, quello che emerge dal confronto Bakunin/Herzen, sono delle sottigliezze, delle sfumature di pensiero che, nel tempo in cui si dispiegano, non vennero colte con il risultato che se il primo rimase memorabile il secondo, malgrado il monumento che lo inserisce (per ironia della sorte?) nel pantheon sovietico, è quasi dimenticato.
Un decennio importante
Un decennio importante rimanda a un’opera del critico e storico della letteratura russa, Pavel Annenkov, al quale Isaiah Berlin fa riferimento per spiegare le tematiche che in questa parte de Il riccio e la volpe si suddivide in quattro punti chiave per far luce in merito a:
- la nascita dell’intelligencija russa;
- Il romanticismo tedesco a Pietroburgo e a Mosca;
- Vissarion Belinskij e
- Aleksandr Herzen.
Ai letterati e agli scrittori viene dato e riconosciuto il merito di aver contribuito alla nascita dell’intelligencija russa inventando un nuovo metodo di critica sociale che, malgrado la censura zarista e sebbene fossero più o meno influenzati dalle filosofie del pensiero occidentale, riuscirono a trasmettere e a veicolare attraverso la letteratura favorendo “la trasformazione sociale del mondo”.
Allo zar Pietro il Grande viene però riconosciuto il merito di aver avviato il processo culturale che avrebbe determinato, nell’Ottocento, lo scisma interno alla società russa mandando giovani d’élite a completare la loro formazione intellettuale in Occidente.
Le guerre napoleoniche, inoltre, furono un ulteriore elemento storico che innescò una sorta di nazionalismo patriottico negli intellettuali russi che tormentati dal senso di colpa di non riuscire a trovare nuovi legami con il popolo, in quanto limitati dalla formazione europea instillata in loro per più di un secolo, si dimostrarono particolarmente ricettivi alle dottrine e alle teorie romantiche provenienti dalla Germania.
Si creano così le condizioni che spiegano il perché gli studenti russi, affascinati dalla stabilità e dalla coesione sociale che gli sembrava di vedere in Francia e in Germania, assumono un atteggiamento contrario al governo zarista creando, in una società che non aveva avuto né il Rinascimento né la Riforma, un vuoto in un sistema fragile, caratterizzato da:
- un’amministrazione spenta, oppressiva, priva d’immaginazione;
- una popolazione troppo debole e ignorante per potersi organizzare in una rivolta al fine di ottenere i cambiamenti sociali di cui aveva bisogno;
- un rapporto conflittuale tra il governo e la classe colta e tra la classe colta e i contadini che si voleva sollevare dalla loro condizione di miseria e povertà.
In un simile contesto, l’unico modo per gli intellettuali del tempo di trovare un proprio posto nella società russa e nel mondo era nella letteratura e in un atteggiamento diverso, nuovo rispetto ad essa.
Se in Francia l’intellettuale era visto come un artigiano che produceva qualcosa di bello per dovere verso sé stesso e il pubblico considerando secondaria la vita privata, in Russia nasce un uomo nuovo. Un intellettuale investito dalla missione di dire sempre e solo la verità e di esprimerla dedicando tutto sé stesso e le sue capacità a una morale superiore e collettiva.
Per quanto criticata e motteggiata nelle sue contraddizioni, il decennio 1838-1848 fu un’età d’oro per la nascita e lo sviluppo dell’intelligencija russa di cui, assimilata la filosofia hegeliana e incamerate le concezioni che Schelling formulò sull’universo, sulla realtà, sull’arte, sull’uomo e sull’artista, Vissarion Belinskij era la coscienza.
Raccontato attraverso i personaggi di Turgenev, Belinskij fu uno dei fondatori del movimento che nel 1917 culminò nel rovesciamento dell’ordine sociale che lui stesso aveva denunciato con crescente intensità verso la fine della sua vita.
Padre di una nuova critica letteraria, Vissarion Belinskij nasce in Finlandia da una famiglia povera, senza risorse né prospettive. Delicato di salute ma di animo critico e combattivo, secondo quanto scritto su Il riccio e la volpe, cercava nella letteratura – facendo attenzione all’atteggiamento dello scrittore verso la vita, l’ambiente e la classe sociale del tempo – le idee morali che veicolava.
Belinskij strutturava una critica seguendo i principi etici, non estetici, delle opere letterarie in base alla loro:
- autenticità,
- coerenza tematica,
- profondità d’analisi,
- obiettività,
- motivazioni ultime
La coscienza dell’intelligencija russa era dunque condensata nella persona di un uomo e di un critico letterario che:
“[…] consacrò la sua vita, tutto sé stesso, al tentativo di cogliere l’essenza dell’esperienza letteraria che in un dato momento si sforzava di trasmettere agli altri. Aveva una rara capacità di penetrazione e di interpretazione, ma ciò che lo distingueva dagli altri critici […] era il suo modo di vedere la pagina, la sua visione assolutamente immediata, come se nulla si frapponesse tra lui e l’oggetto”.
Belinskij, inoltre, non aveva le idee romantiche che ruotavano attorno a ciò che simboleggiava il contadino russo nella società. Voleva un despota illuminato che, come Pietro il Grande, ne rinnovasse la cultura e malgrado la deriva che, a Pietroburgo, lo porterà, momentaneamente, a tradire il credo morale per una dottrina ideologica ascoltata da Bakunin, ritornerà al ruolo di coscienza dell’intelligencija russa che è possibile leggere in una lettera in cui accusa Gogol’ di aver tradito, con la sua letteratura, i criteri della critica sociale da lui fondata e alla quale si rifacevano i primi rivoluzionari che si riunivano nel circolo Petraševskij. Circolo del quale faceva parte anche lo scrittore politico Aleksandr Herzen, figlio illegittimo di un lontano discendente dei Romanov e uno degli uomini superflui che cercavano qualcosa a cui dedicarsi.
Secondo la ricostruzione di Berlin, Herzen cominciò fondando giornali antizaristi raggiungendo la fama di uno dei più grandi pubblicisti d’Europa lasciando ai posteri un’autobiografia (Passato e pensieri) in cui racconta:
- in cosa credeva (negli istinti nobili del cuore umano)
- quale fosse la sua tesi di base (le astrazioni ideologiche esercitano sull’esistenza degli uomini un potere terribile)
- su quale principio ruotasse il suo pensiero (lo scopo della vita è la vita stessa; sacrificare il presente a un futuro vago e imprevedibile è una forma di illusione; e il risultato è la distruzione di tutto ciò che ha valore negli uomini e nella società)
Per le capacità di osservazione della realtà e le doti di conversatore, la visione di Herzen è più affine, se non identica, a quella di Turgenev. Entrambi consapevoli della complessità e dell’insolubilità dei problemi fondamentali che le questioni etiche sollevavano, tramite le loro opere vedevano con chiarezza l’assurdità del volerli risolvere con strumenti politici o sociologici.
Anche questa coppia di pensatori divergeva però nell’atteggiamento: partecipato in Herzen, distaccato quasi impersonale in Turgenev.
Il populismo russo
In seguito alla morte di Nicola I, zar che istituì le misure repressive e lo scioglimento e la condanna degli intellettuali che si riunivano nell’embrione rivoluzionario che era il circolo Petraševskij, prese forma il movimento dei populisti russi il cui concetto di lotta di classe non si fondava sull’immagine del proletariato descritta da Marx associata al contesto capitalista ma su quella del contadino sfruttato da una società ancora feudale.
Obiettivo del populismo russo era mirare alla giustizia sociale per le masse oppresse e sfruttate da ottenere senza dover per forza arrivare allo scontro e/o all’azione rivoluzionaria. Tuttavia, i contrasti interni al movimento erano molteplici e vertevano principalmente su:
- quale atteggiamento adottare nei confronti dei contadini, ispiratori inconsapevoli della rivolta per un rinnovamento sociale;
- come comportarsi se le masse contadine avessero fatto resistenza al cambiamento che volevano operare a loro beneficio;
- quale atteggiamento adottare nei confronti dello Stato da riformare;
- come educare a una rivoluzione democratica risvegliando la coscienza politica di una maggioranza che era ancora allo stadio di minoranza.
Nel frattempo, la paura dell’avanzata capitalista e delle sue derive borghesi dilagava inasprendo il dibattito polarizzatosi sul quesito:
“Agire (azione rivoluzionaria) o riorganizzare (azione riformatrice)?”
Malgrado la creazione di una prassi politica sviluppata da Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, figura di spicco del movimento populista e anch’esso simpatizzante del circolo Petraševskij, il populismo non attecchì lasciando il posto a un socialismo scientifico, di stampo marxista, sul quale Lenin strutturò la prassi comunista istituendo gli anni raccontati da Frank Westerman in Ingegneri di anime.
Tolstoj e l’Illuminismo
L’unico che mise in dubbio l’assioma che identificava Tolstoj come un narratore eccellente ma un pensatore mediocre fu Michailovskij, critico letterario populista.
È su questa nota leggermente discordante rispetto al pensiero comune che si aveva del romanziere che Il riccio e la volpe torna sul pensiero di Tolstoj il quale credeva fermamente sia nella libertà individuale sia nel progresso che potevano essere raggiunte passando per un diverso modello educativo delle masse, non corrotto dalle idee e dalla cultura occidentali.
Malgrado non fosse slavofilo, Tolstoj trovava comprensibili le teorie di questa corrente ma, allo stesso tempo, non le accettava e cercava di sviluppare in modo del tutto autonomo e indipendente una formula con cui mettere in pratica l’ideale al quale aspirava per sé e per la società del suo tempo.
“L’ideale umano è una società di esseri liberi e uguali che vivano e pensino alla luce di ciò che è vero e giusto, e dunque non siano in conflitto tra loro e se stessi”.
Il paradosso di Tolstoj, rimasto irrisolto, è che se come pensatore era realista e come uomo era impulsivo, fantasioso ed idealista, come scrittore non era un letterato poiché non aderiva alla concezione russa sviluppata da Belinskij in letteratura.
L’unico fine della letteratura e dello scrittore, secondo Tolstoj, è di dire sempre e soltanto la verità in merito alla realtà sociale e individuale, materiale e spirituale che cerca di comprendere e rappresentare. Questo era l’unico criterio con cui, come critico, valutava la qualità di un’opera e il valore di un romanziere.
Come pensatore il modello educativo delle masse al quale aspirava si avvicinava, per le questioni interne sollevate, al programma del populismo russo ma l’intento didattico non era di istruire a una rivoluzione democratica ma volto a comprendere la natura umana prima di deviarne il corso naturale modellandola su atteggiamenti morali che non corrispondevano a un modo, tipicamente russo, di essere.
Narratore eccellente, pensatore tutt’altro che mediocre, Tolstoj rimane, per questo, incollocabile. Il riccio e la volpe dell’intelligencija russa.
Padri e figli. Turgenev e il dilemma liberale
Amico di Belinskij, Turgenev fu sepolto a Pietroburgo da Parigi e i funerali si svolsero in un clima di nervosa tensione. Malgrado la sua non fosse considerata una letteratura sovversiva, in Russia era percepita e temuta come tale. Isaiah Berlin si domanda perché.
Turgenev sapeva comprendere benissimo la realtà e si impegnava a descriverla fedelmente, con pacata pazienza ma tale atteggiamento non piaceva in patria.
Accusato di anteporre l’arte alla critica e di non essersi mai politicamente impegnato per risolvere i problemi sociali dei suoi connazionali e per le belle maniere che lo distinguevano dall’eterogeneo gruppo che si riuniva al circolo Petraševskij, Turgenev non faceva paura e, per quanto celebre e ammirato in Europa, in Russia lo si considerava un intellettuale mediocre.
Rileggendo Padri e figli con lo stesso metodo d’analisi adottato per Guerra e Pace di Tolstoj emerge però quanto i contemporanei l’avessero frainteso e, sulla base di tali fraintendimenti, le sue opere vennero interpretate e strumentalizzate per teorie sociali e politiche sulle quali non aveva mai scelto una direzione che le favorisse o le contrastasse perché, semplicemente, le ascoltava con l’intento di comprenderle tutte e trovare una chiave che spiegasse la realtà che stavano creando.
Padri e figli, fondato sulla contrapposizione generazionale e, in particolare, sul personaggio di Bazarov, scatenò violenti polemiche alimentate da cinque diversi atteggiamenti adottati nei confronti del romanzo e del romanziere che:
- scandalizzavano per come Bazarov rappresentava l’apoteosi dei nuovi nichilisti e l’imbarazzante desiderio di Turgenev di compiacerli;
- applaudivano una visione che smascherava tutto ciò che simboleggiava la sovversione e la barbarie;
- accusavano l’azione sconsiderata con cui si distorceva l’immagine dei radicali dando così ai reazionari motivo per inasprire ulteriormente l’autocrazia e la censura;
- simpatizzavano per il personaggio di Bazarov riconoscendo in Turgenev una certa onestà intellettuale;
- scoprivano nella neutralità stilistica e formale del romanzo un’insicurezza di pensiero nell’autore.
Il dibattito sul tema rimane ancora aperto e ruota attorno alla domanda:
“Turgenev era per noi o contro di noi?”
Il capitolo si conclude inquadrandolo come un mediatore avallando la singolare convinzione, inaccettabile per chi vuole sapere come deve pensare e cosa deve fare, che:
“La posizione intermedia è notoriamente la più scoperta, è ingrata e pericolosa”.
Chiudendo la panoramica letta riguardo la storia dell’etica e della letteratura russa spiegata da Isaiah Berlin, Il riccio e la volpe si rivela una raccolta di saggi:
- Persuasiva, per come la preferenza accordata ad Aleksandr Herzen sia ben fondata perché rappresenta un modo di pensare che è filosoficamente più congeniale e affidabile da seguire per evitare di cadere in formule preconcette e non verificate concernenti l’etica umana e la realtà pratica;
- Illuminante, per come dimostra quanto io abbia sbagliato nello scrivere una lettera a Tolstoj considerandolo un visionario ma della quale, sinceramente, non mi pento affatto perché non cambia la natura dei sentimenti scoperti e maturati attraverso la lettura delle sue opere ma che, anzi, si arricchisce di sfumature e di significato;
- Confortante, per come restituisce a Turgenev la sua dignità morale individuale senza minimizzare o esaltare il ruolo sociale che ha avuto per i suoi contemporanei assumendosi il compito e le responsabilità di colui che media e che, forse, è l’unica via che resta da percorrere per raggiungere gli ideali di uguaglianza, libertà e armonia ai quali l’intelligencija russa aspirava;
- Affascinante, per come Dostoevskij, per quanto indiscutibilmente grande come romanziere, appaia come una figura marginale all’interno di un saggio dedicato ai pensatori russi.
In sintesi, un libro da leggere. Se non altro per l’eleganza espositiva con cui l’autore focalizza l’attenzione sui dilemmi che restano ancora da sciogliere per avvicinarsi al concetto di etica e alla sua comprensione pratica, umana. 🙂
Autore: Isaiah Berlin
Titolo: Il riccio e la volpe
Titolo originale: Russian Thinkers
Traduzione: Gilberto Forti
Casa editrice: Adelphi
Pagine: 492
Pubblicazione:
Prezzo: € 30
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