Artista irrequieto e iper sensibile, folle e geniale, Vincent Van Gogh ha attraversato tante fasi in pittura quante lo sono stati i cambi di stile e di residenza toccati sugli spazi di tele che, a cercarne il pensiero profondo che le regola, c’è da perdersi.
Trovare e seguire il filo conduttore che lo lega e lo libera per mezzo delle opere che ha lasciato non è semplice però le Lettere a Theo, al quale era affezionatissimo, aiutano molto in questo intento.
Lettere a Theo di Vincent Van Gogh: la visione realistica dell’arte
Katherine Mansfield diceva che:
“L’arte non è il tentativo dell’artista di conciliare l’esistenza con la sua visione; è il tentativo di creare il suo proprio mondo dentro questo mondo”
Per certi versi questo appunto combacia abbastanza con la concezione che Van Gogh aveva di sé e del percorso intrapreso:
“Voglio che tu capisca bene la mia concezione dell’arte. Bisogna lavorare a lungo e duramente per afferrarne l’essenza. Quello a cui miro è maledettamente difficile, eppure non penso di mirare troppo in alto. Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente. […]”.
Lettere a Theo descrive ossessivamente i progressi e i fallimenti nel giungere il più vicino possibile alla verità che Vincent aveva appreso sull’arte, sulle intenzioni umanitarie insite in essa e volte ad orientarlo nella sua ricerca di un posto nel mondo che, il più delle volte, si colloca in modo speculare accanto a quello del fratello.
In una prima fase, il passaggio dal desiderio di diventare un predicatore al bisogno di realizzarsi e definirsi come pittore non è immediato ma è percepibile e, comprensibile. Le lettere conservano nel mutamento di tono anche la tensione dovuta al dovere morale che lo scrivente si impone per equilibrare l’espressione di emozioni e sentimenti esistenziali con le questioni meramente pratiche del vivere e del lavorare rimanendo saldo, inoltre, al bisogno profondo di conoscenza e applicazione dei principi umanitari in cui crede.
“[…] sono sempre portato a credere che il mezzo migliore per conoscere Dio sia di amare molto. Amare un amico, una persona, quello che vuoi tu, e tu sarai sulla buona strada per saperne di più, ecco ciò che mi dico. Ma bisogna amare di intima simpatia interiore, con volontà, con intelligenza, cercando sempre di approfondire la conoscenza in ogni senso”.
A questa linea di pensiero e di sentire l’artista si attiene anche nell’accogliere la prostituta, malata e incinta, alla quale decide di rivolgere le sue cure trattandola con maggiore umanità e che fu motivo, irrisolto, di scandalo e controversie tra l’artista, la famiglia e la società.
Theo, nel suo sostenere economicamente il credo di Vincent, inadatto in questa seconda fase a sottostare alle convenzioni onorate dalle persone perbene, è l’unico confidente in grado di capire la natura dei principi che guidano le azioni del fratello e l’unico contatto utile ad alleviare per quanto possibile la malinconica tendenza di vivere una vita povera e votata all’isolamento sociale.
Le crisi di Vincent fungono da indicatori del livello di logoramento di un’anima che, malgrado le divergenze di opinioni e di vedute affrontate, non sfociano mai in una vera e propria separazione con il destinatario più importante di questa corrispondenza ma, anzi, rimangono fertili e idonee per aprire una terza fase in cui il mittente spera di realizzare ad Arles, in Provenza, una scuola del colore e un’associazione di artisti d’avanguardia che, sul piano economico, siano sufficientemente autonomi per non essere di peso.
“Ho pensato a Gauguin […]”.
Dal carteggio si può desumere e fa quasi tenerezza come l’arrivo di Gauguin sia, per Vincent, l’ultima speranza di avere un amico, un discepolo, una persona da amare e di cui prendersi cura come fece con Sien e che, al contrario di lei, abbia anche la sensibilità e le capacità utili per vivere di comune accordo e comprensione.
Tuttavia la rottura del sodalizio tanto agognato sarà il colpo di grazia per la stabilità mentale di Van Gogh che perde fiducia e speranza nel mondo che credeva di vedere e per cui si sentiva in debito per il solo fatto di esistere.
“Il mondo mi riguarda solo in quanto sento un certo debito e un senso del dovere nei suoi confronti […] per gratitudine, voglio lasciare di me un qualche ricordo sotto forma di disegni o dipinti – non eseguiti per compiacere un certo gusto in fatto d’arte, ma esprimere un sincero sentimento umano”.
Leggendo le Lettere a Theo è possibile anche capire perché il successo della sua arte gli facesse orrore, come se questo gli fosse di impedimento e di ostacolo per estinguere il debito contratto come individuo e artista fuori dagli schemi e che cercava di pagare afferrando l’essenza dei colori di cui aveva costantemente bisogno per lavorare e per meritarsi il suo posto nel mondo. È una verità (una verità e non la verità) che, racchiusa in questo libro, fa male al cuore però, arriva, con la rude tenerezza che Vincent Van Gogh esprime nelle opere che ha lasciato e che, finché ci saranno, non si finirà mai di ammirare e contemplare.
Autore: Vincent Van Gogh
Titolo: Lettere a Theo
Titolo originale: Brieven aan zijn broeder
Traduzione: Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia
Casa editrice: Guanda Tascabili
Pubblicazione: marzo 2021
Pagine: 412
Prezzo: € 14
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