L’approccio di lettura a un libro è diverso dal leggere un post blog o dal guardare un film.
Se leggo un libro il mondo e l’umanità si mostra secondo uno schema definito in precedenza dallo scrittore. Che si tratti di un romanzo o di un saggio, volta conclusa la lettura ci si sente un po’ come quando si trascorre una giornata a parlare con una persona che ci conosce, ci ascolta e ci propone nuovi spunti di riflessione. Chiaro, semplice, trasparente.
Se leggo qualcosa online, invece, l’effetto è opposto. Le immagini delle persone non si susseguono secondo un filo conduttore sviluppato in un film e, in più, si confondono e si contraddicono fra loro. In questo caso si fa fatica a ricostruire il mondo che, comunicato da una moltitudine di voci, diventa un luogo dove il dialogo muore.
Dove sta l’inghippo, nelle parole che usiamo o dalle aspettative che le attribuiamo?
Approccio di lettura: lettori, scrittori, riflessioni
Al di fuori dell’online trascorro spesso il tempo a conversare con una beta reader e amica di vecchia data.
Un giorno l’ho colta immersa sulla schermata del suo smartphone, alle prese con una recensione negativa su un libro che entrambe abbiamo letto e, per motivi diversi, apprezzato. Il critico esprimeva, online, la sua opinione considerando il romanzo non verosimile, banale, poco emozionante.
La beta reader si domandava se archiviare la recensione nel dimenticatoio o lasciare che diventasse argomento di discussione sui social.
Dopo aver pensato con quale tipo di lettore avessimo a che fare, a come avrebbe reagito l’autrice del libro, ripensato al romanzo criticato, ripercorso le mie valutazioni riguardo ad esso e cercato le parole giuste per rispondere, ho optato per la seconda opzione premettendo che la recensione negativa, probabilmente, era stata formulata da una persona con un approccio al libro più da spettatore che da lettore.
Cosa intendevo? Semplicemente che uno spettatore tende più a subire le immagini che a costruirle seguendo indizi, strutture e pensieri predisposti lungo le pagine di un libro e a rielaborare il prodotto visivo facendo maggiore attenzione:
- a quanto gli attori riescano, con la loro interpretazione, a far in modo che lo spettatore si identifichi con il personaggio sul piano emotivo e psicologico,
- a quanto la storia sia verosimile, nel senso di più aderente alla realtà di tutti i giorni,
- a quanto la storia vera che ha ispirato il film sia convincente per persuadere lo spettatore nell’esistenza di favole realmente accadute rendendo credibile la finzione rappresentata.
Sono aspetti che creano aspettative da soddisfare e che il libro, un buon libro di letteratura, tende invece a tradire perché gli scopi che si prefigge sono leggermente diversi.
Quando guardo un film mi aspetto che mi coinvolga emotivamente ed è rilassante lasciare che le immagini scorrano in sequenza. Mi tolgono la fatica di ricostruire a mia volta le scene, la psicologia e i comportamenti che lo scrittore delinea in un libro per mezzo delle parole.
Quando leggo un libro e poi guardo il film da quale è tratto mi innervosisco perché, spesso, la mia sequenza di immagini differisce da quelle che sono state predisposte per il grande o piccolo schermo.
Se guardo un film e poi leggo il libro, invece, il mio approccio alla lettura è condizionato dalle scene viste in precedenza e diventa una scusa per approfondire meglio trama e personaggi.
Quando leggo un libro scelto anche a caso, non mi aspetto nulla di particolare se non ascoltare quanto l’autore ha da dire e osservare l’uso che fa delle parole. Da un buon libro:
- non mi aspetto di identificarmi con i personaggi ma cerco di capire quanto l’autore è entrato in empatia con essi per riuscire a presentarmeli con chiarezza per quello che sono e non per quello che interpretano o per come vorremmo che fossero,
- non pretendo che la storia sia verosimile secondo parametri soggettivi o ipotizzabili ma che sia convincente quel tanto che basta per prendere in considerazione un altro punto di vista,
- non mi interessa se la storia è vera o una favola inventata di sana pianta e non mi offendo se l’autore si dimostra un abile imbroglione perché la retorica in letteratura è leggermente diversa dalla retorica in comunicazione. Nel primo caso lo scrittore si assume il compito di orientare il lettore nell’esplorazione di ciò che sta narrando, fargli da guida e accompagnatore nel percorso di lettura e, alla fine, di salutarlo senza imporre la sua visione dell’umanità ma dandone una versione in più per comprenderla. Allo scrittore non interessa far cambiare idea al lettore e non si pone neanche il problema di cosa potrebbe pensare quando mette insieme le sue parole. Ne ha già abbastanza dei suoi personaggi e la sua è una retorica rivolta verso l’interno e verso di sé. Nel secondo caso, la retorica sembra rivolgersi più verso l’esterno e, positive o negative che siano le intenzioni di base, è utilizzata a persuadere, a far cambiare idea persone vere non a rendere credibili dei personaggi inventati.
Riprendendo la domanda di apertura di questo post e dopo aver comparato in che modo uno spettatore e un lettore si accostano a un libro viene spontaneo rispondere che l’inghippo sta nel modo in cui accogliamo le parole disposte su uno schermo o sulla pagina di un libro e da cosa ci aspettiamo da esse.
Online le parole veicolano dei comportamenti che stimolano varie interpretazioni sull’immagine della persona che le condivide e tutto diventa un teatro dell’assurdo dove si pone al centro la percezione e il grado controllo che si ha di quella propria e altrui. In un romanzo non è questo che avviene.
A me piace pensare che le parole scelte dallo scrittore sono lo strumento per dar vita alla sua vena creativa e instaurare un dialogo con un lettore disposto ad ascoltare attraverso il libro. Un lettore che è provvisto di quelle competenze che Nabokov in Lezioni di letteratura identifica così:
“[…] il buon lettore è quello che ha immaginazione, memoria, un dizionario, e un minimo di senso artistico, senso artistico che mi propongo di sviluppare in me stesso e negli altri ogni volta che se ne presenta l’occasione.”
Compito dello scrittore, forse, non è immaginare e soddisfare le aspettative del suo interlocutore ma guidarlo, con la retorica che lo contraddistingue, nella comprensione del pensiero e degli obiettivi della storia che si appresta a raccontare.
Compito del lettore con il giusto approccio di lettura è di soffermarsi e ragionare su quanto vede, ascolta o legge senza crearsi delle aspettative a priori, prevenute da schemi mentali o esperienze personali e soggettive ma usare le competenze acquisite un libro dopo l’altro per non confondere le immagini dell’autore con le proprie e lasciare che, distinte, scorrano in parallelo.
Sono due approcci di lettura che partono da dei pregiudizi ma se lo spettatore non ne è consapevole, il lettore competente lo è.
In tal senso, le poche righe di Nabokov sono illuminanti per continuare a interrogarsi sulla lettura e su come questa azione può favorire un dialogo sincero tra esseri umani.
L’autore di Lolita esprime il suo modo di essere lettore e scrittore, persona e non personaggio. Se la maggioranza dei lettori percepisce che sta dicendo qualcosa di fondamentale, sono pochi quelli che cercano di comprenderne tutte le implicazioni e ancora di meno quelli che quando devono passare dalla lettura alla scrittura ne applicano gli insegnamenti.
E tu, come approcci alla lettura?
Avviso: sul tema della lettura, considerazioni riguardo la memoria, la piacevolezza e l’utilità della nota bibliografica sono e rimarranno pubblici e liberamente leggibili sul blog. I prossimi contenuti di riflessione, se desideri approfondire, li trovi su LiberSe. 🙂
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