Il weekend di Charlotte Wood ha fatto la sua comparsa nelle librerie italiane in agosto e ho pensato di leggerlo a novembre per dare un tocco di colore, grazie alla sua copertina, alle serate invernali.
È un romanzo che ha per protagoniste tre amiche che si riuniscono, dopo tanti anni di assenza, nella casa vacanze della loro gioventù per assolvere a un compito molto triste ma necessario, per lasciar spazio a un nuovo modo di intendere e di dare valore all’amicizia tra donne.
Secondo NN Editore, Il weekend è un libro per chi (non) ha paura di Virginia Woolf. Un buon argomento di discussione, a prescindere dall’età rappresentata nella storia di Charlotte Wood.
Il weekend di Charlotte Wood: settant’anni di cliché
La compagna di Sylvie, Gail, è tornata in Irlanda subito dopo il funerale. Non se l’è sentita di occuparsi della casa vacanze a Bittoes, Australia, meta delle amiche più care della defunta che, con lei e in gioventù, trascorrevano Il weekend.
Le amiche hanno raggiunto la soglia dei settant’anni e le loro scelte individuali sembrano aver logorato il filo dell’amicizia che le univa. Un’amicizia della quale preservano la memoria in una serie di ricordi che danno loro la forza necessaria per ripulire le stanze del passato comune e portar via ciò che vogliono conservare, prima della vendita dell’immobile.
A leggere le considerazioni della traduttrice, Chiara Baffa, Il weekend mette in scena tre cliché di donna.
Jude, pratica e inflessibile, è un’ex maître di sala di ristoranti stellati che vive in una casa signorile, circondata da oggetti di lusso forniti dall’amante storico, un uomo sposato abituato a discutere di affari tra un campo di golf e l’altro e a parlare con lei, saltuariamente e senza abbandonare moglie e figli, di arte e letteratura. Un cliché che rende Jude ostile verso gli altri e che, ripiegata in una vita interiore costruita a tavolino, usa per nascondere la rabbia delle persone abituate ad essere ignorate ma che non hanno mai smesso di attendere di essere accompagnate anche loro a un metaforico banchetto ed essere riconosciute come parte integrante del mondo al quale hanno dedicato la vita per servirlo con professionale sorriso.
Wendy è l’intellettuale femminista della compagnia. Una mente brillante e acuta che ha lavorato tutta la vita per discutere di indipendenza ed emancipazione celando il senso di colpa e il paradosso di aver sposato un uomo che amava e che si è occupato da solo dei loro figli. Figli che, da adulti, ricordano alla madre come non sia mai stata, per loro, una madre, anche se ci ha provato. Un controsenso che Wendy non ha ancora risolto e che la fa apparire sempre più stanca e assente a sé stessa e agli altri.
“Come faceva Wendy a non capire che alla loro età non c’era niente di più importante che sembrare come minimo delle persone sane di mente?”
Si chiede Adele, l’attrice convinta di avere le stesse opportunità di successo che aveva a trent’anni e che, come a trent’anni, conserva ostinata il desiderio di tornare alla ribalta e alle luci del palcoscenico con uno dei ruoli femminili meglio interpretati in Chi ha paura di Virginia Woolf? Adele è l’eterna fanciulla che, fiduciosa e affettuosa, si tiene pronta per elargire consigli con la spensierata allegria che la contraddistingue con l’unico fine di farsi voler bene, di essere considerata per il semplice fatto che esiste malgrado, un tempo, sia stata celebre per la sua bellezza.
Pur nei cliché, Jude, Wendy e Adele, collocate in stanze separate della casa di Sylvie, si mantengono donne singolari, interessanti, ancora forti e piene di vita. Le fragilità e le debolezze sulle quali ci sarebbe da discutere riguardano più il decadimento fisico che morale.
Se per il lettore è chiaro che non si tratta di involucri vuoti, stereotipi di donna prive di una storia e un passato che motivi i cliché che portano, per la realtà del romanzo e per chi non legge tale romanzo, appaiono come sono: fantasmi delle persone che erano e con le quali ci si presta ad essere gentili solo perché sono anziane.
“Ma voler bene a una persona non significa rispettarla”.
È la frase chiave che inquadra Il weekend di Charlotte Wood e che rivela interessi e intenzioni del romanzo che, alla fine, non dà importanza al numero di cliché presenti nella narrazione ma fa attenzione ai perché ci sono, cosa dicono e significano per poi dimostrare che c’è sempre tempo per liberarsene tenendo solo ciò che serve a sostenere un’altra fase del vivere. In questo Adele aiuta tenendo per mano Wendy che capisce e Jude che affronta mostrando come i cliché se ne vanno mentre l’amicizia, resta e viene rispettata. 🙂
Autrice: Charlotte Wood
Titolo: Il weekend
Titolo originale: The Weekend
Traduzione: Chiara Baffa
Casa editrice: NN Editore
Pubblicazione: luglio 2020
Pagine: 229
Prezzo di copertina: € 18.00
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