Grazia Deledda è stata la prima donna italiana a vincere il Premio Nobel e il lungo elenco della sua produzione letteraria rendeva ardua la scelta di una singola lettura.
Alla fine, sfogliando le sottili pagine di una raccolta edita Meridiani, ho messo da parte (a malincuore) le novelle per seguire la storia contenuta nel romanzo intitolato Canne al vento.
Canne al vento di Grazia Deledda: seguendo la voce di una romanziera
Canne al vento è un romanzo che Grazia Deledda scrisse nel 1910 e che si svolge in un piccolo poderetto sardo, vicino a Nuoro.
Poderetto i cui dintorni sono coltivati dal vecchio servo Efix per conto delle sue padrone, figlie nubili del defunto Don Zame e all’interno del quale esse vivono rinchiuse, in attesa di tempi migliori. Ruth, Ester e Noemi vivono in solitudine ricevendo, di tanto in tanto, lettere dalla sorella Lia fuggita in gioventù e madre del loro unico nipote, Giacinto.
Efix è l’unico mezzo di collegamento con il mondo creato da Grazia Deledda in Canne al vento.
Il servo, per anni, si mantiene fedele alle padrone nascondendo il segreto della morte di Don Zame e della sua signora Maria Cristina e sostenendo il peso del tradimento di Lia. Questo fino a quando Giacinto non comunica il suo desiderio di tornare a casa. Lia è morta e il nipote desidera conoscere le zie che non rispondevano alle lettere della sorella ma che non hanno mai mancato di riempirlo di regali. Che fare se non chiamare Efix e, insieme, decidere il da farsi? Il poderetto sta andando in rovina ma ancora resiste, il nipote è l’unica speranza per tornare agli antichi splendori.
Giacinto torna e, in prossimità della festa del rimedio, incontra Natolia e Grixenda. Si innamora della seconda ma invece di fare ciò che ha promesso, danza e beve e gioca in compagnia del commerciante del paese Milesi e del ricco feudatario Don Predu. Si indebita fino al punto da rischiare di fare perdere il poderetto alle zie che l’hanno ospitato e poi, anche lui, fugge.
Unica speranza di salvezza è che Noemi, la più giovane delle sorelle, sposi Don Predu e lasci che il nipote metta la testa a posto sposando a sua volta la povera Grixenda, chiusa in casa in attesa della decisione dell’amante.
Le padrone non vogliono cedere, le battute di spirito e le maldicenze corrono veloci in paese. Il servo, confuso, non sa che fare se non utilizzare la fuga di Giacinto per fuggire anche lui dalla situazione descritta e orchestrata da Grazia Deledda. Efix si calerà nei panni del mendicante che accompagna due ciechi incontrati lungo il cammino i quali, per chiedere l’elemosina, così raccontano:
“Ebbene, compagno mio, tutto succede per ordine del Signore: noi siamo suoi strumenti, ed egli si serve di noi per provare il cuore degli uomini, come il contadino si serve della zappa per smuovere la terra e vedere se è feconda. Cristiani, non guardate in noi due creature povere, più tristi delle foglie cadute, più luride dei lebbrosi; guardate in noi gli strumenti del Signore per smuovere il vostro cuore!”
Efix si vergogna dei suoi compagni di viaggio ma sa che gli sono necessari per ritrovare sé stesso e per liberarsi dai pesi che lo opprimono al fine di tornare, cambiato, alle sue amate padrone. Ester nota tale cambiamento nel servo e vuole sapere di più:
” Perché la sorte ci stronca così, come canne?
[…] siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.
Sì, va bene: perché questa sorte?”
Efix non sa rispondere.
Nell’insieme delle vicende descritte dal romanzo il vuoto per comprenderne il senso rimane sempre nei dintorni del poderetto. Canne al vento illustra con grazia certosina come le vicende esistenziali dei personaggi rimangono sempre e comunque in balia un destino imperscrutabile anche quando, da esso, giungono notizie e indizi sui cambiamenti che andranno ad incidere e a stravolgere il modo di vivere, di relazionarsi e di divertirsi della comunità narrata.
Il romanzo, inoltre, sembra anche narrare, da più punti di vista e attraverso uno stile di scrittura elegante e suggestivo, la vera storia del matrimonio tra Don Zame e Maria Cristina. A seguire la voce della romanziera si ha l’impressione che la narrazione realistica sfumi nella metafora e nell’allegoria e, per questo, l’opera si presta a farsi sofisticato espediente per raccontare la realtà del tempo in cui nasce, perindagare il senso del vincolo coniugale e a quale idea di fedeltà si adegua e per misurare il grado di consapevolezza che un uomo e una donna hanno l’uno dell’altra quando decidono di sposarsi. La storia, per quanto interpretabile, non si presta a una lettura superficiale, di mero intrattenimento.
Canne al vento affascina per come la materia sulla quale si costruisce il romanzo fotografia di un contesto sociale, di una cultura e di un sistema di valori si parcellizzi tra i diversi personaggi e loro vicende correlate rispecchiando, parallelamente, le sfaccettature individuali e collettive della realtà rappresentata. Il tutto è reso con una padronanza di emozioni e stati d’animo e con una lucidità di pensiero che, forse, ai tempi in cui Grazia Deledda scriveva era insolito, per una donna.
Da qualche parte ho letto che, in letteratura non esiste solo Grazia Deledda eppure, una volta conclusa la lettura di Canne al vento rimane un certo margine di dubbio se catalogare la sua produzione artistica come qualcosa passata di moda o riconoscere in essa un insieme di classici che hanno ancora molto da dire e da insegnare in fatto di letteratura.
Certo, non esiste solo Grazia Deledda però, c’è stata. Perché non continuare a darle ascolto assieme ad altre voci femminili in letteratura come quelle di Donna Tartt, Doris Lessing, Elsa Morante, Simona Vinci, Rosella Postorino o Margaret Atwood o di altre ancora?
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