L’ibisco viola di Chimamanda Ngozi Adichie è uno dei propositi di lettura dell’anno e che menzionai nella newsletter del blog, poco tempo dopo aver letto Dovremmo essere tutti femministi.
È un romanzo che non giustifica né condanna la storia che illustra, è un romanzo che lascia il segno come se avesse fornito una risposta comprensibile a domande silenziose che attendono di essere espresse ed è un romanzo che non pretende di spiegare le contraddizioni che l’attraversano e che, nonostante tutto, è capace di legare a sé chi lo legge e di avvicinare ciò che non si tollera.
L’ibisco viola di Chimamanda Ngozi Adichie: tradizioni e contraddizioni
L’ibisco Viola è ambientato nella Nigeria post coloniale e si concentra su una ricca famiglia autoctona e del suo rapporto con la religione cattolica e la politica del governo.
Il capofamiglia, Eugene, è un uomo tenuto in grande considerazione per la ricchezza materiale che gli consente di elargire ampie e generose donazioni alla parrocchia, garantire un’istruzione di livello ai figli Jaja e Kimbali e finanziare l’unico giornale indipendente di cui è proprietario.
Secondo la comunità, Eugene è un modello d’umanità esemplare.
Secondo la sorella di lui, Ifeoma, è un perfetto prodotto del colonialismo.
Secondo L’ibisco viola, la convivenza di tali immagini non è semplice e naturale come appare poiché le contraddizioni insite in esse vengono pagate in privato, nel chiuso delle mura domestiche.
La moglie di Eugene paga l’impossibilità di portare a termine le sue gravidanze pulendo le statuine che colleziona e colloca in una vetrina apposita.
Jaja paga i suoi moti di ribellione nei confronti dell’autorità paterna subendo punizioni corporali e facendo in modo che non si notino i segni lasciati e che vengono condivisi, in un linguaggio fatto di sguardi, solo con la sorella Kimbali.
Kimbali mantiene il silenzio e il riserbo su quello che vede e su quello che prova comportandosi come se non avesse pensieri e sentimenti contrastanti che soffocano la sua capacità di parlare, di piangere o di sorridere. È un silenzio che le permette di poter guardare il mondo che la circonda di nascosto evitando di fornire al padre motivi di delusione che lo costringano a trattarla come tratta la madre e il fratello, con violenza. Kimbali paga raccontando al lettore L’ibisco viola e come e perché la sua famiglia si disgrega:
“A casa tutto cominciò a crollare quando mio fratello Jaja non andò a fare la comunione e papà scagliò il suo pesante messale attraverso la stanza e ruppe le statuine della vetrina. Eravamo appena tornati dalla chiesa”.
Il processo di disgregazione della famiglia narrata da Chimamanda Ngozi Adichie avviene nel momento in cui i due fratelli ottengono il permesso di vivere per un periodo di tempo con zia Ifeoma, insegnante universitaria di storia e cultura nigeriana, vedova con tre figli e con risorse economiche opposte a quelle di Eugene.
Per quanto povera, Ifeoma fa pur sempre parte della famiglia ed è l’unica abbastanza forte per contrapporsi al fratello e soccorrere i nipoti tramandando loro quello che sa su indipendenza, amore e libertà.
È un’immagine, quella di Ifeoma, che permette a Kimbali di guardare un sistema familiare diverso da quello in cui è cresciuta. I cugini sono educati a esprimere il loro pensiero, a parlare, a discutere di cultura, politica, tradizioni sociali senza far troppo caso a una vita in comune scandita dalla carenza di acqua, elettricità e mezzi di trasporto.
Le chiacchiere e le risate della famiglia di Ifeoma e l’atteggiamento di quest’ultima nel descrivere la realtà di cose e persone per come le vede, senza subirle e senza schierarsi contro o a favore delle culture tradizionali e colonialiste che ribollono in Nigeria, influiscono sulla consapevolezza di Jaja e sul senso di autostima di Kimbali.
L’immagine di Ifeoma è in evidente contrasto con quella di Eugene che, in quanto perfetto prodotto del colonialismo, compra ed esercita il diritto di stare al suo posto e di prosperare tra la sua gente adottando ciecamente (fanatismo religioso) modelli di pensiero e di morale importati da fuori attraverso i quali giustifica le sue azioni volte a mortificare e condannare la moglie e i figli, rei di aver mantenuto un contatto con la cultura d’appartenenza.
I due fratelli, confrontando l’immagine del padre con quella della zia, apprendono e scoprono un modello di armonia e di comunione domestica e familiare che si trasmette nel desiderio di cambiamento espresso nelle richieste e nei rifiuti di Jaja e nel bisogno di Kimbali di credere di essere al sicuro, protetta dal male e dal dolore.
Anche se ci sarà chi scioglierà la maledizione che pesa su Eugene, chi se ne assumerà la colpa e chi pagherà per questo, L’ibisco viola di Chimamanda Ngozi Adichie non risolve le contraddizioni di cui è composto però è un romanzo che ha la forza e la delicatezza di portarle in superficie per dare tempo a Jaja e a Kimbali di capire cosa possono fare o non fare, dire o non dire per imparare a conoscere la Nigeria in cui vivono e coltivare la possibilità di arrivare, un giorno, a comprenderne la storia, la cultura, l’identità.
Autrice: Chimamanda Ngozi Adichie
Titolo: L’ibisco viola
Titolo originale: Purple Hibiscus
Traduzione: Maria Giuseppina Cavallo
Casa editrice: Einaudi
Collana: ET scrittori
Pubblicazione: 2016
Pagine: 275
Prezzo di copertina: € 12.00
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