Classico proposto e riproposto in molteplici versioni e adattamenti, fedele al testo o estremizzato nei suoi aspetti più orrorifici, parodiato ed esaltato, Frankenstein è il capolavoro letterario che ha reso memorabile Mary Shelley.
Alla luce di ciò, Frankenstein o il Prometeo moderno è uno di quei romanzi che non leggi perché troppe sono le opinioni che, fin dal 1817, sono state espresse fino ad oggi. Da dire a riguardo non sembra rimasto molto però, forse, c’è ancora spazio per fingere di non sapere nulla dell’esito finale di un libro horror che è stato scritto per sfida e per scommessa.
Frankenstein di Mary Shelley: la natura del mostro
La trama di Frankenstein è nota.
Uno scienziato pazzo decide, al pari del divino demiurgo, di sfidare le leggi di Vita, Morte e Natura per ricombinarle a modo suo. Pezzi di cadavere accuratamente selezionati costituiscono il variegato materiale su cui Viktor avvia la sua impresa. Obiettivo, scoprire la verità sul principio della vita e plasmare così un uomo nuovo, il moderno Prometeo.
L’ambizione, nel protagonista, non scarseggia però, man mano che ci si addentra nella narrazione l’immagine stereotipata del folle scienziato si fa via via più fragile e crolla nel ricordo di un passato familiare felice e sereno.
Amato al punto da sembrare più viziato che ambizioso, Frankenstein non è in grado di gestire il dolore di una prima importante perdita e la paura di non essere all’altezza di Elizabeth, sua promessa sposa fin dall’infanzia.
Le rassicurazioni paterne, benevole e senza particolari pretese, chiudono Viktor in una bolla d’inerzia che mal si adatta alle sue inclinazioni e curiosità che, a loro volta e per suggestione delle teorie dei filosofi antichi, lo spingono ad approfondire gli studi in Scienze Naturali e a prendere le distanze dal contesto, seppur idilliaco, in cui si trova.
Nella lontananza i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo del futuro creatore di un essere mai visto prima si sovrappongono diventando sempre più ingestibili e, laceranti:
“Nulla è più penoso per lo spirito umano, dopo i sentimenti provocati da una rapida successione di eventi, della mortale calma che ad essi succede, calma che nega all’animo sia la speranza che la paura”.
Per contrasto, quindi, Viktor decide di staccare da sé tutto questo per riporlo in una figura, a suo dire, mostruosa. Una sorta di demone che, per Mary Shelley, è in realtà una persona buona e degna, come tutti, di incontrare qualcuno in grado di comprendere la solitudine e la diversità che lo caratterizza e lo allontana dalla comunità umana.
Quando tale creatura guarda non visto una famiglia esemplare, per pregi esteriori e virtù morali, così racconta il suo sentire:
“ […] quando consideravo la virtù dei miei vicini, il loro carattere amabile e benigno, mi persuadevo che, se avessero saputo della mia ammirazione per i loro meriti, avrebbero avuto compassione di me, senza badare alla deformità del mio aspetto”
L’impressione è che la paura più grande per gli esseri umani è di essere null’altro che corpi privi di anima.
L’orrore, per Viktor, è scoprire di averne una che, priva di eccezionali qualità è capace di distruggere tutto ciò che tocca. In questa percezione, è normale e ragionevole pensare che il vero mostro non sia Frankenstein ma Viktor, un uomo dissociato da sé stesso che, per salvarsi, ha corrotto e rovinato la sua natura più pura, buona e amabile. Eppure, in questo passaggio sorge il dubbio che forse la vera natura del mostro non sia nell’ira con cui esso reagisce alla sua deformità ma nei sentimenti che Mary Shelley, attraverso la scrittura, esprime.
Si sa che la scommessa lanciata tra lettori di storie di paura è stata portata a compimento da una sola giocatrice mentre gli altri due erano lontani, a scalare montagne.
Si sa che la narratrice che si è messa in gioco era una ragazza di buona famiglia che, innamoratasi di un uomo sposato, gli ha donato due figli: una femmina, morta poco dopo il parto e un maschio. Si sa che la narratrice amante ha inseguito l’uomo in tutti i luoghi in cui egli ha cercato rifugio finché, rimasto vedovo, non si è risolto a sposarla.
Si sa che la relazione umana tra la romanziera nata Godwin e il poeta di nome Shelley, nata in un contesto ottocentesco, si sovrappone alle dinamiche riportate nel libro e, per ipotesi, si può fingere di pensare che la natura del mostro sia interna, esterna e correlata a un romanzo strettamente cucito alla realtà del tempo di cui la storia si alimenta.
Con tutto quel che si sa e, smettendo di fingere, le sensazioni che Frankenstein di Mary Shelley ispira non dovrebbero avere particolari effetti sul lettore di adesso, non più di quelle che si potrebbero provare guardando un video scelto a caso su Youtube come, ad esempio, questo:
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