Insoddisfatta dalla lettura di In Patagonia avevo messo da parte l’idea di leggere altro di Bruce Chatwin per poi recuperarla trovando, tra i libri acquistati in passato, Anatomia dell’irrequietezza.
Sul retro del libro lo scrittore viene descritto come colui che amava pensare camminando e così, in questo post, mi sono data modo e tempo per affrontare limiti e possibilità di questo secondo tentativo di lettura.
Anatomia dell’irrequietezza di Bruce Chatwin: appunti ordinati e sparsi
Anatomia dell’irrequietezza si pone l’obiettivo di seguire il disordine logico e non l’ordine cronologico degli scritti di Bruce Chatwin precedenti al suo viaggio In Patagonia e al suo riconoscimento come scrittore ed esploratore.
Appunti che, già pubblicati in importanti riviste culturali del tempo, sono stati catalogati dai curatori in sezioni intitolate Horreur du domicile, Racconti, L’alternativa nomade, Recensioni e, infine, L’arte e l’iconoclasta.
Horreur du domicile
Horreur du domicile è una miscellanea in cui l’autore spiega l’origine del suo cognome e raccoglie i nomi di quei parenti, stretti e alla lontana, che più degli altri hanno alimentato la sua immaginazione e il suo desiderio perenne di non stare mai fermo nello stesso posto.
In poche pagine Bruce Chatwin mette insieme una sommaria autobiografia che lo mostra come un individuo destinato a seguire una tradizione familiare girovaga e fuori dagli schemi. Un giovane affamato di arte, viaggi e novità che, motivato a non farsi intrappolare in situazioni stabili e sedentarie, sceglie varie occupazioni in cerca di quella più adatta e da giocare a suo vantaggio.
“Di lì a non molto di un esperto per tutte le occasioni, e volevo di qua e di là a sentenziare, con incredibile arroganza, sul valore o l’autenticità delle opere d’arte.”
Semplici o caricate di colore per renderli più emozionanti e lontani da una certa idea di normalità o, peggio da un’immagine frivola e turistica della letteratura, gli aneddoti personali e professionali di Bruce Chatwin sono l’ossatura che sostiene Anatomia dell’irrequietezza in forma di libro.
“Mentre cucivo insieme le frasi riflettevo che raccontare storie era l’unica occupazione concepibile per una persona superflua come me”.
L’occupazione dello scrivere è abbastanza per soddisfare la sete di immagini e di avventure che Chatwin traduce nei Racconti che, a loro volta, alimentano l’ispirazione artistico-letteraria fissata, per comodità logistiche e organizzative, In Patagonia.
Racconti
Se non fosse per l’ordine di disposizione che colloca agli antipodi una storia in cui l’avventuriero viene iniziato ai misteri del sesso e un racconto che svela le cause della morte di una studiosa e amica, questa sezione del libro pare l’inserto di una rivista specializzata in cui si comunicano al lettore realtà che esistono solo per fare da fondo e palcoscenico ai discorsi razzisti, nazionalistici e filosofici di cui è intriso. Discorsi sui quali l’autore evita, lasciandolo tra le righe, di esprimere un’opinione, come se fingesse di non voler condizionare il senso critico ed estetico di chi legge.
A rendere interessanti i Racconti di Bruce Chatwin è, comunque, il taglio narrativo che li accomuna e che produce un intermittente grado di coinvolgimento riguardo a ciò che scrive e che lo appassiona mentre gli aspetti emotivi correlati paiono lontani miraggi, troppo poco importanti per definirli al fine di dare maggiore intensità alla narrazione.
“La mia storia è priva d’importanza. Detesto le confidenze. D’altronde sono convinto che un uomo è la somma delle sue cose, anche se alcuni fortunati sono la somma di un’assenza di cose”.
La resa è visiva e particolareggiata e l’effetto didascalico, informativo e quasi asettico che rende riconoscibile un certo modo di narrare inducono il lettore a scorrere le pagine intitolate L’alternativa nomade.
L’alternativa nomade
Una lunga lettera informa il destinatario l’intenzione del mittente di scrivere un libro sui nomadi per rispondere alla domanda:
“Perché gli uomini vanno girovagando invece di starsene fermi?”
sulla quale strutturare un trattato che indaga la società stanziale considerata logica, civile e proiettata al progresso e alle comodità contrapponendola all’alternativa nomade errante che soddisfando l’impulso di spostarsi secondo i cicli naturali preferisce una vita instabile, irrazionale e scomoda.
Nell’insieme, è una curata e dettagliata trasposizione delle dinamiche che due società e culture attivano quando, ignorandosi a vicenda, si accostano e si respingono secondo la categoria oppositiva migliore/peggiore.
Ad eccezione dell’ultimo scritto nel quale dichiara apertamente perché preferisce un sistema esclusivo rispetto a un altro Chatwin non sembra intenzionato a cercare una via di mezzo che le includa entrambe. Ogni frase è disposta in modo da mascherare tale operazione e persuade chi legge di essere libero di scegliere a quale delle due realtà e filosofie affidarsi.
Recensioni
Le Recensioni non sono altro che una selezione degli articoli che l’autore scrisse per parlare dei libri più affini al suo modo di essere e allo stile di vita condotto e che descrivono, un po’ alla maniera di Kipling un po’ sul filo di riflessioni proustiane, il tema del viaggio e dello studio di terre estranee alla civiltà europea.
Fintamente polemiche, le Recensioni sviluppano analisi critiche e approfondimenti sui pregiudizi e sull’instabilità politica e sociale a cui sono soggetti i luoghi esplorati abbinando al professionale riconoscimento delle competenze degli autori letti con le conoscenze proprie del recensore impegnato a fare una stima sul valore e sulla validità delle opere saggistico-letterarie esaminate.
L’arte e l’iconoclasta
In questa ultima parte, Anatomia dell’irrequietezza punta a Capri per descrivere l’ambizione di tre noti scrittori desiderosi di costruire a loro piacimento ville richiamanti le magnificenze architettoniche dell’antichità, depravazione d’interni e di costumi compresi.
Nell’ossessivo e compulsivo desiderio di emulare, dalle rovine, l’imperatore Tiberio in tutte le sfaccettature che lo hanno consegnato alla storia d’Occidente e all’immortalità, i tre celebri autori finiscono per diventare i personaggi chatwiniani di una barzelletta storica il cui scopo finale non è divertire ma scagliarsi nettamente contro la filosofia iconoclasta, causa dell’avvelenamento e del decadimento del mondo dell’arte e dei suoi valori.
Per mezzo delle tre versioni che raccontano lo stesso concetto di base, Bruce Chatwin si cimenta a spiegare l’impulso civile al collezionismo e a far notare, con discrezione, che esso non è poi così diverso da quello di viaggiare nei luoghi attraversati dalle popolazioni nomadi:
“[…] il collezionista si crea un sistema morale da cui esclude gli esseri umani. Possiamo chiamarlo la moralità delle cose”.
Nell’insieme, anche qui ci si limita, schermando al lettore ciò che l’autore realmente pensa, a riportare ciò che scorre tra due poli di uno stesso tema in cui si alternano frasi contraddittorie cucite assieme a formare un tutto vago e coerentemente disomogeneo.
In conclusione, Anatomia dell’irrequietezza di Bruce Chatwin è un libro impeccabile sul piano giornalistico: incuriosisce ad approfondire un testo al quale è stato apposto un titolo accattivante e azzeccato e induce a cercare un punto fisso utile a decifrare le riflessioni d’insieme senza generalizzare. La voce di fondo, tuttavia, mi è parsa un po’ noiosa e pedante rendendo difficoltosa e scomoda un’esperienza di lettura che non si distingue da quella offerta nel più celebre e stimato In Patagonia.
Autore: Bruce Chatwin
Titolo: Anatomia dell’irrequietezza
Titolo originale: Anatomy of Restlessness
Traduzione: Franco Salvatorelli
Casa editrice: Adelphi
Pubblicazione: marzo 2007, Terza edizione
Pagine: 221
Prezzo: € 9
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