Viaggio al termine della notte di Louis – Ferdinand Céline è uno di quei libri che, se sei un appassionato o uno studioso di letteratura, costituiscono una tappa obbligata nel tuo personale percorso di lettura.
Una lettura che è stata procrastinata più e più volte. Forse i suoi richiami erano ancora troppo deboli per essere ascoltati o, forse, era il lettore che dubitava delle sue forze per assumersi l’impegno di leggerlo.
Viaggio al termine della notte è stato definito IL romanzo dello scandalo di un secolo. Perché? Cos’ha di così scandaloso?
Viaggio al termine della notte di Louis – Ferdinand Céline: appunti sugli estremi di uno scandalo
Viaggio al termine della notte di Louis – Ferdinand Céline inizia al tavolo di un bar e da un incipit che ne identifica la forma.
“È cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente. È Arthur Granate che mi ha fatto parlare. Arthur, uno studente, un fagiolo anche lui, un compagno. Ci troviamo dunque a Place Clichy. Era dopo pranzo. Vuol parlarmi. Lo ascolto”.
L’incipit di un romanzo è come un biglietto da visita, deve catturare fin da subito l’attenzione del lettore e fargli una buona impressione. Insomma, deve presentarsi bene nella forma e nel linguaggio. In un certo senso, deve apparire corretta. Eppure, per qualche oscuro motivo, l’attacco di Viaggio al termine della notte non fornisce una buona impressione. C’è qualcosa di stonato nella seconda frase, di bloccante nel punto dopo una parola che, peraltro, è una negazione e di grammaticalmente spezzato nella costruzione delle prime righe.
Possibile che uno dei romanzi cardine della Letteratura del Novecento tradisca la forma con il rischio di apparire grossolana nel contenuto? Tuttavia, ciò che appare grossolano a prima vista lascia poi presagire la rappresentazione, molto raffinata, del semplice, dell’ignorante, dell’inconsapevole che va in guerra. In pratica, dell’uomo.
Le pagine scorrono, si è in partenza per Viaggio al termine della notte e il biglietto da visita va conservato per resistere alla tentazione di abbandonare il libro.
“La grande sconfitta, in tutto, è dimenticare. […]
Quando saremo sull’orlo del precipizio dovremo mica fare i furbi noialtri, ma non bisognerà nemmeno dimenticare, bisognerà raccontare tutto senza cambiare una parola, di quel che si è visto di più schifoso negli uomini e poi tirar le cuoia e poi sprofondare. Come lavoro, ce n’è per una vita intera”.
Da lettore passeggero, sfilano immagini della Prima Guerra Mondiale e l’incontro tra Bardamu, il protagonista e Leon Robinson attira l’attenzione perché si vede bene che entrambi concordano sul fatto che:
“La guerra, insomma, era tutto quello che non si capiva”.
Prendono strade diverse. Non si sono resi del tutto conto del trauma che hanno appena subito. Lo shock è troppo violento, forte e doloroso per accorgersene. Tra separazioni e riavvicinamenti, discussioni e riconciliazioni, i due personaggi continuano a rimanere insieme dentro al libro. Vivono sfalsati l’uno dall’altro, uniti dal comune desiderio di andare fino in fondo alla notte. Sono la materia prima di uno scandalo che, sebbene abbia già dato le prime avvisaglie, ancora tarda ad arrivare. Temporeggiano con la vita sostando nei pressi degli ospedali, metaforici fortini dove rinchiudersi per sfuggire all’incubo di una guerra logorante che non sembra finire mai e che ha modificato e stravolto paesaggi, ruoli, certezze.
“Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero.
Non si sa nulla della vera storia degli uomini”.
Compaiono anche le donne nel corso del viaggio. Reali o simboliche, Bardamu utilizza Lola, Madame Herote e Musyne come un mezzo per alimentare ancora qualche ragionevole speranza sul sogno che, prima o poi, il Viaggio prosegua per il verso giusto.
“Ha ragione Claude Lorrain, i primi piani di un quadro fanno sempre schifo, e l’arte vuole che quel che interessa in un quadro venga collocato sullo sfondo, nell’inafferrabile, là dove si rifugia la menzogna, questo sogno colto sul fatto, unico amore degli uomini.
La donna che sa tener conto della nostra indole miseranda diventa facilmente la nostra prediletta, indispensabile e suprema speranza. Noi ci attendiamo da lei che ci conservi la nostra menzognera ragion d’essere ma, nell’attesa, lei può, esercitando questa splendida funzione guadagnarsi largamente di che vivere”.
La speranza però risulta debole e malaticcia. Bardamu ha bisogno di risorse per alimentarla e riprendere una vita normale. Coscienzioso, valuta i pro e i contro della sua condizione e, accantonando le relazioni con il mondo femminile, decide di andarsene in Africa puntando tutto sul comportamento.
“Non avevo molte cose dalla mia, ma certo se mi comportavo bene, si poteva pur dirlo, avevo un contegno modesto, la deferenza facile e la paura di non essere mai puntuale, e anche la preoccupazione di non passare mai avanti a un’altra persona nella vita, la finezza insomma…
Quando sei potuto uscire vivo da un mattatoio internazionale in preda alla follia, è comunque una bella referenza dal punto di vista del tatto e della discrezione”.
E si lascia andare in un paese caldo registrando, con realismo, i principi e le ipocrisie del sistema coloniale. Questa parte del Viaggio al termine della notte richiama in modo impressionante una delle fiabe di Andersen, L’ombra.
Dal finestrino di lettura, compare un altro dettaglio scandaloso. La voce narrante sta aprendo la scatola dove Alcide, un personaggio piccolo e marginale, ripone gli strumenti per scrivere e un segreto imbarazzante. Un segreto che riprende il concetto di utilità sotto un’altra prospettiva un po’ più umana ma, non è questa la fermata. Il viaggio è ancora lungo.
“Però non sarebbe poi tanto male se ci fosse qualcosa per distinguere i buoni dai cattivi”.
Bardamu ha perso la speranza. È troppo tardi per mettere in pratica il discernimento e, dopo aver contribuito a depauperare risorse e dignità di un continente per salvare le apparenze della civilissima borghesia di appartenenza, trova il modo di andare in America.
Un’idea che nasce ai tempi di Lola. Ora che ha esperienza e competenze nel conteggio delle pulci non dovrebbe essere difficile affrancarsi dalla piaga della povertà, scegliere un destino diverso o almeno fingere di ricostruire la felicità andando oltreoceano.
C’è abbondanza di tutto, in America. Tutto si muove in perfetta sincronia, la vita si svolge con una perfezione da catena di montaggio. Efficiente, produttiva, preconfezionata. Bardamu, nonostante abbia raggiunto l’idea del sogno americano, non è contento.
“Ne avevo viste troppe io di cose non chiare per essere contento. Ne sapevo troppo e non ne sapevo abbastanza”.
L’effetto è alienante. L’unico modo per distrarsi e fingere di stare bene sono il cinema, il lavoro in fabbrica e il tempo trascorso in compagnia di Molly, una prostituta che di scandaloso ha l’empatia.
“Per la prima volta un essere umano si interessava a me, al dentro, al mio egoismo, si metteva al posto mio e non giudicava solo dal suo, come tutti gli altri”.
A differenza di Lola e Musyne, Molly rappresenta un momento di sosta, prima di tornare in Europa, proseguire gli studi e avviare la professione di medico. In questo punto, sarebbe stato bello fermarsi ma la voce narrante, come un controllore, induce il lettore ad esibire il biglietto da visita.
Si torna alla vecchia Europa. In Francia scorrono, quasi in sincronia, la portinaia e il piccolo Bebért, la famiglia Henrouille, lo scienziato Parapine, un prete e le storie dei personaggi che ruotano attorno al quartiere in cui Ferdinand/Bardamu si stabilisce.
Ogni figura mostra come si perde l’innocenza e in che modo essa viene sostituita dalla Scienza. Si odono le prime conversazioni con l’Etica (e i suoi silenzi) i sussurri del Dogma e le consolazioni della Filosofia. È arrivata la modernità, con tutte le sue inquietudini.
“Di terribile in noi e sulla terra e in cielo c’è forse quello che non è stato detto. Saremo tranquilli solo quando tutto sarà stato detto, una volta per tutte, allora finalmente faremo silenzio e non avremo più paura di stare zitti. Ci saremo”.
È tutto pronto, il Viaggio al termine della notte si avvia verso la Seconda Guerra Mondiale e alla perdita dell’anima. Lo scandalo si concentra nelle ultimissime pagine, per mezzo di una quarta donna, Madelon.
Il lettore si trova su un taxi, nel mezzo di due estremi che discutono fra loro. Continua a tenere tra le mani Viaggio al termine della notte, il lettore e, di colpo, l’abitacolo è vuoto.
Da un finestrino si vede quel che resta di un estremo mentre l’altro è sparito nel buio. Non si vede ma c’è, ci deve essere.
Capolinea sull’orlo del precipizio, umanità dispersa.
È il momento di indignarsi, posare il libro da qualche parte e allontanarsi come fanno tutti.
Tanto, Céline lo scrive, chi è fuggito in fondo alla notte non tornerà.
- A chi si rivolge Viaggio al termine della notte?
Al lettore nichilista o a chi è stato tacciato come tale e che, anche se non dimentica, in silenzio e con inquietudine, osserva due mondi che si guardano ma, non si vedono.
Autore: Louis – Ferdinand Céline
Titolo: Viaggio al termine della notte
Titolo originale: Voyage au bout de la nuit
Traduzione: Ernesto Ferrero
Casa editrice: Corbaccio
Pubblicazione: febbraio 2018, XI edizione
Pagine: 575
Prezzo di copertina: € 19
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