Il filo infinito di Paolo Rumiz è il primo libro dell’anno, scelto per i #BookDreams2020.
Ispirato da una statua dedicata a Benedetto di Norcia, Il filo infinito narra la storia di un viaggio critico e spirituale tra i monasteri d’Europa.
Paolo Rumiz sembra chiedersi se la regola Ora et labora ha ancora valore nell’adesso e la utilizza come bussola per non perdere di vista il significato delle parole sulle quali si radica l’idea di accoglienza, stabilità e comunità sulla quale l’Europa moderna si o dovrebbe fondarsi.
Il filo infinito di Paolo Rumiz: seguendo la via dei monasteri benedettini
Il filo infinito di Paolo Rumiz ha inizio a Norcia nell’aprile del 2017.
Il narratore si trova di fronte alla statua di Benedetto e si rende conto di essere a poca distanza dalle zone colpite dal terremoto di Amatrice. Il monumento storico, muta testimonianza della realtà e della società medievale in cui l’ordine benedettino nasce e prospera, si imprime nella memoria di Rumiz per poi comparire dieci mesi dopo alla stazione di Bologna, quando assiste al fermo e al trattamento riservato dalla polizia italiana a un immigrato. Scena che passa inosservata dai pendolari che attendono, salgono e scendono dai treni che li condurrà a casa, al lavoro o da qualche altra parte.
I particolari registrati da Rumiz nelle prime pagine de Il filo infinito invitano il lettore a soffermarsi sull’idea di intraprendere un percorso a ritroso e, seguendo la via della regola benedettina Ora et labora, riprendere coscienza del discorso iniziato da Benedetto sui concetti di comunità, solidarietà tra i popoli, di cultura dell’accoglienza e, in sintesi, di Europa.
Idea e momenti che, paragonati e sommati alla rabbia sociale espressa comunemente online e all’esistenza, nel mondo offline, di una politica tuttora ancorata sulla paura del diverso fanno emergere il dubbio che sia stato dimenticato cos’è e come si fa l’Europa.
“Noi pensiamo a due sole vie ermeneutiche per fare l’Europa: la cultura e l’economia. Con quale risultato? La cultura è in caduta libera e l’economia ha perso di vista la felicità dell’uomo. Parole come ‘pace’ e ‘solidarietà’ sono derise. Abbiamo dimenticato che esiste una terza via per fare l’Europa: la politica, una politica basata su valori forti, capace di combattere il linguaggio della paura, parlare alle periferie, ridare speranza agli Ultimi e riscoprire la comunità. Nei monasteri benedettini hai in nuce tutto questo. Un’alta politica intesa come sapiente gestione dei rapporti umani”.
Come si gestiscono i rapporti umani secondo un discorso realmente democratico?
Questa è una domanda utile per rispondere al bisogno di comunità di cui si percepisce una certa carenza. Sulla base di queste impressioni Rumiz sceglie i monasteri da visitare al fine di misurare in che condizioni versano i valori sui quali si basa l’Europa. In questo modo l’autore si predispone (e predispone il lettore) a meditare sul senso del viaggio tra i monasteri benedettini che si organizzano in quello che i monaci considerano:
“[…] non un ordine ma un disordine democratico”.
Constatato che la felicità si può costruire in un perimetro circoscritto e chiuso come in quello del monastero di Praglia in Veneto il pellegrinaggio non lineare della narrazione de Il filo infinito prosegue nell’esplorazione delle contraddizioni della società contemporanea e di come esse siano state assorbite e adattate all’ordine benedettino.
In tal senso, il monastero di Sankt Ottilien in Germania stupisce per come sia diventato un punto di riferimento e di ispirazione per dirigenti aziendali e imprenditori. L’ex abate Wolf ne è una curiosa, simbolica sintesi quando:
“Lo si vede in tonaca e scapolare con croce benedettina, perfettamente a suo agio tra un batterista e un sassofonista rock, sparare note metalliche in una tempesta di effetti speciali e scatenare la ola in un mare di giovani adoranti”.
Una sintesi che viene accolta di buon grado dalla comunità che ruota attorno al monastero tedesco e, una volta approfondito ciò che segue l’immagine diversa dalla persona dell’ex-abate, si comprende come il monaco intende adattare i principi benedettini mantenendoli aderenti alla realtà circostante ed evitando di cadere in un eccesso di isolamento.
Alla pratica volta a produrre aggregazione sociale volta a mantenere saldo l’ordine benedettino seguendone i precetti, si accompagnano i valori della pazienza e del rispetto per la terra e del lavoro femminile intesi come azioni volte alla cura della comunità e all’attenzione per il singolo che, di quella comunità fa parte. Valori che Rumiz nota nel monastero di Vibaldone in Lombardia. Un monastero benedettino femminile che:
“[…] sembra dirti che oggi la vera terra di missione non è l’Africa ma questa Europa che perde la bussola […]”
e ricorda ai lettori che l’ascolto e il lavoro silenzioso non sono assenza di pensiero e che la regola benedettina non fraintende né sminuisce il senso e il valore della parola.
Al principio dell’ora et labora non è preclusa la musica. Essa risuona volentieri, con gioia, nelle sale buie del monastero di Cîteaux in Francia.
Le note di un pianoforte rivelano un nodo nel filo infinito, l’esistenza del simpatico e ciarliero Frédéric. Una scoperta che fa ricordare a Rumiz Le città invisibili di Calvino e gli fa riconoscere il vero demone contemporaneo non appena passa a visitare il monastero di Saint-Wandrille. Il web, in questo secondo monastero francese, non ci fa una bella figura ma così, al momento è:
“Il demoniaco sproloquio del web dilaga anche perché sono ancora troppo pochi coloro che osano rispondere”.
Uno sproloquio i cui effetti si notano e sui quali si medita, in modi diversi in tutti i monasteri visitati dall’autore e che, nel libro, restituiscono l’immagine di una realtà dove l’individuo che lavora ed esiste senza imporsi si trova inspiegabilmente schiacciato da una comunità esasperante che, online, appare satura di frustrazione, indifferenza, depressione.
Quanto meditato tra le mura del monastero di Orval in Belgio riporta il lettore alla stazione di Bologna e poi mostra il monastero di Camerino nelle Marche dove vive un monaco, parente di Carlo Emilio Gadda, il quale, nella sua individuale serenità racconta che la regola benedettina è:
“La formula perfetta che attraversa i secoli, l’equilibrio ideale tra accoglienza, vita comunitaria e solitudine”.
Una formula che, malgrado le rovine e la dimenticanza, indica che l’idea originaria di Europa ancora resiste e trova, in chi abita i monasteri benedettini, coloro che perseverano nella regola e lavorano per rendersi consapevoli della realtà contemporanea assumendosi il dovere di mantenere viva la speranza e la responsabilità di difendere il diritto, umano e spirituale, di ricominciare. C’è chi disobbedisce al consumo del superfluo e chi mantiene il proposito di rimanere fermi sui propri valori e non farsi travolgere dallo smarrimento collettivo. Il credo è tutto nella convinzione che:
“Esiste un’altra Europa, di cui poco si parla. Un’Europa giovane e appassionata, che sogna, viaggia, lavora, resiste, combatte. Un’Europa che si fa carico del proprio destino e non scarica sugli Ultimi le colpe della crisi”.
Ognuno ha un compito da portare avanti e sul quale meditare, quello di Paolo Rumiz è stato di dar voce scritta a questi singoli e raccoglierne la testimonianza ne Il filo infinito e che ha la forma di un libro che sa farsi ascoltare rivelandosi una lettura realmente buona e interessante da affrontare e da percorrere. 🙂
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