La donna è un’isola: un’affermazione chiara e semplice attraverso la quale Auđur Ava Ólafsdóttir compone ricette e percorsi ambientati nella fredda Islanda, luogo percorso dalla protagonista decisa a concedersi una vacanza estiva posticipata a novembre.
Il nome dell’autrice è difficile da leggere tanto da sembrare impronunciabile ma il romanzo e le sue quarantasette ricette, più un appunto su come fare le calze a maglia, ha una narrazione traducibile e piacevolmente varia e saporita.
La donna è un’isola di Auđur Ava Ólafsdóttir: romanzo indescrivibile ma, traducibile
La donna è un’isola di Auđur Ava Ólafsdóttir ha per protagonista e voce narrante una traduttrice itinerante che, ad un certo punto della sua vita, decide di troncare la relazione con l’amante per dedicarsi al marito il quale l’ha a sua volta tradita con Nína Lind, la moglie che avrebbe dovuto essere.
Separazioni e divorzi che vengono ufficializzati nelle prime pagine del romanzo e subito dopo aver investito un’oca che, con spirito pratico e pragmatico della traduttrice poliglotta, viene utilizzata per imbastire una cena d’addio guarnita di salse per accompagnare il sapore amaro derivante dal ricevere la preposizione ex al titolo di moglie e amante.
Sbrigate le pratiche del distacco alla voce narrante non resta altro da chiedersi come organizzarsi per badare a sé stessa.
Domande per le quali la voce narrante non sembra aver il tempo di formulare una risposta perché, quasi simultaneamente, vince uno chalet da installare dove vuole, milioni di corone alla lotteria nazionale e accetta di occuparsi di Tumi, un bambino di quattro anni che comunica attraverso il linguaggio dei segni e tende a scappare per cercare il padre mentre la madre, incinta di due gemelle, è ricoverata in ospedale.
Visti e considerati lo svolgersi degli eventi, La donna è un’isola prosegue e persegue l’idea di mettersi lo stesso in viaggio per attraversare l’Islanda, raggiungere lo chalet, dedicarsi a Tumi e allo studio del linguaggio dei segni e dei sentimenti. In questo modo, Auđur Ava Ólafsdóttir inserisce ricette e percorsi di una vita all’interno della quale riaffiorano e si sovrappongono condizionamenti, sogni, ricordi passati e presenti al tempo narrativo che la protagonista attraversa.
Altri animali, oltre all’oca, moriranno lungo il percorso. Accadimenti che spesso combaceranno con l’incontro di uomini amati per vari motivi ma che non sembrano aver contribuito in modo sostanziale alla crescita interiore della donna. Nonostante ciò, la traduttrice si mantiene in carreggiata, consapevole delle poche cose che le sono rimaste e sulle quali si aggrappa per non perdere l’orientamento di lettura:
“È allora, precisamente in quel momento, che per la prima volta mi rendo conto davvero di quello che sono. Sono una donna al centro di un disegno, un disegno finemente intessuto, fatto di sentimenti e di tempo. E le cose che mi stanno capitando, e che hanno un impatto profondo sulla mia vita, sono talmente tante che sembra non si limitino ad avvenire semplicemente una dopo l’altra, ma piuttosto che accadano su diversi piani di pensieri, di sogni e stati d’animo contemporaneamente: momenti inscritti all’interno di altri momenti. Soltanto tra molto tempo mi riuscirà di discernere il filo logico, nel caos di quello che sta succedendo”.
Tale consapevolezza si rivela a metà percorso, a metà romanzo, quando il femminile narrante investe una pecora che restituisce al suo proprietario acquistando quadri di scarso valore e coprendo, inoltre, il furto commesso da Tumi e costituito da quattro gattini destinati ad essere uccisi.
Per quanto saturo di emozioni, pensieri e informazioni che si intersecano fra loro, lo spirito del romanzo non arriva mai al crollo e al non avere più forze e risorse per andare avanti, attraversare sé stesso e ritrovarsi mentre, nel frattempo, si prende cura di altri viaggiando su un’autostrada che poggia su parti mobili che, invece di insabbiarsi in divagazioni, si combinano in quarantasette ricette che ispirano un senso di partecipazione alle intuizioni che, un assaggio dopo l’altro, rendono il tutto più leggibile.
Per come è scritto e da come si decide di leggerlo, La donna è un’isola di Auđur Ava Ólafsdóttir è un’insieme di percezioni, impressioni e sensazioni che fa sorridere in superficie e riflettere in profondità. Ed è un romanzo molto bello, completo, nella forma e nei contenuti, piacevole da sperimentare. 🙂
Autrice: Auđur Ava Ólafsdóttir
Titolo: La donna è un’isola
Titolo originale: Rigning í nóvember
Traduzione: Stefano Rosatti
Casa editrice: Einaudi
Pubblicazione: maggio 2014
Pagine: 275
Prezzo di copertina: € 12
2 Comments
Cara Rita
con piacere trovo tra la tue recensioni un libro della scrittrice Ólafsdóttir, che amo moltissimo, insieme ai suoi personaggi, che si perdono nel caos della vita e ritrovano difficili equilibri, nello sfondo della meravigliosa e dura natura islandese.
Ho letto Rosa Candida , poi l’Eccezione e ora sto leggendo Miss Islanda.
Il libro che proponi tu: il titolo mi fa pensare al corpo delle donne, una terra indipendente ma anche al fatto che le donne, come le isole, bastano a sè stesse e non si perdono nella solitudine. Sarà il prossimo!
Cara Silvia,
concordo con il pensiero che hai esposto riguardo a questo specifico titolo, mi è piaciuto molto il modo in cui l’autrice gli ha dato forma e stile narrativo. Mi ha affascinata ed è stata una bella scoperta, da aggiungere alle letture raccolte in questo blog. Per me, il prossimo di Ólasfdòttir sarà L’eccezione, quando sarà.
Grazie per il tuo commento,
mi ha fatto piacere 🙂