Apocalittici e integrati di Umberto Eco è tra le letture consigliate nell’ultima newsletter. Pubblicato nel 1964, il libro ripercorre quesiti, cause e conseguenze riguardanti le influenze che i nuovi mezzi di comunicazione (radio, giornali, tv) hanno avuto sulla cultura di massa. Data la recente trasposizione televisiva ampiamente comunicata e commentata anche sul web de Il nome della rosa, ero convinta che lo avrei facilmente trovato tra i libri da acquistare.
Convinzione errata. Apocalittici e integrati di Umberto Eco, varcata la quinta libreria, è stato un libro che ho dovuto ordinare. Mentre fissavo diffidente le ristampe del romanzo, mi chiedevo se fosse introvabile perché raccoglie argomenti passati di moda.
Se Il nome della rosa lo abbandonai a pagina 13, senza rimpianti né sensi di colpa, Apocalittici e integrati l’ho letto in tutte le sue 385 pagine e con curiosità.
In questo post più che una recensione, tento di farne un sunto. L’intento è di posticipare, se possibile, il rischio che Apocalittici e integrati venga accantonato tra gli strumenti critici passati di moda.
Apocalittici e integrati di Umberto Eco: libro difficile da trovare perché fuori moda?
Nella ristampa del 2013 di Apocalittici e integrati si spiega come, fin dal suo esordio, abbia scatenato reazioni contrastanti producendo recensioni in cui tutti gli intellettuali dell’epoca:
“[…] discutevano l’opposizione tra moralisti apocalittici e ottimisti integrati, ma in alcuni il problema delle comunicazioni di massa veniva approfondito in chiave più decisamente politica”.
Alle reazioni di critici e lettori si accompagna quella di Umberto Eco il quale, inizialmente, tentò di opporsi alle successive ristampe dell’opera discussa specificando, in primo luogo, il come era nata e spiegando, in secondo luogo, come l’avrebbe scritto per farne un’edizione realmente aggiornata.
Arresosi alle continue richieste da parte delle librerie di Apocalittici e integrati, all’autore non restava altro da fare che ripetere il senso del libro:
“Per quanto concerne il senso generale del libro, forse ciò che lo renderà ancora leggibile è proprio l’aspetto che ha indotto tanti recensori a domandarsi se io fossi apocalittico o integrato, dando le risposte più divergenti e non ho ancora capito se è perché ero ambiguo, perché ero problematico o perché ero dialettico.
O se erano loro a non essere nessuno dei tre e avevano bisogno di risposte a tutto tondo, o bianco o nero, o sì o no, o giusto o sbagliato.
Come se fossero stati inquinati dalla cultura di massa”.
Nella Prefazione il tema generale di Apocalittici e integrati l’autore difende l’opera dichiarando ingiusto separare l’umanità in due categorie e, per ribadire i suoi principi o la sua volontà, cita Eraclito:
“Perché volete trarmi da ogni parte o illetterati?
Non per voi ho scritto, ma per chi può capirmi.
Uno per me vale centomila, e nulla la folla”.
Per poi presentare e disporre gli strumenti critici usati per:
- individuare e inquadrare i concetti feticci insiti nei temi trattati;
- distinguere tra apocalittici e integrati quando, in realtà, l’uno sfuma nell’altro e
- spiegare, schematicamente, come orientarsi nella lettura suddivisa in tre sezioni.
1. Analisi strutturale della forma del messaggio, di come è stato emesso e da chi
Intitolata Alto medio basso, la prima sezione di Apocalittici e integrati esordisce con una citazione tratta dal Fedro e sottolinea il fatto che la nascita di nuovi strumenti culturali quali scrittura, stampa e mass media sono la causa della conseguente modifica dei modelli culturali, sociali e antropologici sui quali una civiltà si regge e, prospera.
Nella civiltà che Umberto Eco analizza, i mass media, secondo gli intellettuali:
“si giudicano commisurandone il meccanismo e gli effetti a un modello di uomo rinascimentale che non esiste più.”
mentre, per l’autore:
“[…] occorrerà discutere i vari problemi partendo dall’assunzione, storica e antropologico – culturale a un tempo, che con l’avvento dell’era industriale e l’ascesa al controllo della vita associata delle classi subalterne, si è stabilita nella storia contemporanea una civiltà dei mass media, della quale andranno discussi i sistemi di valori e rispetto alla quale andranno elaborati nuovi modelli etico – pedagogici.”
Riprendendo, tra i molti testi puntigliosamente citati, gli studi di Dwight MacDonald (scrittore, filosofo e sociologo statunitense) Apocalittici e integrati illustra tre livelli di cultura e ne rimprovera a una nello specifico:
“non si rimprovera alla cultura di massa la diffusione di prodotti di infimo livello e di nessun valore estetico […] si rimprovera al midcult di sfruttare le scoperte dell’avanguardia e di ‘banalizzarle’ riducendole a elementi di consumo”.
Si apre così il dibattito contro o a favore della cultura di massa dove sembra che esponenti dello strato culturale mediano si schierino o dalla parte della cultura alta (apocalittici) o da quella della cultura di massa (integrati).
I primi stilano 14 capi d’accusa puntigliosamente documentati, i secondi strutturano la difesa mettendo insieme 9 argomenti di discussione che, per Umberto Eco, non sono altro che:
“[…] il mascheramento ideologico di una struttura economica precisa, fondata sul consumo per il consumo”.
I due schieramenti, invece di chiedersi:
“quale azione culturale è possibile per far sì che questi mezzi di massa possano veicolare valori culturali”
dibattono su una problematica mal posta, fondata sull’idea che la libertà di espressione è naturalmente buona ma non considera le logiche economiche legate alla comunicazione e ai mass media. Prospettiva che, peraltro, non conduce a una certa idea di cultura democratica. Un’idea che può essere determinata solo revisionando ruoli e messaggi seguendo un approccio critico articolato su tre livelli.
Fatto il punto della situazione e delle sue problematiche, Apocalittici e integrati trasporta il dibattito nell’epoca in cui sorge la questione e, invece di capi d’accusa e argomenti di difesa, propone quattro campi di ricerca per esercitare la critica su tre livelli e loro strumenti culturali.
Mentre leggevo La struttura del cattivo gusto, mi ha affascinato la definizione che se ne fa e in cui:
“tutti dichiarano di sapere e di indicare il cattivo gusto, pochi sono quelli in grado di darne una definizione precisa.”
Definizione che, fornita da Walter Killy e dai suoi studi sul Kitsch, introduce a una categoria di Midcult i cui prodotti si contraddistinguono per la reiterazione di determinati stilemi letterari i quali, portando a una fruizione di sentimenti preconfezionati, si presentano come prodotti di alto livello estetico quando, in realtà, fanno leva sulla pigrizia della cultura di massa e creano in essa l’illusione di consumare Arte. Un esempio di prodotto così confezionato, Il vecchio e il mare. Romanzo che non fa altro che:
“porre la pubblicità del prodotto nel prodotto”.
L’analisi prosegue poi con un ripasso delle strutture del messaggio poetico e di come è stato emesso nel corso del tempo (dal Medioevo ai giorni nostri) per poi applicare lo stesso metodo dopo la lettura del fumetto Steve Canyon. Fumetto che Umberto Eco analizza in due fasi (semantica del linguaggio e studio del messaggio) e che fanno emergere alcune questioni così sintetizzate:
- in che modo, rimandando al rimprovero di MacDonald, gli stilemi artistici d’avanguardia si ritrovano e vengono riadattati nel genere del fumetto?
- in che modo la fusione di elementi originali con elementi stereotipati, da produzione in serie, creano uno standard, un luogo comune facilmente piazzabile e largamente fruibile?
- in che modo l’autore risolve i condizionamenti derivanti dall’industria culturale e dalle modalità di ricezione del pubblico al quale il prodotto è rivolto e come si può esprimere una visione diversa pur rimanendo conformi agli stilemi e ai mezzi di comunicazione adottati?
- in che modo, una volta preso coscienza dei condizionamenti sopra riscontrati, possono essere risolti e diventare occasione di discorso?
- in che modo l’autore può soddisfare un pubblico senza commettere l’errore di dimenticare che le differenti modalità di fruizione di un prodotto non indicano un modello unico di uomo-massa?
Sono questioni che accompagnano, quasi impercettibilmente, nella seconda sezione di Apocalittici e integrati.
2. Analisi delle differenti modalità di ricezione e del tipo di pubblico al quale il messaggio è rivolto
In questa parte si presentano le caratteristiche e le modalità di comportamento che i Personaggi devono avere per rendere comprensibili e giustificabili le loro azioni così da permettere ai loro fruitori di interfacciarsi e empatizzare con le loro storie di carta e d’inchiostro.
Si riprende il concetto di topos che, da luogo comune, diventa tipo morale del personaggio al quale viene affidato il compito di risolvere un dilemma comune anche ai lettori o fruitori di un prodotto culturale e/o di consumo. Compiti che prima dei fumetti sono stati sviluppati in romanzi dove hanno preso forma ed esistenza Tonio Kroger di Thomas Mann, Julien Sorel de Il rosso e il nero di Stendhal o nella famiglia de Gli indifferenti di Alberto Moravia. Presi singolarmente, sono diventati e fanno parte della gamma di esempi di personaggio tipo che:
“si propone e lavora nella coscienza del lettore”.
Personaggi tipo che hanno ispirato i personaggi da fumetto e che, in Apocalittici e integrati, spiegano:
- come è nato il mito di Superman, quali dinamiche sono state messe in atto per renderlo tale e come ha risolto, mettendo in crisi il tempo del racconto, problematiche che potevano intaccare le convenzioni rendendo il personaggio stesso conforme al pensiero comune;
- perché il mondo di Charlie Brown, presentato come prodotto di consumo che usa tutti i meccanismi d’evasione e d’intrattenimento che gli sono propri, ha permesso a Schulz di creare, con due colpi di matita, la sua versione della condizione umana.
Si chiude così la seconda sezione di Apocalittici e integrati che, con Suoni e immagini, si avvicina alla terza sezione del libro.
3. Analisi delle procedure più valide per far sì che il messaggio da veicolare, una volta compreso contesti e varianti elencati nelle sezioni precedenti, raggiunga il suo pubblico e senza fraintendimenti.
Dedicata ai mezzi e alle procedure di comunicazione, La canzone di consumo, intesa come sovrastruttura, risponde al perché è considerata tale e parla dei miti generazionali che ha creato fino a disporre, in La musica e la macchina, un sunto sulle modalità di produzione e ricezione di questa forma d’arte.
Un sunto perché a questo punto di Apocalittici e integrati è chiaro che:
“l’avvento della musica riprodotta ha mutato le condizioni di consumo e della produzione musicale nella stessa misura in cui la stampa aveva mutato le condizioni di lettura e della produzione letteraria”.
La musica, la radio e la televisione e gli Appunti sulla televisione è forse la parte forse meno chiara di Apocalittici e integrati perché, seppur fissata la distinzione tra mezzo tecnico e mezzo artistico, gli studi sugli effetti e sulle modifiche sui modelli culturali e comportamenti sociali determinati dallo strumento stesso sono ancora in essere.
Ci sono però, in queste pagine, alcune intuizioni sugli equivoci che possono nascere attorno a questa invenzione dagli anni ‘60 in poi e i rimandi a studi sul come la comunicazione televisiva e sua fruizione passiva induca a uno stato di rilassamento che penalizza l’approccio critico divenendo veicolo di false suggestioni facendo luce sui rischi in cui si potrebbe determinare:
“[…] un rifiuto indiscriminato dei mezzi di comunicazione, rifiuto che scinderebbe fatalmente la società in un ristretto gruppo di intellettuali che disdegnano i nuovi canali di comunicazione, e un vasto gruppo di consumatori che rimangono naturalmente nelle mani di una tecnocrazia dei mass media, priva di scrupoli morali e culturali, intenta unicamente a organizzare spettacoli capaci di attirare le folle”.
Questa citazione sembra quasi riprodurre, in copia carbone, quanto avviene nel digitale. Le false suggestioni e le modalità di utilizzo del mezzo televisivo e quanto spiegato al workshop Il gioco delle verità seguito al Brand Festival riguardo Facebook, Instagram e tutti i mezzi e la comunicazione online, sembrano parlare lo stesso linguaggio.
Leggendo Apocalittici e integrati, libro introvabile che rischia di passare di moda per il suo essere uno strumento critico tradizionale, ho avuto la sensazione che, forse, gli imbecilli di cui parlò Umberto Eco nel 2015 non sono la massa che usa i nuovi media per esprimersi ma coloro che, confezionando messaggi per la massa, diventano essi stessi la massa alla quale si rivolgono, in un continuo scambio di ruoli tra chi emette e chi riceve e che genera un circolo vizioso in cui tutti siamo immersi.
È veramente così? Davvero Apocalittici e integrati parla di argomenti fuori moda?
Umberto Eco diceva anche che:
I libri vanno usati, non lasciati stare.
Mi sono chiesta in che modo vanno usati e, mentre leggevo Apocalittici e integrati, mi sono soffermata su alcuni aspetti della lettura che hanno a loro volta ispirato riflessioni varie su letteratura e social. Se desideri saperne di più, seguimi su LiberSe. 🙂
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