Sul momento ho pensato che I cieli di Philadelphia di Liz Moore fosse una sorta di poliziesco al femminile, adatto per un confronto di genere sull’ultimo libro di Michael Connelly.
Sono bastate poche pagine di lettura per comprendere (con piacere) che le premesse, per un simile paragone, non sussistono.
Se nel primo romanzo s’incontra Harry Bosch alle prese con due tipi di verità tra le quali fare una scelta, in questo la personaggia di Liz Moore ha a che fare con una sola verità, anche se sommersa e tutelata da un mix di generi, impressioni e stereotipi che fanno oscillare I cieli di Philadelphia tra la detective story e la saga familiare, in cerca di un equilibrio che pare impossibile da raggiungere.
I cieli di Philadelphia, Liz Moore: una storia più complicata di quella che si vede
Michaela Fitzpatrick è una poliziotta strettamente legata alla sorella Kacey, prostituta e tossicodipendente, che vorrebbe solo fare il suo lavoro con l’intento di assicurare al figlio Thomas una vita serena, tranquilla e, possibilmente agiata. Per ottenere questo è importante che sotto I cieli di Philadelphia tutto si svolga con regolarità.
Le strade e gli abitanti di Kensington sembrano adatte per mantenere invalicabili i confini vigenti tra omertà e riservatezza che la polizia pattuglia per gestire con facilità una routine composta più da casi di overdose che di omicidio. Michaela, detta Mickey, non è stupida e sa fare il suo mestiere ma certe circostanze la costringono a cercare di capire a quale verità si riferisce la sua condizione e la natura dei suoi legami professionali, sentimentali e familiari.
“La verità avrebbe cambiato le circostanze della mia vita.
Le bugie erano statiche.
Le bugie mi davano pace.
Le bugie mi rendevano felice”.
L’omicidio di una donna e la scomparsa di Kacey mettono in moto un romanzo che ripercorrere i ricordi, le emozioni e le scelte che la protagonista ha attraversato fino a quando non ha deciso di entrare in polizia per alimentare un senso di lealtà e di giustizia che, invece, pare essersi assopito. Mickey comincia a fare domande e, dalle risposte e non risposte che riceve, fa le valutazioni sulle quali si costruisce il romanzo di Liz Moore. Come fossero testimoni sottintesi alle vite che osservano, I cieli di Philadelphia:
- parlano della nonna Gee e della dura e feroce educazione impartita alle nipoti rimaste orfane dei genitori ad appena 5 e 4 anni,
- raccontano del rapporto tra Michaela e Kacey e di come si relazionano con l’altro sesso, convinte che avrebbero trovato un modo per diventare libere e indipendenti,
- spiano qualcosa sul lato debole e corrotto della natura maschile ma mantengono il riserbo per quelli che credono uomini onesti e di buona volontà, come se non avessero il coraggio di accertare fino a che punto sono coerenti con l’altra faccia, quella positiva, della stessa medaglia.
Liz Moore, con cura e precisione, mette insieme un quadro di frammenti che riflettono un sistema in cui si è impossibilitati a perseguire un ideale di ordine ed equilibrio dove uomini e donne risultino in grado più di discernere che di giudicare. L’aspetto più affascinante di questo romanzo è che gli stessi frammenti assorbono le apparenze ricomponendosi in una fotografia che contiene anche il perché azioni, luoghi e comportamenti rimangono sul fondo, non visti.
Per tutta la durata del libro i pensieri di Mickey non sembrano subire alcun tipo di interferenza da parte del mondo esterno e della sua dubbia moralità e, ad eccezione di qualche breve scambio di informazioni con colleghi e familiari, rimane comunque prigioniera di una bolla di giudizio costruita dall’esterno e su ipotetica misura della percezione che fa trapelare di sé. Una bolla che, se vuole ritrovare la sorella scomparsa, Mickey deve infrangere con il rischio di portare alla luce una tenerezza e una vulnerabilità d’animo che la rendono inadatta per la famiglia e non idonea per l’ambiente di lavoro che ha scelto.
La divisa che indossa come se fosse un’armatura diventa allora un peso del quale si deve liberare se vuole riconquistare fiducia e sicurezza in sé stessa e nelle persone dalle quali si è allontanata. È in questo dettaglio (assieme a tanti altri non meno importanti) che Liz Moore lavora per smontare, piano e con delicatezza, le convinzioni della protagonista che, anche se lo sapeva, capisce che la divisa da poliziotta:
- non la protegge dai malintenzionati,
- non le garantisce rispetto e considerazione dagli uomini,
- non ispira fiducia agli estranei e, ancor meno, alla famiglia in cui è nata e di cui fa parte.
La divisa di Mickey diventa l’elemento discordante di una narrazione che rimane in uso fino a quando i misteriosi omicidi di Kensington e l’improvvisa scomparsa di Kacey non verranno risolti restituendo al lettore un quadro diverso dove la verità sta nella percezione finale che la protagonista ha di sé e delle donne in generale.
Una percezione che per I cieli di Philadelphia è sempre stata chiara e che viene rivelata quando Liz Moore prepara la protagonista a perdonare e ad accettare il fatto che le donne che la circondano – per quanto deboli, fragili, difficili, vulnerabili e indifese – non si sentono né si comportano da vittime. L’unica a comportarsi come tale è Mickey ma, una volta compreso questo, trova il coraggio di abbandonare le bugie e abbracciare una visione di verità che libera e lascia al lettore un romanzo complicato, che merita di essere letto. 🙂
Autore: Liz Moore
Titolo: I cieli di Philadelphia
Titolo originale: Long Bright River
Traduzione: Ada Arduini
Casa editrice: NN Editore
Pubblicazione: aprile 2020
Pagine: 460
Prezzo di copertina: € 18
No Comments