Lo scimmiotto di Wu Ch’êng-ên può essere visto come la versione orientale dei viaggi di Marco Polo oppure, a distanza di due secoli, la risposta cinese al resoconto dell’esploratore veneziano.
Da qualunque prospettiva la si guardi, Lo scimmiotto è una lettura che si adatta a ogni tipo di lettore e lo convince a far compagnia ai personaggi che attraversano una fitta rete di storie, trasformazioni e insidie burocratiche per riportare in Cina, dall’India, le Scritture Buddiste.
Lo scimmiotto di Wu Ch’êng-ên: la meraviglia consapevole del vuoto
Secondo l’introduzione all’opera di Wu Ch’êng-ên scritta da Arthur Waley, Scimmiotto, Porcellino e Sabbioso rappresentano rispettivamente:
“l’irrequieta instabilità del genio, gli impulsi umani e l’integrità del cuore”
e hanno una vaga similitudine con il concetto filosofico occidentale della metempsicosi o, per rimanere più vicini ai tempi nostri, con i personaggi de Il meraviglioso mago di Oz di Lyman Frank Baum.
Secondo l’antefatto alla storia di Tripitaka e dei suoi discepoli, Scimmiotto è un:
“[…] prodotto naturale classificato come anima 3150 […]”
Wu Ch’êng-ên è il burocrate e il letterato al quale è stato attribuito l’onere di condividere con il lettore tutte le informazioni che riguardano la mirabile impresa registrata in questo libro scritto nel 1500 e riconosciuto come uno dei quattro grandi romanzi classici della letteratura cinese. Un’opera che spiega, con fluidità e dovizia di particolari:
- come nasce Scimmiotto di Pietra e come diventa Consapevole di Vacuità,
- come si evolve e come si trasforma,
- come diviene immortale facendosi riconoscere come Eguale del Cielo dalla gerarchia celeste e come ne intacca l’ordine non appena si rende conto che:
“L’Imperatore di Giada non se lo figura neppure come si utilizza una persona”.
Lo Scimmiotto non è cattivo ma la sua natura combina talmente tanti guai e desta preoccupazioni tali da costringere i burocrati celesti a cercare di contenerlo per tutelare un ideale ordine universale e la specularità tra il mondo invisibile e il mondo visibile, tra Cielo e Terra. Solo Budda riuscirà a portarlo a più miti consigli e ad imprigionarlo alla base della Montagna dei Cinque Elementi.
Il problema della nascita di un mito e sue conseguenze, in cinquecento anni di esistenza mortale e immortale, pare risolto.
La questione torna alla ribalta quando Tripitaka, per ordine del corrispettivo umano dell’Imperatore di Giada, lo libererà per farne il suo Primo Discepolo e difensore durante il lungo viaggio in India, alla ricerca delle Scritture Buddiste da riportare in Cina. Lungo il percorso si aggiungeranno Porcellino, simbolo dell’uomo comune e Sabbioso, una curiosa mescolanza di mente e cuore. Inoltre, uno degli strumenti assegnati al Maestro per portare a compimento la sua missione verrà sostituito da qualcos’altro, anche se manterrà la forma di partenza. A tutti sarà promessa, una volta concluso il viaggio, l’illuminazione.
Lo Scimmiotto è l’elemento libero per sostenere e condurre tutta la scombinata compagnia nel raggiungimento di obiettivi prefissati e secondo l’ordine prestabilito, è l’elemento comune che consente al lettore di orientarsi nel complesso reticolo di storie e vicende di viaggio ed è la chiave di lettura o il punto di svolta per assecondare le fasi che si alternano all’interno e all’esterno della cornice letteraria. Come ricorda l’antefatto di Wu Ch’êng-ên, il Grande Scimmiotto ha le abilità, le competenze, la cultura e la saggezza popolare per comunicare il tutto e il nulla, con ironia e discrezione.
Il viaggio in Occidente durerà 27 anni, 20 in più rispetto a quelli previsti da Tripitaka. I trenta capitoli disposti da Wu Ch’êng-ên rendono il libro talmente avvincente da sospendere il concetto di tempo, narrativo e di lettura, e favorire nel lettore di passaggio un costante effetto di meraviglia e di divertimento, di curiosità e apprendimento.
Lo scimmiotto è un libro flessibile come un blog per come ogni capitolo si chiude con un invito al lettore a far caso che, qualche volta, un po’ di disordine non guasta per preservare una certa armonia con sé stessi, con gli altri e con il resto del mondo e fa ben sperare che ci sia sempre un margine di possibilità per passare da una trasformazione all’altra con naturalezza, senza intaccare gli equilibri tra i pieni e i vuoti che regolano il nostro modo di stare al mondo.
Infine la parte migliore di questo romanzo sta nella dedica posta alla fine (?) della storia:
“Dedico quest’opera alla gloria della Pura Terra di Budda. Possa ripagare la benignità del mio patrono e precettore, possa mitigare le pene dei perduti e dei dannati. Possano tutti coloro che la leggono o la ascoltano sentirsi attratti dalla Verità, e rinascere finalmente nei Regni della Beatitudine Suprema, e mediante la loro comune intercessione compensarmi del fervore di questo mio compito”.
Sintetizza un modello di pensiero che un po’ si fa beffe dei rapporti di causa e effetto, principi cardine della logica occidentale e un po’ lascia intendere che c’è sempre modo per organizzarsi per adattarsi al cambiamento.
Infine, a leggere e rileggere la dedica di Wu Ch’êng-ên, fa sorridere come questo piccolo angolino di parole, faccia convivere in armonia il dubbio e la paura di non aver compreso la morale di un romanzo dal quale si possono trarre, con certezza, molteplici benefici, diretti e indiretti. 🙂
Autore: Wu Ch’êng-ên
Titolo: Lo scimmiotto (o Il viaggio in Occidente)
Titolo originale: Monkey (dalla traduzione di Arthur Waley)
Traduzione: Adriana Motti (dalla versione inglese)
Casa editrice: Einaudi
Pubblicazione: luglio 1982
Pagine: 408
Prezzo di copertina: ₤ 14 000 (€ 22 nell’edizione Adelphi)
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