Era Il canto dell’essere e dell’apparire il primo libro che volevo leggere di Cees Nooteboom ma, non trovandolo disponibile né in libreria né in biblioteca, ho ripiegato su Cerchi infiniti e sulle annotazioni che l’autore olandese, più volte candidato al Nobel, fornisce dei suoi viaggi in Giappone.
Cerchi infiniti di Cees Nooteboom: annotazioni olandesi su panorama nipponico
Cerchi infiniti di Cees Nooteboom è, appunto, una raccolta di annotazioni dedicate al Giappone e intitolate:
- Il compleanno dell’imperatore, il pathos delle cose e altre esperienze giapponesi;
- Zuihitsu;
- Montagna fredda;
- Cerchi infiniti;
- Monasteri giapponesi;
- L’atelier del Nord: Hokusai a Parigi;
- L’ombra di Nyogo: il Giappone a Londra;
- Il mistero nello specchio: le ossessioni di Ian Buruma;
- La storia di Genji: un romanzo di mille anni.
Sono annotazioni che, distribuite in spazi temporali distinti che vanno dal 1980 al 2012, non seguono nella loro disposizione testuale un ordine di lettura lineare.
In questo modo l’intera raccolta ha una composizione in cui si descrivono istanti che, tra loro, hanno in comune il senso di estraneità, di appartenenza e di cortese distacco con cui la cultura nipponica cela, all’occhio curioso e spesso invadente della cultura occidentale, l’estetica e la codifica di suoni, linguaggi e sentimenti che, all’esterno, si presentano adottando un’immagine schiva e sfuggente, statica e dinamica, criptica ed enigmatica, attraente e respingente.
Per quanto impercettibili, tuttavia, ci sono delle possibilità per tradurre l’interiorità di un Paese che non si lascia coinvolgere dai romanticismi o dagli idealismi che lo straniero gli ricama addosso.
Narratore e lettore appassionati del Giappone, faticosamente, si trovano a dover accettare e rispettare l’etichetta che li colloca al di fuori dello sguardo nipponico e sulla superficie delle brutture del mondo moderno e industrializzato che non è più o meno reale delle piccole bellezze, dei dettagli tradizionali di cui è punteggiato.
“[…] la mia presenza provoca reazioni, eppure in un qualche modo sono sempre invisibile e non esisto sul serio.”
L’occidentale si accontenta quindi di stare in disparte perdendosi nell’interno. A lasciar fluire lo sguardo verso i giardini e il teatro giapponesi, in cerca di isole privilegiate dove poter seguire da lontano – pur rimanendo sul posto e in mezzo all’affollamento di costumi, gestualità e linguaggi estremamente impersonali che lo riempiono – come l’individuo e la collettività esprime il rapporto e l’isolamento che ha instaurato con il mondo naturale, emotivo, spirituale.
L’idea di base è cercare di capire, con discrezione e senza pretese, quali siano le relazioni e le interazioni che i giapponesi hanno sviluppato in un sistema di pensiero che offre pochi agganci per renderlo simile, familiare a quelli del mondo di fuori.
“Come funziona veramente: un determinato paesaggio evoca un genere di immagini specifiche o è la percezione che hai del paesaggio a essere determinata dai quadri che hai visto?”
Pur attenendosi all’impronta occidentale, l’approccio di Nooteboom nel cercare di decifrare la millenaria cultura dell’istante e del mutamento si discosta dalla linearità narrativa di Ferguson preferendo uno stile di scrittura che procede in modo asimmetrico, scandito nel tempo e non nello spazio.
Più che un pellegrinaggio volto a spiegare il Giappone e a descrivere la sua essenza, Cerchi infiniti di Cees Nooteboom è una frequentazione di realtà che hanno cessato di esistere ma che hanno lasciato traccia di sé attraverso i libri che – precedendo gli aspetti e le ritualità che hanno affascinato I vagabondi del Dharma di Kerouac – aiutano ad avvicinare l’esploratore ai collegamenti essenziali sui quali la struttura sociale e culturale del Sol Levante si fonda e si preserva.
“Nei viaggi in paesi lontani c’è sempre un secondo arrivo, quello vero. Il primo arrivo allora non conta già più – appartiene a ciò che adesso non vuoi più essere […] e ha continuato a starti tra i piedi mentre eri diretto verso l’istante sognato in cui il viaggiatore coincide con l’immagine del suo desiderio intimo, quello in cui si è messo in viaggio”.
Il viaggiatore olandese assume così una forma che fa del dettaglio il suo punto di aggancio con il luogo che desidera conoscere, senza farne parte e senza commettere la bizzarria di identificarsi con esso.
Andando e tornando, cercando e osservando, l’immagine del Giappone si completa non solo di dettagli ma anche dei significati che rimangono invisibili perché ancorati, da tempo immemore, sul fondo del mondo invisibile, completamente chiuso all’esterno ma che ha comunque formulato delle chiavi che consentono all’ospite di fare dei parallelismi per avere un’idea essenziale della realtà irreale che stanno visitando.
Una delle chiavi citate, ad esempio, è La storia di Genji: un romanzo di mille anni. Gli istanti colti con i sensi, senza pregiudizi e scritti nel giapponese presente a Murasaki Shikibu si possono ritrovare anche nelle annotazioni olandesi di Cees Nooteboom e combaciano in modo similare con gli effetti di lettura che fluttuano e si cristallizzano in un’esperienza che stempera l’inclinazione a sciogliere con la conoscenza l’ossimoro culturale mai del tutto decifrabile che si incontra ogni volta che si approda sull’isola, fisicamente o idealmente.
Bello e particolare, Cerchi infiniti è un libro da leggere con calma, senza immaginare a come definirlo perché, malgrado le poche pagine di cui è composto, ha parecchie immagini da contemplare. 🙂
Autore: Cees Nooteboom
Titolo: Cerchi infiniti
Titolo originale: Antologia di scritti tratti da Nachttrein naar Mandalay, Wat het oog je vertelt – Kijken als avontuur, De schrijver als hoofdpersoon – Lezen als avontuur
Traduzione: Laura Pignatti
Casa editrice: Iperborea
Pubblicazione: febbraio 2020
Pagine: 180
Prezzo: € 15
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