Memorie di un cacciatore di Ivan S. Turgenev, per estensione, segue lo stile e le tematiche accennate in Umili prose da Aleksandr S. Puškin in cui si racconta l’esistenza, in letteratura, di una Russia immensa, governata da una struttura sociale complessa, in cui le idee progressiste di uguaglianza e umanità rimangono sottomesse, ma non soffocate, all’attaccamento e al senso di proprietà che ne condizionano l’andamento.
A dispetto di quanto dice il retro di copertina, Memorie di un cacciatore non si ribella né condanna il destino di cui fa parte. Lascia che sia il modo di cui ci si appropria di esse a cogliere, indirettamente e con cognizione di causa, l’appello insito nel libro e rivolto a chi ha veramente il potere di formulare una denuncia e un giudizio obiettivo.
Memorie di un cacciatore di Turgenev: letteratura, nel senso esteso del termine
Memorie di un cacciatore è la testimonianza che Ivan S. Turgenev lascia ai suoi lettori, russi e non, cogliendo l’eredità di Puškin e l’intenzione di far esistere, almeno su carta, una letteratura complessa e stratificata per le sfumature di sentimenti e condizioni di cui si fa oggetto e soggetto narrativo.
È composto da venticinque racconti che, romanzati con grazia e in stile colloquiale, si assumono il compito di spiegare la struttura gerarchica e sociale della Russia ottocentesca. Per far questo, il narratore sceglie prima di tutto i contesti di Chor’ e Kalinyč e fornisce gli elementi linguistici, di costume e comportamento che distinguono il contadino libero dal servo della gleba e che solo un nobile o un proprietario terriero dovrebbe saper riconoscere per mutare l’atteggiamento e ridistribuire diritti, doveri e privilegi della comunità posta sotto la sua giurisdizione.
La figura del narratore riassume, in un unico individuo, tutti i pro e i contro di un’umanità in cui la dignità e l’amor proprio varia a seconda della condizione sociale in esame. Fra le tante, quella del cacciatore è la più utile ed efficace per esercitare diritti e privilegi senza assumersi responsabilità che corrono il rischio di essere fraintese e mal interpretate dai contesti che egli può permettersi di attraversare.
“Uno dei vantaggi principali della caccia, miei cari lettori, consiste nel fatto che essa induce a spostarsi senza posa da un posto all’altro, il che è estremamente piacevole per chi non ha nient’altro da fare”.
In stretta comunione con la natura, Memorie di un cacciatore è ricco di incantevoli descrizioni di luoghi e, anche e soprattutto, di volti dagli occhi scintillanti che, a seconda del grado di libertà e di azione (diritto di commerciare, di avere una casa, di sposare chi si ama) comunicano espressioni di vitalità, malinconica e dolce, come l’unico atto di ribellione possibile contro un sistema che vede e gestisce la moltitudine come un’unica proprietà al servizio assoluto dello zar, dei nobili e degli amministratori incaricati a mantenere l’ordine.
Fissati, a grandi linee, i percorsi narrativi esplorati e da approfondire, il narratore si perde e si trova costretto a sostare su Il prato di Bež dove ha modo di ascoltare, di nascosto, le storie di un gruppo di ragazzini a guardia di cavalli. È un momento di quiete che, posto poco dopo aver varcato gli inizi del libro, aiuta a raccogliere le forze necessarie a ricomporre le idee astratte e idealiste di chi narra con il sentire comune dell’anima russa, fedele da tempi immemori alla convinzione di non poter sfuggire al suo destino.
Le informazioni raccolte nella radura e trasmesse inconsapevolmente da fanciulli intorno a un fuoco sono lo stratagemma che Turgenev adotta per non opporre resistenza e non interferire con l’atteggiamento che i russi hanno quando si tratta di affrontare i sentimenti e le emozioni modulati ne I cantori e che riflettono il loro modo di vivere e/o di accogliere La morte.
“È sorprendente la morte di un contadino russo! Il suo stato d’animo prima di morire non è né indifferenza né ottusità, muore come se stesse compiendo un rito: con distacco e semplicità”.
Per quanto attento ad osservare senza violare inutilmente l’intimità che si crea tra il cacciatore e gli abitanti dei luoghi scelti per esercitare il suo passatempo il narratore realizza, con l’incontro con L’Amleto del distretto di Ščigry, che non vi è nulla di originale in quello che sta facendo e che né le tradizioni né le idee progressiste alle quali tende possono cambiare, in meglio, le condizioni sue e dei suoi simili.
Esteso ad ogni aspetto umano e naturalistico, Memorie di un cacciatore si conclude nella contemplazione partecipata delle risorse più belle e bistrattate che la realtà ha da offrire per mezzo di Tat’iana Borisovna e della Reliquia vivente per poi ripiegare, rassegnato quasi, su quanto rimane riguardo La fine di Certopchanov. Quest’ultimo, infatti, aveva un amico, una donna e un cavallo ma, una volta perduti, egli diventa il simbolo della tragica parabola che rende nobile la letteratura russa, anche quando è povera e decaduta.
“[…] spesso le cose più insignificanti producono maggiore effetto sulle persone delle cose importanti”.
A confronto con opere più note perché scritte da Tolstoj o da Dostoevskij, Memorie di un cacciatore di Ivan S. Turgenev affascina per l’attenzione che mette nel non prendere di mira ciò che vi è di più caro e prezioso per l’individuo e la collettività con la quale interagisce. Senza colpevolizzare la sensibilità o l’insensibilità proiettata verso le ingiustizie rappresentate fa sorgere il dubbio che forse la letteratura, nel senso esteso del termine, è un modo come un altro per poter essere indissolubilmente legati a sé stessi e a quel pezzettino di libertà che ci si ritaglia per coltivare il proprio, personale e umanissimo senso di dignità.
Autore: Ivan Sergeevič Turgenev
Titolo: Memorie di un cacciatore
Titolo originale: Zapiski ochotnika
Traduzione: Maria Rosaria Fasanelli
Casa editrice: Garzanti
Pubblicazione: ottobre 2020, VII edizione
Pagine: 380
Prezzo: € 10
No Comments