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Parole Ostili: luoghi, persone e conversazioni reali e virtuali

7 Giugno 2019
Parole Ostili: luoghi, persone e conversazioni reali e virtuali

La terza edizione di ParoleOstili, svoltasi tra il 31 maggio e il 1° giugno, continua ad essere l’evento di riferimento più virtuoso disponibile offline per orientarsi sul come comunicare facendo attenzione alle parole che si condividono su Internet.

Per la varietà dei temi trattati, il consiglio di iscriversi a un solo panel per volta è stato per me di grande aiuto per scegliere su quali argomenti concentrarsi di più e che raccolgo in questo post.

Parole Ostili: Fake News, Internet Gravity, Crisis Management e Non dire Start Up

Il 1° giugno, la terza edizione di Parole Ostili è iniziata ascoltando e prendendo appunti su quanto Andrea Fontana, storyteller e sociologo della comunicazione, Ermes Maiolica e David Puente, rispettivamente creatore e decostruttore di bufale avessero da raccontare su:

Fake News: chi le crea e chi le smaschera. Conversazione tra guardie e ladri

Chiarito che le Fake News non sono altro che costruzioni di storie che tutti, in minore o maggior misura, contribuiamo a creare, distribuire, divulgare online, il quesito del primo incontro di Parole Ostili, è se tali narrazioni possono mettere in discussione quelle che sono comunemente accettate come verità assolute. Prima di rispondere, Andrea Fontana ha fornito un esempio pratico e una definizione di Fake News:

“Le Fake News sono dati reali messi insieme per formare notizie inventate ma verosimili e che risultano credibili perché corrispondono a convinzioni presenti negli uditori. Questo avviene perché ora tutti abbiamo la possibilità di raccontare tante cose e, di essere creduti”.

Fornito l’esempio, la conversazione ha identificato, nel cambiamento digitale, il suo pensiero di fondo e che tende più alla narrazione verosimile (pensiero fantastico) facendo passare in secondo piano il pensiero logico e la narrazione tradizionale che si vuole basata su fatti e dati certi, reali e verificati.

Fornita la definizione di Fake News e illustrato i suoi ragionamenti di base, Ermes Maiolica e David Puente hanno raccontato come creare e decostruire le bufale che non sono altro che burle digitali i cui scopi, nell’ambito della comunicazione digitale, possono essere positivi perché si prefiggono l’obiettivo di:

“educare la gente alla rete, scherzando e giocando”

o negativi perché non distinguono tra bufala, disinformazione (informazione mal posta) misinformazione (errore non voluto) e satira e non offrono all’utente gli strumenti:

“per sapere come comportarsi o reagire adeguatamente a un contenuto così confezionato”.

Al quesito sul come difendersi da questo tipo di narrazione che prolifera sul digitale, tutti i relatori hanno comunicato di comune accordo e dai loro punti di vista differenti che:

“Non serve un mezzo per difendersi dalle Fake News. Il problema siamo noi ed è su noi stessi che dobbiamo lavorare per riuscire ad oggettivare le narrazioni nelle quali siamo continuamente immersi. Si sta 5 minuti a creare una bufala ma si può impiegare anche un mese, per decostruirla e verificarla”.

E che, più che difendersi, si deve trovare un modo per conviverci tenendo conto del fatto che, quando ci si immerge nel digitale e secondo Andrea Fontana, tutti noi siamo più emozionali e affetti di:

  • “Tachipsichismo: ipervelocità del pensiero che ci impedisce di essere attenti a quello che leggiamo, scriviamo o postiamo;

  • Sindrome di Pollyanna: approccio ingenuo alla realtà che ci porta a costruirla o riconoscerla in base a quello che vediamo.”

A conclusione del primo incontro di Parole Ostili, quale sarà dunque il futuro delle Fake News non è dato saperlo per certo. Quello che è probabile è che alzandosi il filtro cognitivo per riconoscerle potrebbe, di conseguenza:

  • aumentare le sofisticazioni manipolatori,
  • rendere più difficoltosa la distinzione tra verità soggettive e verità oggettive e
  • richiedere un continuo aggiornamento dell’elemento umano, l’unico in grado di riconoscere gli sbagli che si possono commettere anche con le tecnologie più avanzate.

In che modo si può lavorare su sé stessi facendo del digitale un luogo di opportunità per vivere esperienze positive e non solo uno spazio dove si corre il rischio di essere ingannati o truffati? Il secondo intervento di Parole Ostili, dispone qualche esempio tra reale e digitale.

Internet Gravity: perché la rete è (anche) un posto bellissimo

Condotto da Giovanni Boccia Artieri (professore di sociologia dei processi culturali e comunicativi, Internet Gravity ha raccolto cinque storie di responsabilità sociale online raccontate da Imen Boulahrajane, Francesca Crescentini, Domitilla Ferrari, Filomena Floriana Ferrara e Riccardo Puglisi partendo dalla convinzione che:

“Internet è tutto e niente, come la gravità è qualcosa che ci tiene insieme”.

Nel senso che ci sarà sempre qualcuno che:

  1. si racconterà e spiegherà temi complessi adottando un linguaggio semplice e comprensibile facendo della condivisione la sua parola guida come sta facendo Imen, appassionata di economia politica;
  2. aggiornerà il suo diario dedicato ai libri, alla scrittura e al mondo dell’editoria e ricercherà una simmetria tra dimensione narrativa e componente lavorativa come ha scelto Francesca Crescentini;
  3. parlerà di web marketing come tutti avendo cura di coltivare il suo orto composto di relazioni basate sulla fiducia come ha detto Domitilla Ferrari;
  4. posterà colazioni e, per amore della parola network, porterà avanti progetti di formazione al femminile nel settore informatico come Floriana Filomena Ferrara, direttrice della fondazione IBM Italia;
  5. verificherà le novità su temi d’interesse economico (e non solo) condivise online tenendo traccia, in una sorta di archeologia su Twitter, delle cose che possono essere deleterie ai fini di una corretta divulgazione scientifica come ha spiegato Riccardo Puglisi, professore di economia.

Se Internet è un luogo che, come la forza di gravità, tiene insieme persone diverse fra loro è allora un atto di responsabilità sociale prendersi cura dello spazio che in cui si decide di risiedere (Instagram, Twitter, Snapchat o altro) e dei temi che si vuole far conoscere e/o condividere. Perché, se ci sono persone che si prestano a lasciarsi vedere per quello che sono, fanno, raccontano, ce ne saranno molte di più disposte ad ascoltare e a seguirle contribuendo, in questo modo, a fare di Internet (anche) un posto bellissimo. Un luogo che però non è privo di pericoli che può generare delle crisi da dover gestire con prontezza e competenza e che è la tematica del terzo intervento seguito a Parole Ostili.

Parole Ostili: appunti su Fake News, Internet Gravity, Crisis Management e Non dire Start Up

Crisis Management: come reagiscono le aziende alle parole ostili

La Crisis Management nell’era dei Social Network è stata spiegata da Daniele Chieffi (Head of Digital Comunicatione – AGI) Gabriele Bentipaglia (Head of Reputation and Crisis Management) e Laura Cannone (Emergency Response Officer Costa Crociere S.p.a.

A iniziare, Daniele Chieffi, ha fatto un passo indietro specificando che se prima l’azienda poteva ricostruire le informazioni e negoziare la notizia di una crisi imminente intavolando un dialogo con i con i media tradizionali, con il digitale non è più così. Saltando questa intermediazione, le aziende si trovano a non aver più controllo su quanto sta accadendo perché inserita in una narrazione sociale che si aspetta ed esige delle risposte su quanto sta accadendo.

“I Social Network sono strumenti non adatti a decriptare, a spiegare la complessità e le necessità aziendali di spiegarsi si trovano a doversi rivolgere a un pubblico, a una comunità passando da un linguaggio informativo a un linguaggio conversazionale”.

Questo spostamento è la prima difficoltà che le aziende si trovano ad affrontare in casi di Crisis Management e Gabriele Bertipaglia aggiunge che:

“Ora la maggior parte delle crisi di comunicazione sorge dal web e le aziende non sono strutturate, se non per quanto riguarda gli strumenti di marketing, per portare avanti dei meccanismi di monitoraggio che permettano loro di rispondere al fine di salvaguardare la reputazione aziendale”.

In tal senso, il consiglio di Laura Cannone per gestire una crisi sui Social Network è:

“strategico che sia definita, prima, una strategia di comunicazione ben precisa”.

Al tema di Crisis Management si è agganciato il tema della reputazione aziendale. Quanto accaduto alla Ferrero per l’olio di palma e a Barilla per una frase fuori luogo ha messo in luce come la capacità di capitalizzare una solida reputazione grazie alla cura della conversazione e delle relazioni con i propri stakeholder e l’incapacità a chiedere scusa abbiano generato, per le due aziende menzionate, effetti completamente opposti.

“Con il digitale c’è stato un cambio di paradigma e anche i Brand sono diventati parte di una comunità in quanto soggetti chiamati a rispondere e a prendere coscienza, in base all’opinione che il web ha di essi, capire se godono di buona o cattiva reputazione”.

Solo attraverso le parole che vengono usate e abusate online si può capire questo e molto altro ancora riguardo ai temi trattati e, per questo, l’ultimo incontro seguito è stato:

Non dire Start Up: le parole ostili all’innovazione

Intervistati da Paolo Iacona (Tech Journalist presso La Stampa, Mediaset, Wired, Vanity Fair e L’Espresso) i conversatori di Non dire Start Up, tra i quali Alex Giordano (fondatore di Ninja Marketing) e Giovanni Boccia Artieri hanno parlato delle parole che, usate per spiegare il cambiamento tecnologico in atto, sono state invece svuotate di senso e significato.

Termini come Start Up, Marketing o Crowdfunding sono diventate parole ostili all’innovazione perché, provenienti da un’altra cultura, sono state inserite in contesti che non le appartengono.

Per quanto riguarda il termine Start Up, Alex Giordani ha spiegato che è possibile riempire di senso tale parola costruendo uno storytelling coerente con la cultura e il territorio per il quale viene adottata e, allo stesso tempo, discostandosi dal mito e dal modello finanziario alla quale la parola è associata. Lo stesso avviene anche con la parola marketing che, prima di ruotarla di senso per non renderla ostile all’innovazione, va analizzata per come viene intesa.

“Il marketing è una pratica ma, se le si fornisce il ruolo di scienza sociale, si rischia di dargli il ruolo di colpevole dello svuotamento di significato delle parole”.

C’è differenza nel raccontare la rete utilizzando parole specifiche rimanendo nella convinzione di possedere competenze digitali quando, in realtà, l’Italia non è pronta, né preparata ad affrontare la sfida digitale perché di tali parole non si ha l’esperienza, non si è vissuta l’esperienza dei significati veicolati da esse.

“Si usano parole specifiche che però non vengono sperimentate”.

Un tema, questo, che ha interessato anche l’utilizzo del termine Crowdfunding e che tuttora fa emergere varie problematiche di traduzione e di decodifica del suo significato che, non essendo state risolte, hanno portato alla nascita di dinamiche di #crowdfuffing.

In conclusione, lo svuotamento di significato delle parole che dovrebbero raccontare l’innovazione è ostile all’innovazione stessa in quanto, invece di favorire, impediscono alla società di raccontare e spiegarsi il cambiamento tecnologico sviluppando:

“una narrazione che non ha saputo produrre un sapere su ciò che riguarda l’innovazione”.

Mentre seguivo questi eventi organizzati a Parole Ostili, ho avuto un déjà vu. Mi sembrava di ascoltare, in veste digitale, i temi letti nel Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione.

  1. Non dire Start Up potrebbe stare bene nel Primo Libro del Cortegiano,
  2. Fake News ricorda molto le dinamiche e gli esempi del parlar ingannando l’opinione ma senza offendere gli ascoltatori espresse nel Secondo Libro del Cortegiano,
  3. Internet Gravity, per le storie raccontate da quattro relatrici e un solo relatore, potrebbe, se non offrire un’alternativa al ritratto di gentildonna fornito dal Terzo Libro del Cortegiano, almeno fornire degli esempi virtuosi per il virtuale,
  4. il discorso su capitale e debito reputazionale delle aziende accennato in Crisis Management potrebbe ben collocarsi nel Quarto Libro del Cortegiano.

Riletto attraverso l’evento, il Cortegiano rimane nel suo tempo ma è stato affascinante rilevare come gli stessi modelli di conversazione si siano ripetuti anche a Parole Ostili recuperando e riadattando all’era dei social network valori le virtù rinascimentali.

Se l’evento richiama un libro del passato è un bene perché soddisfa la necessità e l’interesse a selezionare e ascoltare gli argomenti adatti per comprendere perché:

“il virtuale è reale”.

P.S. Per trasparenza e per approfondire, rimando al post (rivisto e aggiornato) che raccoglie gli argomenti e gli appunti presi durante la seconda edizione di Parole Ostili.

Buona lettura, 🙂

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