Ho notato La fonte della vita di Bergsveinn Birgisson in libreria perché mi sembrava fuori posto, come se il lettore o la lettrice prima di me avesse cambiato idea non concludendo così il percorso che va dallo scaffale alla cassa.
Questa discordanza mi è rimasta impressa e me ne sono ricordata in un secondo momento, quando ho trovato il libro dove immaginavo dovesse essere il suo posto.
Dando uno sguardo alle prime pagine pare che La fonte della vita contenga una storia che, dall’Islanda e dalla Danimarca, sia giunta fino alle orecchie di Leopardi. Ciò mi ha convinta a comprare un’opera curiosa, un romanzo pratico e razionale, un libro di difficile definizione.
La fonte della vita di Bergsveinn Birgisson: scienza danese e natura islandese a confronto
Magnús Árelíus Egede è un uomo di scienza e un giovane promettente incaricato dalla Reale camera delle Finanze danese di recarsi in Islanda per fare dei rilievi nella zona più settentrionale dell’isola: quella che si presume essere la più povera e la meno densamente popolata a causa di condizioni ambientali così estreme da renderla umanamente inabitabile.
All’incaricato sono state assegnate molteplici mansioni ma l’obiettivo maturato a Copenaghen è quella di valutare, con metodo scientifico, come trasferire in Danimarca e nelle sue industrie tutti gli islandesi abili al lavoro.
Prima di procedere, La fonte della vita definisce i contesti.
Da una parte c’è un’isola al limite della sopravvivenza per la serie di epidemie e cataclismi naturali che si abbattono su di lei e, dall’altra, una Danimarca illuminista preoccupata dalle spese sostenute per far rendere economicamente una colonia soffocata da una gestione predatoria delle risorse che l’Islanda, nonostante tutto, offre ai suoi padroni.
Per poter svolgere agevolmente il suo lavoro, il protagonista ha a disposizione vari documenti da esibire per essere riconosciuto nel ruolo assunto a nome della corona e della nazione danese e due assistenti accuratamente selezionati: un collega scienziato di origine islandese e un locale che possa fare da guida ai due esploratori.
L’idea di spiegare come sia possibile che gli islandesi riescano a vivere in condizioni di estrema indigenza e precarietà ambientale non è contemplata. Il parere è che non sia un concetto utile per calcolare correttamente il numero di abitanti sani da deportare e dei possedimenti da lasciare a chi è troppo debole per lavorare. In tal senso, La fonte della vita è un romanzo pratico. Non si chiede se sia giusto o meno mettere in atto un trasferimento di massa ma vuole avere dati certi che l’impresa maturata sia il meno dispendiosa possibile ed è a questa linea alla quale Magnús si attiene scrupolosamente.
Per due terzi del libro il protagonista annota tutto ciò che vede spedendo regolarmente i suoi dispacci alla Cancelleria della Reale camera delle Finanze. Scrive ciò che conferma i propositi dei committenti, si duole di riportare i netti rifiuti che riceve quando chiede agli islandesi che incontra se vorrebbero condurre una vita migliore in Danimarca e omette le comunicazioni interne e del suo seguito per quanto riguarda le incongruenze che emergono durante il progetto di ricerca.
“Il narratore e le sue fonti, che all’epoca seguirono di nascosto quella compagnia e ne riferirono la storia, si vedono di nuovo costretti a colmare in parte le lacune che si creano nelle brevi missive del magister al cancelliere. Ciò è dovuto […] al solo scopo di evitare che la storia diventi una deformità senza capo né coda. Oltretutto spesso si preferisce sapere quello che è vero e giusto, e riconoscere la differenza tra cosa sia davvero accaduto e che cosa sia al contrario finzione letteraria e fantasia”.
In questo modo la struttura del romanzo è ben delineata perché segue la logica ma è quando il buonsenso l’abbandona, facendo procedere Magnús in solitudine, che la narrazione si fa più avvincente e davvero interessante.
Il magister smette di scrivere le lettere in cui presentava come sciocche superstizioni le storie che svelano gli stratagemmi con cui la cultura popolare islandese sopravvive prediligendo speculazioni scientifiche che sanno di baggianata e comincia a toccare con mano la realtà umana che sta ancora analizzando, anche quando ormai ha abbandonato il pensiero che gli suggeriva che solo la scienza poteva illuminare la natura adattandola alle leggi morali della civiltà e del progresso.
“I libri non erano riusciti a farlo diventare un filosofo. Era stata l’esperienza della vita, a lui estranea, della povera gente”.
Il magister comincia a capire e, nel contempo, ad allontanarsi dalle idee illuministe che davano illusoria importanza e un manto salvifico al suo incarico ufficiale.
Verso la fine del romanzo, Magnús incontra una donna alla quale hanno tagliato la lingua e, in modo del tutto irrazionale, se ne innamora per poi rinnegarla in nome della ragione e della missione da compiere.
Sarà l’incontro con un orso a ristabilire gli equilibri sui quali si struttura un romanzo che raccoglie un’enorme quantità di dati ed elementi sui quali è possibile lavorare per far coesistere Natura e Scienza definendo una realtà più simbiotica di quella iniziale, basata sull’opposizione Islanda/Danimarca.
La risposta fornita dall’epilogo è parziale e, sostanzialmente, concorda diplomaticamente con le cause e le conseguenza messe in moto dall’immaginazione e dalla fantasia del narratore.
Il punto finale è: in quale dei due esiti collocare La fonte della vita di Bergsveinn Birgisson?
Personalmente sono disposta a credere che il posto giusto di questo romanzo sia sul tavolo di una casa abbandonata a nord dell’Islanda ma, per altri, può essere diversamente. Che sia nel bene e nel male rimane, comunque, da stabilire.
Autore: Bergsveinn Birgisson
Titolo: La fonte della vita
Titolo originale: Lifandilífsækur
Traduzione: Silvia Cosimini
Casa editrice: Iperborea
Pubblicazione: maggio 2021
Pagine: 317
Prezzo: € 18
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