Il tunnel di Ernesto Sabato è uno di quei libri che ho scelto di leggere in questo periodo e, trattandosi di un romanzo che esplora i percorsi mentali e affettivi di un artista, non mi aspettavo la linearità e la chiarezza d’esecuzione che, invece, ho riscontrato.
Diverso da Gli innamoramenti di Xavier Mariàs pur essendo simile per tematiche, Il tunnel mi è sembrato più lucido, nitido e pulito nei suoi processi logici e lascia un quadro di una freddezza cupa che fa riflettere e non delude.
Il tunnel di Ernesto Sabato: nella mente di un artista
Il tunnel di Ernesto Sabato comincia dalla fine.
Juan Pablo Castel si rivolge direttamente al lettore ricordandogli, con schiettezza brutale, di essere l’assassino di Maria Iribarne, l’unica donna che lo abbia mai amato. Non ci sono motivi particolari che inducono Castel a raccontare il suo crimine ma è chiaro che è il punto centrale di una narrazione che non cerca commiserazione, né empatia.
Il fatto non sembra aver avuto conseguenze sulla mente dell’artista, non accusa alcun rimorso o senso di colpa tali da spingerlo a desiderare qualcuno con il quale confidare la sua pena o che possa, in un qualche modo, giustificare o alleggerire la responsabilità delle sue azioni. Più che altro presume che sia una storia interessante e, dato che è un pittore e un artista di fama, crea un romanzo che Ernesto Sabato incornicia di letteratura.
“Anche se non ci credo, perché proprio quella gente che cerca sempre una spiegazione a tutto è la più curiosa e penso che nessuno di loro si lascerà scappare la storia dettagliata di un omicidio”.
Il tunnel di Ernesto Sabato e la storia di Juan Pablo Castel hanno in comune un dettaglio artistico: in una rappresentazione della Maternità il pittore ha inserito una piccola finestra che si affaccia su un panorama marittimo contemplato da una donna. Nessuno dei fruitori o amanti d’arte fa caso a questa integrazione, ad eccezione di una ragazza, l’unica a fermarsi davanti all’immagine abbastanza a lungo da mettere in dubbio l’artista su quanto ha visto, rappresentato, immaginato o previsto.
La sorpresa è talmente inaspettata che la voce narrante perde il contatto visivo con l’ignota spettatrice e, quando finalmente la incontra al di fuori del contesto in cui l’ha individuata, non sa come avvicinarla.
“L’esperienza mi ha dimostrato che ciò che a me pare chiaro ed evidente non lo è quasi mai per il resto dei miei simili. Sono rimasto così scottato che ora esito mille volte prima di giustificare o di spiegare un mio atteggiamento e, quasi sempre, finisco per rinchiudermi in me stesso e tacere”.
Malgrado le paure e le esitazioni, Juan Pablo Castel instaura una relazione con Maria Iribarne. Se ne innamora credendo che lei sia uguale a lui proprio perché è stata l’unica a notare un dettaglio passato inosservato alla maggioranza delle persone.
Il narratore, l’innamorato e il candidato assassino si convince che la donna pensi e senta le stesse cose, che abbia la sua stessa visione della realtà, dell’amore e della vita. Malgrado questa convinzione e pur essendo stato messo sull’avviso fin da subito da Maria, Castel entra in un tunnel senza via d’uscita che lo induce a verificare costantemente il suo pregiudizio e a tormentare l’amata per questo.
Il romanzo di Ernesto Sabato segue, discreto, la voce narrante che via via fa indossare all’amata tutte le maschere di un’umanità meschina e superficiale, diffidente e crudele, bugiarda e simulatrice e sempre dedita a semplificare e banalizzare ogni cosa, pur di non assumersi la responsabilità e la fatica di comprendere la natura complessa e multiforme di cui è parte.
Lucido e acuto Castel si pone nel ruolo di specchio di Maria senza rendersi conto che ciò che sta facendo riflettere a lei, in realtà, rappresenta sé stesso, la sua misantropia e la sua sfiducia nell’amore e negli esseri umani. Manca il coraggio di rivolgere a sé stesso tale critica. Coraggio che, timidamente, Maria cerca comunque di dare al suo futuro carnefice:
“Quando ho visto quella donna solitaria della tua finestra ho sentito che eri come me e che cercavi ciecamente qualcuno, una specie di muto interlocutore. Da quel giorno ho pensato di cercarti e confessartelo. Ma avevo paura di sbagliarmi, come mi ero già sbagliata una volta e speravo che, in qualche modo, fossi tu quello che stavo cercando”.
Castel, così attento alle espressioni emotive e alle parole di lei crede di aver avuto una rivelazione che si condensa nella metafora del tunnel.
“Ed era come se entrambi fossimo vissuti in corridoi o tunnel paralleli, senza sapere di stare l’uno accanto all’altra, come anime somiglianti in tempi somiglianti, per ritrovarci alla fine di quei corridoi, davanti a una scena dipinta da me, come una chiave destinata a lei sola, come l’annuncio segreto che io ero lì e che i corridoi si erano finalmente uniti e che l’ora dell’incontro era arrivata”.
Pur avvicinandosi al vero non si rende conto che, accecato dalla gelosia, si è focalizzato solo su un particolare del discorso di Maria, quella in cui confessa di essersi già sbagliata in precedenza. Un’ammissione di errore che frantuma l’ossessione e il desiderio di Castel, il pittore misantropo che desiderava conferma di essere il destinatario di un amore unico ed esclusivo al pari, se non superiore, a quello materno.
Il protagonista de Il tunnel appare un artista che, nella sua ricerca di senso che spieghi e semplifichi la complessità dei sentimenti, compie un’azione logica e distruttiva facendola finita una volta per tutte con la parte umana e creativa rappresentata da Maria Iribarne.
Castel, alla fine, non è nient’altro che un insensato rimasto fedele a una visione parziale dell’umanità che il romanzo di Sabato rende comprensibile dando al lettore un romanzo psicologico fatto di amore e odio, tra tela e letteratura.
Autore: Ernesto Sabato
Titolo: Il tunnel
Titolo originale: El túnel
Traduzione: Paola Collo e Paola Tomasinelli
In copertina: Barrio, Alejandro Xul Salar
Casa editrice: Einaudi
Pubblicazione: agosto 2001
Pagine: 140
Prezzo di copertina: 15 € ( 8 € su Amazon)
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