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Sulla piacevolezza della lettura: qualche considerazione

19 Aprile 2019
Piacevolezza di lettura: qualche considerazione

Una volta ragionato su quale sia il miglior approccio alla lettura per farne esperienza e, di conseguenza, memoria e conoscenza, qualche considerazione sulla piacevolezza della lettura è d’uopo.

Mi fai compagnia?

Perché non piace leggere? Perché è inutile o faticoso?

Mi sono spesso chiesta quale fosse l’ostacolo insormontabile che impedisce a un non lettore, dichiarato o meno, di aprire le pagine di un libro per immergersi in una storia.

Ci vuole tempo per imparare a decodificare i segni grafici che compongono le parole disposte su un foglio, cartaceo o elettronico che sia.

Ci vuole tempo per comprendere di che cosa si sta parlando e ci vuole tempo per fare una sintesi così come ce ne vuole altro ancora per rielaborare il ricordo di un’esperienza di lettura, farne memoria e, di conseguenza, conoscenza.

Il tempo, quando si legge, pare scorrere all’infinito e, se non ci si sente coinvolti dalla storia, la lettura diventa un’attesa logorante pari alle prime venti pagine de Il deserto dei tartari di Dino Buzzati. Romanzo peraltro in cui non succede assolutamente niente e che rappresenta il bello e il brutto della lettura.

Leggere è faticoso, senza dubbio, ma è un ostacolo superabile perché ci si rende conto che non è poi così inutile in quanto i vantaggi che se ne ricavano sono più di quanto si percepisca. Solo che ci si rende conto dopo quali sono i motivi per cui leggere è piacevole.

Il piacere di leggere: alcuni motivi per farci caso

In treno, mentre andavo al Brand Festival, tra le varie conversazioni tra i miei sconosciuti compagni di viaggio mi ha colpito il confronto tra due studenti di economia riguardo a costi, profitti e ricavi.

A pensarci su, leggere è un costo sia per lo scrittore sia per il lettore che spendono tempo ed energie per costruire una storia e un dialogo attraverso l’ambientazione, la trama, la psicologia e gli intrecci tra i personaggi. È un costo talmente alto che non se ne vedono né i profitti né i ricavi. Tale percezione fa perdere di vista l’obiettivo finale, la piacevolezza della lettura in sé.

Leggere è piacevole perché consente di individuare il punto di partenza, il focus narrativo adottato per instaurare un dialogo tra lettore e scrittore. I libri migliori sono quelli che sono stati scritti per questo motivo, non per essere osannati dalla critica o per fare i soldi facili perché, tanto, che ci vuole a inventarsi una storia. Se è questo l’obiettivo di chi vuole scrivere un libro, un lettore se ne accorge e si sentirà ingannato perché è stato privato di tempo e denaro. Essere ingannati non è mai piacevole ma, non è giusto che questa situazione diventi generale bollando come farlocca tutta la produzione letteraria alla quale abbiamo accesso.

Leggere è piacevole perché, come disse Elizabeth Strout, Tutto è possibile per coltivare l’empatia. Stato d’animo che non si realizza quando ci si identifica con i personaggi ma che si determina con l’autore stesso, attraverso i personaggi che egli presenta e che fanno parte del suo mondo.

È un andare oltre la copertina, guardare come lavora uno scrittore, rimanere incantati nell’osservare come mette a profitto le sue abilità e sentirsi onorati perché, invece di lasciare in un cassetto il risultato della sua opera, la sottopone a giudizio di un lettore altrettanto abile ed esperto.

È piacevole leggere anche racconti e romanzi di persone che, per mestiere, fanno altro o che scrivono per il puro piacere di farlo. In questo caso, il riscontro sincero e oggettivo di un bravo lettore è tale da fornire le giuste motivazioni per migliorarsi nell’arte dello scrivere e/o trovare la propria voce narrante al fine di prendere coscienza della propria umanità, per capire se le dinamiche narrative messe in campo funzionano, se i personaggi sono credibili e se le azioni e relazioni che si instaurano tra essi sono coerenti con la psicologia e le personalità che gli sono attribuiti.

Leggere è una forma di ascolto, scrivere un modo per esprimere quanto si ha da dire. Lettore e scrittore sono un po’ come i due studenti che parlavano di formule economiche e che, alla fine, hanno concordato sul fatto che tutto sommato hanno riportato le informazioni necessarie per superare l’esame, a beneficio di entrambi. E a me, che ho ascoltato di soppiatto, ha fatto piacere sentirli dialogare. Anche se non mi interessava l’argomento. 🙂

La fatica di creare mondi nuovi con quello che si ha e si conosce della natura umana, sommata alla fatica di unire i puntini per capire cosa l’autore volesse dire con la sua opera, tende ad essere percepito come un ostacolo insormontabile per imparare a conoscere il modo di pensare e di sentire di chi scrive e che è un essere umano, con pregi e difetti.

A ripensare a quanto dice Murakami, il dono più bello per un romanziere è sentirsi compreso perché, quando questo avviene, significa che ha svolto bene il suo mestiere.

Il riconoscimento di un buon libro, quindi, vale più di un premio letterario che, peraltro, lascia il tempo che trova. Per distinguere i buoni libri da quelli cattivi è necessario leggere e, quando si riesce in questo intento di provare a seguire un discorso mantenendo un minimo di discernimento, ecco che, come per magia, si prende atto che la piacevolezza della lettura supera di gran lunga la fatica che comporta.

Ci avevi mai fatto caso?

Avviso: questo è l’ultimo post riflessione pubblico e condiviso sul blog riguardo il tema della lettura e l’utilizzo dei libri come argomento di conversazione e di approfondimento. I prossimi contenuti li troverai, se desideri, su LiberSe. 🙂

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