Con Le montagne della follia di H.P. Lovecraft riprendo le letture dedicate al pauroso, al fantastico e all’immaginifico per ampliare le scarne conoscenze che ho del genere.
Pauroso, fantastico, immaginifico. Tre parole in sequenza che, così abbinate, acquisiscono un senso coerente al tema dell’inspiegabile e del contraddittorio e delle percezioni che si ha di essi.
Parole e strumenti adatti per scalare Le montagne della follia e, al limite, valutarne l’efficacia degli effetti che Lovecraft voleva dare alle paure, vecchie e nuove, accennate da Guido Piovene in Idoli e ragione.
Le montagne della follia di H.P. Lovecraft: paure e verità sottintese
Le montagne della follia di Lovecraft racconta la storia di un gruppo di scienziati che organizza una spedizione nel freddo e inospitale Antartico con l’obiettivo di procurarsi:
“[…] La più grande varietà possibile di campioni di roccia del carbonifero superiore perché la storia primordiale di questo squallido regno del ghiaccio e della morte è della massima importanza per la conoscenza del passato della terra”.
Metodo per procurarsi i suddetti materiali consiste nel trivellare, perforare e far esplodere ampie porzioni dell’area selezionata per il primo campo base allestito. Ad un certo punto, però, il gruppo si separa.
La voce narrante e il suo “alter ego”, Danforth, rimangono nei limiti predisposti e, in attesa di notizie da parte di Lake e compagni, assumono il compito di fare da tramite per le comunicazioni fissate con il mondo esterno.
Il secondo gruppo giunge così ai piedi de Le montagne della follia dalle cui cavità estraggono otto mostruosi cadaveri perfettamente conservati e che si suppone essere i resti di antichi discendenti di una razza aliena stabilitasi sulla terra molto tempo prima degli uomini.
Metodo e curiosità scientifica inducono Lake e i suoi a riesumare i resti misteriosi per studiarli, sezionarli e acquisire ogni tipo di informazione utile per comunicare regolarmente intuizioni, ipotesi e singolarità sulla natura della scoperta. Scambio che si interrompe bruscamente e in modo inquietante.
Voce narrante, Danforth e il resto della compagnia si trova costretta, dunque, a mettersi sulle tracce degli avventurieri scomparsi e poi, parzialmente, trovati.
Mancano, al desolante appello, buona parte dell’equipaggio, Gedney (probabile alter ego di Lake) un cane e, ad eccezione di quello fatto a pezzi per studi ed esperimenti scientifici, i mostruosi cadaveri rinvenuti.
Nel tentativo di trovare ciò che manca, la narrazione di Lovecraft procede di nuovo all’interno de Le montagne della follia dove narratario e personaggio scoprono i resti di un’antica città un tempo abitata da esseri di cui non si dice nulla se non che diventano motivo di comprensione di una verità che non viene specificata al lettore e che, in quanto presentata come orribile, dovrebbe risultare credibile.
A ciò si aggiunge un monito sottinteso, una morale narrativa che invita a non procedere oltre l’umana comprensione facendo affidamento solo ed esclusivamente sui mezzi che la ragione adotta per soddisfare curiosità che, latenti nel narratario, sono frutto della suggestione determinata da letture antecedenti la spedizione come Storia di Gordon Pym di Edgar Allan Poe.
“È assolutamente necessario per la pace e la salvezza dell’umanità che alcuni angoli oscuri e morti della terra e le profondità inesplorate siano lasciati tranquilli; per evitare che anormalità dormienti si risveglino a nuova vita e che incubi blasfemi sopravvissuti si contorcano e sguazzino fuori dalle loro nere tane, intenti a nuove e più ampie conquiste”.
L’elemento fantastico e immaginifico che fa de Le montagne della follia un’opera che spaventa è dato dall’insolito e dall’inspiegabile e da quei dubbi che, malgrado le prove confezionate per renderli certezze realistiche, non possono essere verificati e, risolti.
La precisione con la quale si generano proprietà e caratteristiche di oggetti che aprono l’era dello sviluppo tecnologico e della cultura del progresso rende poi più confusa la narrazione e, i personaggi, incapaci di gestire passato, presente e scenari futuri o immaginari se ne dissociano giudicando quanto scoperto empio, orribile e spaventevole.
A leggere Le montagne della follia pare che Lovecraft abbia adottato uno stile di scrittura che gira intorno al succo del discorso, peraltro ampiamente chiosato e documentato, per lasciarlo, alla fine, incomprensibile.
Vien da chiedersi se ciò che è descritto come pauroso faccia veramente paura o se non è altro che un esercizio narrativo in cui l’autore sperimenta le sue abilità nel convincere il lettore a fidarsi delle impressioni indotte e a ottenere così credito per come la testimonianza è intrisa di pregiudizi e che lascia, in coscienza, una verità sottintesa. Dato che:
“la vera paura è quella di essere privati della propria persona”
c’è un ragionevole rischio che Le montagne della follia di H.P. Lovecraft abbia lasciato qualche segno premonitore sulle paure attuali sulle quali, inoltre, sarebbe utile chiedersi quali potrebbero essere.
Autore: H.P. Lovecraft
Titolo: Le montagne della follia
Titolo originale: At the Mountains of Madness
Traduzione: Giovanni De Luca
Casa editrice: Sugarlo Edizioni ( Il Saggiatore, su Amazon)
Pagine: 130
Prezzo di copertina: € 13.60 (su Amazon)
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