Accabadora è il primo romanzo che leggo di Michela Murgia.
Dopo aver visto e ascoltato l’autrice a ParoleOstili e a PordenoneLegge ho realizzato che fare una visita alla narrativa che propone ai suoi lettori mi mancava.
Accabadora conduce in Sardegna.
Isolando le chiacchiere che si sentono in giro sui personaggi che vivono e muoiono sulle terre osservate e descritte da Grazia Deledda, Michela Murgia racconta nel suo libro la piccola storia importante della protagonista non protagonista, Maria Listru.
Accabadora di Michela Murgia: storia di Maria Listru e di Tzia Bonaria
Cercando qualcosa da dire sull’Accabadora di Michela Murgia non è semplice anche se tutto inizia con una Maria Listru bambina, intenta a guarnire di fiori una torta di fango, che viene venduta a Tzia Bonaria dalla madre naturale.
Figlia di povera gente, Maria è considerata un peso per la famiglia d’origine.
Un peso che, dopo essere stata testimone di un atto colpevole, l’Accabadora decide di alleviare accogliendo la minore delle sorelle Listru in casa sua, in qualità di fillus de anima.
Si innescano, a Soreni, delle dinamiche di cui la bambina non è consapevole perché, abituata a tenersi da parte per non disturbare con la sua presenza il mondo di appartenenza, è interamente concentrata nell’impegno di far funzionare una relazione fatta di gesti, poche parole e lunghi silenzi intervallati, di tanto in tanto, da brevi e occasionali contatti con il mondo esterno a quello condiviso con l’Accabadora.
Certe notti però l’anziana e magra signora vestita di nero che le fa da madre putativa esce di casa, in silenzio e con discrezione. Un’anomalia che Maria Listru fatica a comprendere ma che non le impedisce di disegnarla per darle importanza anche all’interno del contesto scolastico. Il modo in cui viene raffigurata preoccupa la maestra Luciana che, da donna istruita e a conoscenza di fatti e opinioni che circolano sull’Accabadora, cerca di capire la reale condizione della sua alunna preferita richiedendo un colloquio con la genitrice.
Se ci si aspetta uno scontro tra l’Accabadora e la maestra si rimarrà delusi.
Ciò che affascina è come il confronto tra due modelli di donna si risolve in un dialogo che ha il pregio di far emergere quali sono gli argomenti sulla maternità che tendono ad essere dati per scontati e quali vengono rifiutati perché non si assimilano a preconcetti comuni pur infiltrandosi naturalmente nelle chiacchiere e nelle supposizioni che alimentano.
Non c’è molto da dire sulle coppie e le relazioni che si determinano nel romanzo di Michela Murgia che con attenzione evita di attribuire alla bambina numeri e idee che potrebbero o dovrebbero influire sul suo modo di essere e di esistere all’interno e al di fuori di Soreni.
Un’attenzione alla quale Tzia Bonaria si adatta e con la quale entra in contrasto quando si interroga sul quando e il come esercitare il suo diritto di parola sulla vita senza venir meno ai suoi doveri nei confronti della morte.
“Altri hanno deciso per te allora, e altri decideranno quando servirà farlo. Non c’è nessun vivo che arrivi al suo giorno senza aver avuto padri e madri a ogni angolo della strada”.
Non c’è molto da dire sul vero motivo che induce la temuta e rispettata Accabadora ad accogliere e proteggere Maria Listru. Non c’è molto da dire sull’immagine duplice della madre capace, in egual misura, di aver pietà nel togliere e amore nel dare spazio a una piccola storia importante.
Non c’è molto da dire su Tzia Bonaria, su Maria Listru e i personaggi che ad esse si accostano e nulla da aggiungere sul finale. C’è molto su cui riflettere quando ci si sofferma sul perché:
“Le colpe, come le persone, iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge”
e c’è molto da leggere e al quale far caso, malgrado lo stile scarno e asciutto con il quale Michela Murgia rischiara il volto e il significato dell’Accabadora.
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