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Il codice Perelà di Aldo Palazzeschi: un leggero romanzo antiromanzo

10 Aprile 2020
Il codice Perelà di Aldo Palazzeschi: trame e volute dell’essere

Il codice Perelà di Aldo Palazzeschi è un romanzo che mi ispirava leggere per il senso di libertà che comunicava la presentazione e l’introduzione che ne fece Guido Piovene in Idoli e ragione.

Malgrado l’abbinamento uomo di fumo con codice faccia sorgere qualche dubbio sul tipo di lettura – denso e soffocante o leggero ed evanescente? – Il codice Perelà è uno di quei libri da leggere assolutamente. Anche solo per vedere di che cosa si compone l’immagine di un libro ideato da uno “scrittore libero” e presentato come “uno straordinario romanzo antifuturista”.

Il codice Perelà di Aldo Palazzeschi: trame e volute dell’essere

Il codice Perelà di Aldo Palazzeschi racconta di un uomo di fumo nato da tre signore (le Parche?) chiamate Pena, Rete e Lama. Tre anziane donne che l’hanno nutrito e coccolato fino a quando, una volta raggiunta la maturità, l’hanno lasciato libero di esplorare il mondo con, ai piedi, un paio di lucidissimi stivali.

Nel concreto la natura di Perelà è leggera proprio come la materia che lo compone e ricompone rendendolo, alternativamente, intangibile e concreto. Le figure che assume sono caratteristiche che i personaggi del romanzo gli attribuiscono per poter fissare un fermo immagine comprensibile, al quale aggrapparsi per spiegare se si tratta di un uomo o d’altro.

Scortato dai soldati a guardia del regno dei mortali, Perelà viene preceduto dalla fama che predispone il popolo alla simpatia e il Re e la Regina al favore. Di conseguenza, tutta la corte si prodiga ad accogliere il fumoso ospite facendo a gara a intrattenerlo, misurarlo, valutarlo.

In ordine sfilano le autorità chiamate a porgere al vacuo protagonista della storia i loro omaggi. Figurano, dunque:

  • il grande scultore nazionale Cesare Augusto Bellezza,
  • il pittore della Regina Gastone Speranza,
  • alcuni fotografi,
  • il banchiere di Stato Teodoro Di Sostegno,
  • il poeta Angiolino Dal Soffio,
  • Cristoforo Soffiato, critico della letteratura nazionale ufficiale,
  • il grande filosofo pessimista Guscio Cima, detto Cimone Del Guscio,
  • il medico di Corte Sebastiano Pipper,
  • Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Arcivescovo.

Malgrado gli aggettivi e i ruoli altisonanti, sono autorità che non ispirano particolare autorevolezza. Pur usando le parole giuste rimanendo coerenti all’immagine che indossano sembra quasi che Palazzeschi li prenda bonariamente in giro creando così un buffo effetto di lettura.

Sottile ironia a parte, è chiaro che a Perelà verrà attribuito un grave compito, (peraltro non richiesto dal diretto interessato) e cioè quello di redigere un nuovo codice. L’intenzione della Corte, a quanto pare, è di rendere l’uomo di fumo utile alla società con il benestare dell’opinione pubblica, naturalmente.

Festeggiato l’accordo, Perelà prosegue il suo percorso di formazione raccogliendo le confidenze delle dame della Regina in occasione di un tè organizzato in suo onore.

Si riuniscono in cerchio figure nobilissime che raccontano al loro interlocutore (muto) con quale indole, inclinazione e astuzia hanno ottenuto e conservato un posto di alto livello, pur rimanendo all’ombra dei loro consorti. Chiacchierano, conversano, ridono, scherzano e raccontano storie, le dame illustrate da Palazzeschi, che fanno a gara a chi, per prima, riesce a decifrare le intenzioni di Perelà e a capire se è più fumo o più uomo. Una parte un po’ maliziosa e strategica per trasmettere i pensieri di donne che sembrano chiedersi come e se adattarsi o prendere le distanze dal loro ospite, in base al titolo e al compito assegnatogli.

Alcune risposte verranno rese note durante il ballo e verranno approfondite il giorno successivo quando l’uomo di fumo, accompagnato dal suo maggiordomo personale, visiterà le rappresentazioni allegoriche:

  • della virtù,
  • del peccato,
  • dello spirito,
  • dell’amore,
  • della guerra,
  • della pace e, di conseguenza,
  • fardelli a carico di uomini e di donne.

Tutto il materiale necessario per il nuovo codice viene raccolto, preparato e predisposto ad uso e consumo del solo Perelà ma, al suo ritorno, capita una disgrazia: le sorti dell’uomo di fumo vengono ribaltate da un suicidio commentato come un omicidio.

Inconsapevole della sua mutata condizione il vacuo personaggio varca ancora una volta i limiti del regno e vi ritorna. Stavolta però viene accolto dal disgusto e dal disprezzo generale. Perelà si domanda il perché di un simile cambiamento: lui che era sempre stato leggero e libero da tutte le allegorie attraversate ora si trova assediato da accuse e condanne. La Giustizia fa il suo corso e, dato che non può essere ucciso, viene rinchiuso per l’eternità.

Fino all’ultimo Il codice Perelà di Aldo Palazzeschi mantiene la forma e la trama della narrazione. L’uomo di fumo non viene lasciato completamente solo e non svanisce come si auspica o si teme. Un’unica, piccola figuretta non l’abbandona e lo segue nel suo declino assumendosi la responsabilità di fare ciò che le tre madri, Pena, Rete e Lama fecero per lui divenendo poi la voce conclusiva, intoccabile e non creduta sulla carta, che annuncia il passaggio dal romanzo all’antiromanzo.

Scriveva Piovene riguardo a quest’opera:

“È già un classico, e insieme un compagno di lavoro affine per tutti quelli che hanno cominciato ad operare, da una generazione all’altra, dopo di lui. E questo semplicemente con l’essere; con un’unica regola, una fedeltà a sé stesso inesorabile e in sordina, mai proclamata e sbandierata, che emana dal suo comportamento personale”.

E con questa considerazione che mette a confronto due poli letterari considerati, in Idoli e ragione, centrali:

“per avviare un processo di revisione critica della narrativa italiana recente”

vien quasi spontaneo preferire Il codice Perelà di Aldo Palazzeschi piuttosto che Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello. Perché?

 

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