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Rileggendo Calvino e Le città invisibili: parole, pensieri e collegamenti

1 Marzo 2019
Rileggendo Calvino e Le città invisibili: parole, pensieri e collegamenti

Rileggendo Calvino è una delle iniziative di lettura promosse da Bruna Athena e portata avanti su Twitter.

Dopo Il sentiero dei nidi di ragno, Il barone rampante e Lezioni americane, è stato interessante:

  • leggere Le città invisibili,
  • rileggere uno degli autori che ammiro di più,
  • riprendere un percorso di lettura che sta tra la contemplazione e la meditazione e
  • trovare spunti di riflessione inaspettati.

Vieni a scoprire qualcosa di più sui collegamenti che ho fatto rileggendo Calvino?

Rileggere Calvino: da Il sentiero dei nidi di ragno a Le città invisibili a…

Menzionato, non a caso, in Elogio della parola l’idea di recensire una delle opere di Calvino mi sembrava inutile e superflua.

Per questo ci tengo a specificare che questa non è una recensione de Le città invisibili, fa troppo esame d’ammissione a un qualche percorso di studi. Troppo stress, per un lettore che vuole rilassarsi con un libro provvisto di parole da contemplare, in tutte le loro sfaccettature. Poco conta se si entra in questo stato d’animo con un titolo piuttosto che un altro. Semplicemente, accade.

Una volta conclusi, i libri di Calvino non svaniscono. Lasciano sempre qualcosa su cui meditare. Le parole si dispongono con una eleganza così ricercata e si presentano con tale cura del loro significato e significante che non si può fare a meno di rimanere meravigliati per la naturalezza con la quale immagini, pensieri, situazioni, esperienze e stati d’animo prendono forme nitide e chiare.

Leggere Calvino è un po’ come osservare un quadro e, come un quadro, è normale guardarlo in tutti i suoi particolari e da diverse prospettive. Basta solo osservare l’uso che fa del punto e virgola per rendersi conto di quanto sia facile addentrarsi in lunghi e articolati periodi e seguire, senza fretta, il corso di frasi brevi ed essenziali che fluiscono da una virgola all’altra. Sostare su ogni città invisibile rende reale la possibilità di poterle vedere e, se le esperienze di lettura pregresse lo consentono, capirle, dargli valore.

A volte però può capitare che i mondi delineati da Calvino stanchino al punto da lasciarli da parte per qualche anno, in attesa. Così è successo, purtroppo, con Nuvole di smog per poi riprendere con Il barone rampante.

Il libro, tra le letture scolastiche di mio fratello, era stato abbandonato in un angolo del tavolo dove avevo disposto testi di studio appunti, riassunti, schemi dell’università.

Da due anni non leggevo per il puro piacere di leggere, troppo impegnata a memorizzare concetti e nozioni da ripetere meccanicamente in sede d’esame. Il barone rampante mi parve più interessante del Migliorini o dei ragionamenti aristotelici, cominciare a leggerlo è stato un po’ come prendermi una pausa per riscoprire, con gioia, la scrittura di Calvino. Anche se si trattava di una storia diversa da Il sentiero dei nidi di ragno, stavo rileggendo. Fu più che sufficiente per trarre l’entusiasmo necessario a rinnovare l’impegno che le materie umanistiche e la letteratura richiedono.

La stessa cosa è avvenuta con Lezioni americane che, tutto sommato, non hanno nulla di avveniristico o profetico ma appaiono tali perché rappresentano la sintesi di una vita di studi, di sperimentazioni, di osservazione della realtà o delle realtà che l’autore, in veste di insegnante, condivise con altri. Le città invisibili diventano, in tal senso, un esempio pratico di cosa si può ottenere tramite una scrittura attentissima alle parole e che Pier Paolo Pasolini descrive così:

“La prima osservazione che mi viene da fare è che questo suo libro, Le città invisibili, è il libro di un ragazzo. Solo un ragazzo può avere da una parte un umore così radioso, così cristallino, così disposto a far cose belle, resistenti, rallegranti; e solo un ragazzo, d’altra parte, può avere tanta pazienza – da artigiano che vuol a tutti i costi finire e rifinire il suo lavoro”.

Le città invisibili, rileggendo Italo Calvino

Rileggendo Calvino sono tornata al tavolo carico dei testi universitari, ho ripensato ai libri di Pasolini, alla lettera che Oriana Fallaci gli dedicò e a quella che quest’ultima ricevette da Tiziano Terzani.

In un percorso di lettura a ritroso mi è parso di visualizzare le caratteristiche di autori italiani che, prestando la loro voce alla società e alla cultura alla quale si rivolgevano attraverso l’arte, la letteratura, il giornalismo, hanno fatto la storia del Novecento.

Quasi sembrava di vederli, chini sulle loro rispettive carte, intenti a coltivare, partendo dalle loro personali ricchezze e abilità, gli studi umanistici e a seguire con occhio critico l’andamento delle culture e delle società in cui operavano per poi trasmettere quanto appreso, dedicando anima, cuore e testa alla parola, ai posteri.

Nella Postfazione di Pasolini c’è un passaggio in cui viene fatto notare al lettore che Calvino ha mantenuto intatto il suo credito mentendo per poi riapparire, con Le città invisibili:

“non solo vero, ma più vero che mai, col suo ultimo libro, che non solo è il suo più bello, ma bello in assoluto”.

Mi chiedevo cosa intendesse e poi mi è capitato di vedere Money Monster – L’altra faccia del denaro, un film del 2016 diretto da Jodie Foster.

La trama racconta di Lee Gates (George Clooney) conduttore televisivo di un programma finanziario che viene preso in ostaggio da un investitore rovinato. C’è un momento in cui Lee, nel tentativo di salvarsi, chiede ai suoi telespettatori:

“Quanto vale una vita umana?”

La risposta, nel film, è alquanto deludente però è probabile che anche Calvino si sia posto questa domanda mentre scriveva Le città invisibili e che abbia tentato di dare, a suo modo, una risposta sincera.
È probabile che Pasolini abbia visto questa intenzione e ne abbia riconosciuta la bellezza. Così come è probabile che anche Oriana Fallaci e Tiziano Terzani abbiano tentato di rispondere a loro volta con sincerità, da prospettive diverse.

Seguendo le immagini di Money Monster, ho avuto l’impressione che la domanda di Lee Gates fosse stata letta dai suoi telespettatori così:

“Quanto interessa una vita umana?”

E mi è sorto il dubbio che, forse, Calvino ha taciuto e un po’ mentito perché anche lui, come i suoi colleghi, aveva compreso e previsto che le parole valore e interesse stavano assumendo altri significati da quelli reali.

Preciso e concreto come era nel suo stile, Le città invisibili è un libro che sembra scritto per rispondere sia alla prima domanda, sia alla seconda. Sta poi al lettore scegliere se dare attenzione al valore del libro per quello che comunica o rileggerlo, nel tentativo di intuire cosa sta dietro, in realtà, alla disperata vitalità di Pasolini, all’espressione dura e combattiva della Fallaci o al sorriso malinconico di Terzani.

E tu, che ne pensi?

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