Questo venerdì avrei voluto parlare di Cercando Virginia, il nuovo romanzo di Elisabetta Bricca.
Un desiderio di lettrice rimandato e che, nell’attesa di realizzarlo, ha trovato un’alternativa leggendo Una stanza tutta per sé e rileggendo Gita al faro. Un saggio e un romanzo sono già qualcosa per prepararsi a una narrazione che ha concentrato l’attenzione su Virginia Woolf, musa letteraria e ideale di femminismo, per portarla al di fuori dei circoli accademici che ne celebrano, a ragione, le opere e l’intelletto creativo.
Una stanza tutta per sé e Gita al faro: le sfumature di Virginia Woolf
La prima volta che lessi Gita al faro di Virginia Woolf ero in vacanza.
Ho concluso questo romanzo seduta all’aperto, in un giorno di piena estate e ricordo che sono rimasta un momento perplessa ad osservarne la copertina e a rigirare il libro tra le mani. Era stato difficile leggerlo e più volte avrei voluto arrendermi e interrompere il flusso di immagini e pensieri che scorrevano tra le pagine intersecandosi con i personaggi. In un romanzo composto di pochi fatti essenziali più volte mi sono persa, sono tornata indietro, mi sono spazientita e interessata. Imperterrita e con stati d’animo altalenanti ho continuato fino alla fine. Volevo sapere se poi i Ramsay sarebbero andati al faro, come finiva la storia.
L’ultima frase di Gita al faro ebbe su di me un effetto straniante, come se all’improvviso fossi stata buttata fuori dalla narrazione, esclusa dal senso del romanzo:
“Sì, pensò, posando il pennello con estrema fatica, ho avuto la mia visione”.
Ero delusa da me stessa e, per consolarmi, mi dissi che forse non era il momento giusto per leggere Virginia Woolf. Mi ripromisi di rileggerlo e più volte, osservando con quanta dedizione Elisabetta Bricca coltivava il suo amore per la malinconica romanziera, mi avvicinavo a Gita al faro, lo rigiravo fra le mani, lo rimettevo al suo posto.
Mi tenevo a distanza pur sapendo che in quel libro Virginia Woolf aveva lasciato aperta la porta di Una stanza tutta per sé.
Un saggio in cui l’autrice si chiede perché le donne sono povere e se davvero sono in grado, al pari degli uomini, di creare romanzi infondendo in essi poesia seguendo i voli pindarici del pensiero, dei sentimenti e dell’immaginazione e, all’interno del quale, struttura un discorso sulle donne e il romanzo per una conferenza universitaria in cui gli uomini non sono presenti.
Una stanza tutta per sé è un luogo di parole tutt’altro che spoglio di significati, un libro sintetico e ordinato eppure ricchissimo dove all’ospite è permesso di osservare, libero dal compito di esprimere giudizi, le risposte per quelle domande che, da sempre, pongono in contrasto uomo e donna invece di farle fluire in un contesto umanistico dove le due forze intellettive comunicano quanto hanno appreso sulla conoscenza e sulla natura della realtà.
“Le donne non sanno dipingere, non sanno scrivere…”
dice Tansley, l’allievo del signor Ramsay in Gita al faro.
Parole che rimbalzano nel personaggio di Lily, pittrice e zitella, che guarda la signora Ramsay seduta a leggere per James, il più piccolo di otto figli.
Negazioni che Virginia Woolf approfondisce in Una stanza tutta per sé, pensieri che fluiscono in una natura umana acuta nell’intelletto, mite nell’animo e che predispongono all’attesa di una spiegazione plausibile sui motivi di un rifiuto così netto, disarmonico, innaturale quasi.
Leggere Una stanza tutta per sé cambia il modo di rileggere Gita al faro e la percezione che si ha dei personaggi e del trascorrere del tempo.
La famiglia numerosa dei Ramsay e le molteplici relazioni che si instaurano all’interno e al di fuori di essa, le solitudini di Lily Briscoe e di William Bankes, la diffidenza di Carmichael e la rabbia repressa di Tansley, l’adorazione per la madre e il disprezzo per il padre di James, la lontananza del faro che con la sua luce intermittente raggiunge una casa in cui le finestre vanno aperte e le porte chiuse diventano più comprensibili, dopo aver letto Una stanza tutta per sé.
Il tempo e lo spazio diventano relativi ma l’impossibilità a misurarli non ispira né ansia né angoscia, anche se la presenza di alcuni fatti posti tra parentesi quadre indicano che qua e là i due concetti hanno subito degli strappi che potrebbero essere ricuciti con il materiale e gli strumenti lasciati, in bella vista, in Una stanza tutta per sé.
Il quadro generale che solo a Lily, alla fine, risulta chiaro e rimane nascosto alla vista di chi legge ma, almeno, si sente un po’ meno tagliato fuori dal romanzo.
Alla fine si ha qualche nozione in più per dare al romanzo un senso il più possibile vicino al linguaggio simbolico adottato da Virginia Woolf per comunicare il suo messaggio secondo le regole della letteratura, senza rabbia e con istruzione completa e consapevole.
E così, con la preparazione di Una stanza tutta per sé, Gita al faro diventa vero e, intatto nella sua bellezza, attende paziente anche il romanzo di Elisabetta Bricca, Cercando Virginia. 🙂
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