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L’arte della fuga di Fredrik Sjöberg: storia di un acquerellista di successo

9 Ottobre 2019
L'arte della fuga di Fredrik Sjöberg

L’arte della fuga è il secondo volume, in ordine narrativo, dell’anomala trilogia di Fredrik Sjöberg edita Iperborea e che, salutato René Malaise, incrocia un quadro di Gunnar Mauritz Widforss:

“Un acquerellista un po’ convenzionale specializzato in bei paesaggi”.

L’arte della fuga, apparentemente, racconta la storia di una carriera di successo raggiunta oltreoceano ma, davvero Widforss è stato così? Perché e da cosa è fuggito per tutta la vita?

L’arte della fuga di Fredrik Sjöberg: viaggi d’artista, un’esistenza banale

L’arte della fuga, coerente allo stile di Sjöberg, lascia un indizio che orienta il lettore nell’impresa di trovare un senso alle tracce lasciate da un artista dall’esistenza banale. L’indizio è una citazione tratta dallo scrittore e disegnatore Stig Claesson:

“Fuggire, come sai, significa vincere. Fuggendo si conserva l’amore e ci si crea un ricordo. Si sacrifica tutto per l’amore e tutto quel che si ha da sacrificare è l’amore stesso. Rimanendo si sacrifica la fuga e ci si crea un rimpianto. Ci vuole coraggio in entrambi i casi”.

Il ricordo, che emerge di fronte a un tramonto e a un pino dipinti da Widforss, conduce la voce narrante ai tempi dell’adolescenza, in un frangente in cui il passaggio dall’infanzia all’età adulta si accompagna a un canto malinconico e sentimentale.

“Le storie, semplicemente, cominciano. Raramente si sa dove e quasi mai il perché. Non ha più nessuna importanza. Non c’è più niente di sicuro, ormai”.

Il quadro e il ricordo si sovrappongono nella stessa galleria d’arte in cui è stata venduta e acquistata una delle opere collezionate da René Malaise.

“Le esperienze artistiche possono essere travolgenti quasi quanto gli amori, anche nel senso sgradevole e molesto che l’ansia di possesso si nasconde nell’ombra dietro la gioia”.

L’arte della fuga, con tutte le sue apparenti divagazioni, ha trovato un nuovo soggetto al quale dare la caccia al posto delle sirfidi.

Perché Gunnar Moritz Widforss non è particolarmente noto e ricordato in patria? Perché un quadro che rappresenta un banale paesaggio è stato poi acquistato da un collezionista americano, a una cifra spropositata? Perché i viaggi e il nome dell’artista sono associati solo ed esclusivamente ai parchi naturali americani, pur avendo rappresentato anche panorami europei? Perché, alla fine, è fuggito da Stoccolma?

“Sappiamo poco di tutto. È raro che sappiamo molto di qualcosa, e solo in casi eccezionali ne sappiamo più di tutti gli altri. […] Alla fine ci ritroviamo lì con le nostre mezze conoscenze a domandarci a cosa serva tutto questo […]”

Sono perché più che sufficienti per lasciarsi coinvolgere nella lettura de L’arte della fuga che porta a un viaggio in America, sulle tracce dell’itinerario esistenziale del figlio di un grossista e di una pittrice. Come guida, la fitta corrispondenza epistolare di Gunnar alla madre Blenda e qualche lettera, qua e là, ad amici con i quali ha fatto un pezzetto di strada insieme. Lettere che, malgrado non dicano tutto, lasciano intuire tante cose su Widforss e su come è diventato un acquerellista di successo puntando esclusivamente sulla rappresentazione di scorci naturalistici.

Sconosciuto in Svezia ma celebrato in terra straniera, l’artista de L’arte della fuga non tornerà mai più in patria e il suo esilio racconterà molto sulla cultura del luogo di adozione, con pregi e difetti.

Semplificando, Widforss fuggiva dal ramo femminile della sua famiglia per costruire da sé, senza l’aiuto della madre e delle sue conoscenze nel mondo dell’arte europea, la sua identità d’artista. Un’identità che però rimane localizzata all’estero e, nello specifico, all’interno dei confini dei parchi naturali statunitensi. Riserve sorte per volere di uomini d’affari e magnati dell’industria inclini a pagare qualsiasi cosa pur di preservare aree dalla natura selvaggia e incontaminata. Luoghi che non sono altro che spazi di relax, bolle di sosta, da raggiungere comodamente in macchina o da contemplare in un quadro, tra un viaggio di lavoro e l’altro.

Il capitolo intitolato Perché i parchi naturali? è un’affascinante riflessione sul modo degli americani di approcciare alla natura. A differenza degli europei non è tanto data dal desiderio di instaurare una relazione rispettosa dell’ambiente circostante ma dall’intenzione di assecondare la tendenza, spesso ingenua, a preservare l’ambiente per il semplice fatto che, anche se non utile, è comunque bello da vedere.

Probabilmente non è un caso che tra i migliori amici o committenti di Gunnar compaiano nomi di imprenditori come gli unici in grado di sostenere, con il denaro, le opere di un artista che, tutto sommato, si adatta alle loro richieste con gentilezza e generosità. Pur lamentando di tanto in tanto la mancanza di amici attorno a sé, Gunnar non dirà nulla riguardo alla sua incapacità di costruirsi una rete di relazioni con chi veramente contava e poteva influire sulla sua carriera artistica.

L’arte della fuga, quindi, racconta sì la storia di un acquerellista di successo (per la cultura del fare e del saper fare) ma è anche la copertura di un fallimento umano che, incapace di assumersi le sue responsabilità cerca, nel rispetto dell’educazione ricevuta (cultura dell’essere e del saper comportarsi) una via di mezzo per assecondare le convenzioni dell’epoca in cui vive e una via di fuga dalla dimenticanza. L’America non è altro che un luogo dove poter addolcire una vita sposata alla solitudine.

L’arte della fuga è anche una storia sull’amicizia e un modo per descriverne le sfumature mostrando al lettore che, a volte, è necessario mettere da parte il pudore e aggirare le convenzioni per riuscire a vedere il soggetto nella giusta luce e prospettiva, prima che esso giaccia dimenticato nel buio.

“In fondo sono solo acquerelli, un po’ irreali, di un pittore che nessuno ricorda”.

Una storia in cui, per la seconda volta, Sjöberg ha raccontato tutto ma non troppo alternando lo stile narrativo allo stile didascalico proprio di un collezionista e di un raccoglitore di informazioni, documenti, lettere e tracce di un singolo, apparentemente insignificante, essere umano.

L’arte della fuga si risolve in un finale plausibile ma non si chiude. Nelle ultime righe della penultima pagina la voce narrante comincia a formulare un pensiero:

“Devo proseguire, in punta di piedi, ma subito, prima che…”

Un pensiero sospeso che troverà seguito nel terzo e ultimo libro, Il re dell’uvetta.

Autore: Fredrik Sjöberg
Titolo: L’arte della fuga
Titolo originale: Flyktkonsten
Traduzione: Fulvio Ferrari
Casa editrice: Iperborea
Pubblicazione: giugno 2017
Pagine: 189
Prezzo di copertina: € 16

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