Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?
Un buon titolo per progettare un romanzo normale che si ispira al secondo astronauta a mettere piede sulla luna e a raccontare la storia di Mattias.
La risposta che Johan Harstad formula in questo libro è ampia e articolata.
Non c’è niente da aspettarsi dai suoi personaggi eppure, dati i grandi riferimenti di cui si avvale per dare corpo alla narrazione, si spera che soddisfi le aspettative di chi è convinto che, tutto sommato, non serve andare sulla luna per avere qualcosa da raccontare.
Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? di Johan Harstad: ordinario non protagonista
Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?
Mattias se lo chiede spesso, soprattutto nei momenti di maggiore sconforto, quando il secondo astronauta si conferma come il punto di riferimento più adatto per perseverare nel compito di rimanere un ingranaggio utile al sistema, un personaggio che sta bene solo se può confondersi tra la folla.
“Certe persone non vogliono il mondo intero, anche se potrebbero averlo.
Certe persone non vogliono un paese tutto per loro.
[…]
Certi vogliono solo essere una parte del tutto.
Utile, anche se modesta”.
La filosofia e lo stile di vita del non protagonista della storia di Johan Harstad è semplice ma, in una realtà in cui molti desiderano emergere e primeggiare, non è poi così facile da sostenere.
Fa parte delle regole dell’eterno secondo non mettere in mostra quello che si sa fare se non si vuole essere notati e attirare l’attenzione su di sé. Mattias però la infrange a un ballo scolastico scoprendo una voce bellissima, affinata durante lezioni private seguite rigorosamente di nascosto.
L’intento non è attirare l’attenzione su di sé o diventare il vocalist della band messa in piedi da Jørn, l’amico e il ragazzo più popolare della scuola di Stavanger, ma individuare Helle in mezzo alla folla. È l’unica eccezione che si concede per trovare una fidanzata e scivolare in una vita tranquilla, invisibile, banale, scandita dal lavoro come giardiniere, dalle visite ai genitori o da qualche serata in compagnia dell’amico che ha avuto successo in campo musicale. A Mattias va bene così ed è già tanto, in un mondo che pare impazzito fin dagli anni ’60 e di cui, grazie alla televisione, è ampiamente informato.
Per dodici anni la domanda Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? rimane in sospeso per poi tornare a galla quando quei pochi legami ai quali Mattias tiene di più, perché è su di essi che ruota il suo piccolo mondo, si spezzano. Helle lo lascia e la serra presso cui lavora è costretta a licenziarlo. I fiori costano troppo e durano poco, meglio quelli di plastica al supermercato.
“[…] ero come la cagnetta Laika incapsulata a 6000 km all’ora intorno alla terra a morire ogni minuto di più per mancanza di ossigeno”.
Per un tempo indefinito, Mattias cerca di reggere il colpo e s’imbarca con l’amico come tecnico del suono della sua band per poi trovarsi, fradicio e sanguinante, nelle isole Faroe dove verrà raccolto da Havstein e ospitato in una casa famiglia per ex pazienti psichiatrici ricavata da una fabbrica dismessa, poco distante dal porto.
Esaurimento nervoso, crollo psicofisico, desiderio di scomparire del tutto. Mattias s’inceppa e accade ciò che più aveva temuto, smette di funzionare. Tuttavia, non tutto pare perduto.
Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? prosegue la sua storia raccontando anche di Sofus, Palli, Anna, NN e, verso la fine di Carl e di come cominciano a relazionarsi fra loro nel disperato tentativo di coesistere con sé stessi e con i loro disturbi.
La situazione del non protagonista descritto da Johan Harstad migliora al punto che si affeziona ai suoi nuovi amici.
Quando si sente solo comincia però a curiosare tra le vite altrui. Lo scopo è conoscere le persone alle quali ha cominciato a voler bene e, per Mattias, è l’unica base di partenza che ha per capire come rendersi utile in quella casa famiglia che l’ha accolto quando ne aveva più bisogno, senza chiedergli niente e senza farlo sentire d’intralcio.
Vivere alle Faroe diventa un toccasana. È il posto ideale dove far perdere le proprie tracce, scomparire.
“Ma anche chi è invisibile alla fine si fa notare, come un contorno bianco che si muove nel paesaggio, e non c’è modo di nascondersi”.
Un altro trauma, un’altra perdita e l’equilibrio, faticosamente conquistato per inserirsi in quella linea sottile che c’è tra l’emergere e il concentrare l’attenzione su di sé e il desiderio di far parte di un tutto in cui nessuno è escluso dalla visione d’insieme, rischia di essere compromesso.
Ricompare la domanda Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?
La risposta però non annuncia un’altra fuga ma dà vita a un nuovo progetto che, depositato nel cassetto di Havstein, viene approvato dal nucleo sociale in cui Mattias si è integrato diventando una meta che è possibile realizzare solo se è condivisa e ognuno fa la sua parte.
Gli intenti e le azioni del fare collimano con l’insieme raggiunto da un romanzo normale, un inno al non apparire che comunque sente la mancanza di chi si rifiuta di dimenticarli, che li ama per quello che sono e non per quello che rappresentano e che solo così gli permette di far funzionare un sistema che, in modo anomalo, si rifiuta di sottostare alla corsa ossessiva al protagonismo.
Una bella storia questa di Johan Harstad. Una di quelle incentrate su ciò che non si vede e che non si ascolta ma che comunque lascia dietro di sé una traccia lunga quasi cinquecento pagine che vale la pena di leggere in un giorno, in un mese, per tutta la vita. Kodak moment.
Autore: Johan Harstad
Titolo: Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?
Titolo originale: Buzz Aldrin, hvor ble det av deg i alt mylderet?
Traduzione: Maria Valeria D’Avino
Casa editrice: Iperborea
Pubblicazione: giugno 2017, quinta edizione
Pagine: 491
Prezzo: € 18.50
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