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Il giro di vite di Henry James: un romanzo gotico, in breve

23 Ottobre 2020
Il giro di vite di Henry James: un romanzo gotico, in breve

Se Ritratto di signora mi parve leggero e sorprendentemente scorrevole malgrado le non esigue dimensioni e i passaggi narrativi, a tratti non proprio vagamente opinabili e indubbiamente irritanti, come poteva apparire il breve romanzo gotico al quale Henry James ha dato il titolo di Il giro di vite?

Scopriamolo.

Il Giro di vite di Henry James: romanzo breve, gotico, claustrofobico

Il Giro di vite di Henry James narra la storia di una giovane istitutrice, figlia di un reverendo e proveniente da una famiglia numerosa, che accetta di lavorare per conto di un ricco gentiluomo che ha due nipoti orfani ospitati in una vecchia casa di campagna, lontana dalle preoccupazioni di città.

È una storia che, all’inizio, doveva essere raccontata da Douglas ma che poi viene semplicemente letta facendo della narratrice un non ben identificato io narrante di cui si sa per certo che, all’epoca in cui si svolgono i fatti, era innamorata. Quest’ultima nozione fa sapere al lettore che la donna accettò di stabilirsi in una bella e signorile dimora, isolata dal resto del mondo, per occuparsi dell’educazione di bambini non suoi più per amore che, per lavoro. Il contratto stipulato pare vantaggioso per entrambi, unica clausola, non disturbare il gentiluomo per nessun motivo.

Giunta a Bly così ben istruita, l’istitutrice stringe subito amicizia con la governante Groose e, insieme, contemplano incantate la bellezza della piccola Flora e, in maniera simile, si angustiano per il giovane Miles, rientrato a casa accompagnato da una lettera di espulsione dal collegio che stava frequentando per volere dello zio.

Secondo l’istitutrice, il cui nome non viene mai menzionato da Henry James, i ragazzi sono adorabili. Creature angeliche alle quali si affeziona e che a lei, con spontaneità, si affezionano creando un legame intimo che pare funzionare bene fino a quando la protagonista non cade vittima di due allucinazioni: un bell’uomo con i baffi e una donna vestita di nero. Fantasmi e antichi abitatori della casa che cercano di insediare i pupilli della zelante istitutrice che, nel rispetto della relazione di non comunicazione reciproca con il datore di lavoro, si impegna a tenere a distanza.

Quanto accade o si presume accada ne Il giro di vite fa sorgere il dubbio che l’istitutrice era sì innamorata ma non dei fanciulli o del gentiluomo di città ma di un’idea che si era fatta di sé e del suo ruolo professionale.

Le apparizioni che rendono la narrazione vaga, frammentata, come se la narratrice stesse perdendo in coscienza e salute mentale si adattano ai comportamenti di Flora e alle parole di Miles rendendo più concreta l’impressione che i bambini siano cresciuti all’insaputa della loro istitutrice. Ignorando le pulsioni che tali spettri rappresentano si perde di vista l’immagine in sviluppo dei ragazzi i quali, cristallizzati all’età infantile, vengono sorvegliati solo nel come e in che misura essi rimangono aderenti alle maniere che fin dal primo giorno di lavoro giudicò impeccabili.

Il cambiamento percepito ma non recepito fa sì che le relazioni, all’inizio semplici, si complichino e si confondano in associazioni e intuizioni che rendono sempre più pesante la narrazione di Henry James. Flora, divenuta preda della donna vestita di nero (la signorina Jessel) si tramuta in una temibile rivale che deve essere allontanata se l’istitutrice non vuole perdere potere e controllo su Miles il quale, a sua volta, è preso di mira dal fantasma di Quint scatenando nella tutrice una fortissima e morbosa gelosia.

Il romanzo assume quindi toni e atmosfere cupe, claustrofobiche negli effetti e, per quanto breve, non garantisce né richiama la scorrevolezza o la ragionevolezza che è possibile vedere nella prosa di Ritratto di signora. Gli spazi dell’immaginazione attraverso i quali si struttura si mantengono fissi, incasellati negli stessi luoghi e nelle opinioni formulate all’inizio e le emozioni, se mai sono state provate dall’istitutrice che narra, inaridiscono in una successione temporale che rifiuta di registrare ogni segnale di mutamento e che, con il senno di poi, si crede affrontato con coraggio anche se motivi che le rendano onore è difficile trovarli.

In conclusione, leggendo anche le considerazioni critiche e le analisi fatte su quest’opera di Henry James, Il giro di vite è interessante per i retroscena della narrazione che, per Oscar Wilde, non era altro che:

“Una piccola storia del tutto prodigiosa, lurida e velenosa”

perché nasconde, neanche tanto velatamente, l’opinione che Henry James aveva riguardo l’autore de Il ritratto di Dorian Gray il quale non era altro che:

“Un fatuo pagliaccio, un cafone di infimo grado”.

Pur posto su piani differenti – Oscar giudica il lavoro di Henry, James sentenzia sulla condotta di Wilde – il confronto e le considerazioni che ne scaturiscono appaiono corrette, incisive e coerenti allo stile che li distingueva come romanzieri e bastano a non considerare la lettura di questo breve romanzo gotico tempo perso e buttato via.

Ciò che mi affascina, nell’insieme, è se ci sia stato un attimo in cui Henry James abbia posto a sé stesso, in forma di domanda, l’opinione che aveva di Oscar Wilde. Scoprirlo renderebbe più chiara la chiusura data a Giro di vite.

Autore: Henry James
Titolo: Giro di vite
Titolo originale: The Turn of the Screw
Traduzione: Luigi Lunari
Casa editrice: Feltrinelli
Collana: Universale Economica – I Classici
Pubblicazione: settembre 2019, seconda edizione
Pagine: 202
Prezzo di copertina: € 9

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