Il Curriculum Del Lettore di Maurizio Vicedomini è la storia di un lettore, di uno scrittore e di un editor che definisce quello che mi sembra un intellettuale a tutto tondo. Di quegli intellettuali niente affatto snob che non smettono mai di lavorare su sé stessi per coltivare una certa idea di cultura fatta di formazione e comprensione, di analisi e rielaborazione, di distinzione tra ciò che si è e tra cosa si può fare per essere senza prevaricare ma seguendo, con curiosità e interesse, conversazioni che si svolgono su più piani e che possono portare a vicoli ciechi o a nuovi percorsi di lettura e approfondimento.
È un bel Curriculum Del Lettore, questo di Maurizio Vicedomini.
Così bello e di piacevole lettura che, oggi, lo condivido con te.
Buona lettura, 🙂
Curriculum Del Lettore di Maurizio Vicedomini: come si forma un lettore, uno scrittore e un editor?
Stilare un curriculum significa – in buona sostanza – recuperare le esperienze fondanti che ci hanno formato come lavoratore e come persona. È un prospetto di chi siamo e di chi potremmo essere sul posto di lavoro. Non tutte le esperienze sono adatte a tutti i curriculum. Dobbiamo selezionare quelle più attinenti, mostrare il lato di noi che potrebbe essere appetibile per il responsabile delle risorse umane. Dobbiamo, insomma, indossare il miglior vestito per quell’occasione.
Costruire un curriculum da lettore ha le stesse difficoltà – sebbene uno stress minore, non dovendo vincere alcuna selezione – di quello standard.
Ho cominciato il mio percorso con il fantasy. Intorno agli otto-nove anni sono entrato in una libreria e ho impiegato almeno una mezzora a decidere quale saga – fra quelle presenti a scaffale già complete – volessi acquistare. E ho cominciato il lungo percorso con Drizzt do’Urden, nella penna di R.A. Salvatore.
Ma questa è un’esperienza che vale la pena racchiudere nel curriculum del Maurizio di oggi? Forse no. Perché il Maurizio alla soglia dei ventuno anni scoprì che aveva letto così tanta narrativa fantasy (e fantascienza, lateralmente) che non ne poteva più. Quel Maurizio si trovò davanti a una saturazione così imponente che da allora non ha più letto un solo libro fantasy, se non per lavoro di editing.
Forse più interessante, per questo curriculum, è guardare cos’è successo dopo.
L’università mi ha avvicinato a un mondo che avevo toccato solo lateralmente: i classici e la letteratura non di genere. Fino a quel momento mi ero limitato ai classici del genere, ai romanzi d’avventura. Poi, i due percorsi di laurea mi hanno portato a una più approfondita conoscenza della letteratura. Ed è lì che c’è stato il vero punto di svolta.
Da quel momento ho cominciato una corsa contro il tempo per recuperare il gap con i miei compagni. Accompagnavo alla critica letteraria, alla comparatistica, alla teoria della letteratura, la lettura dei più grandi classici mondiali, per passare poi a quelli un po’ meno noti, e ancora a quelli meno noti. Al terzo anno di università c’è stata la folgorazione. Ho incontrato per la prima volta sulla mia strada di lettore David Foster Wallace.
E qui comincia il mio curriculum.
David Foster Wallace. Posso identificare l’inizio di tutto dalla lettura di Piccoli animali senza espressione. Un racconto contenuto in La ragazza dai capelli strani che lessi per l’esame di comparatistica. Fu una folgorazione perché fino a quel momento non avevo ancora capito che si potesse narrare in quel modo, che potesse esserci una tale visione altra nella prospettiva narrativa. Foster Wallace è diventato parte della mia tesi, ma soprattutto una continua scoperta come lettore. Da questo primo incontro mi sono ammalato di un amore folle per i racconti, così ho letto prima di ogni altra cosa la raccolta di Piccoli animali, Oblio e Brevi interviste con uomini schifosi. Poi ho cominciato a recuperare tutto il resto. Al momento credo mi manchino pochi libri. Infinite Jest e il Re pallido, che tengo per il gran finale, e qualche raccolta di saggi.
Italo Calvino. L’amore per i racconti mi ha portato ad approfondire la conoscenza del più grande autore di racconti italiano del secondo Novecento (se non, ma sono di parte, di sempre). Calvino è un altro autore che ha sempre cercato una nuova via. Che non si è adattato alle categorie auto-generate della merceologia editoriale. Così nascono opere sperimentali come Se una notte d’inverno un viaggiatore, Le città invisibili e Il castello dei destini incrociati. E nascono sguardi e prospettive come quelle delle Cosmicomiche. Se fra tutti i libri di Calvino che ho letto – e mi secca contarli – dovessi sceglierne uno solo, sceglierei quella che viene considerata un’opera minore. Palomar. È lo sguardo di un uomo che osserva la realtà e tenta di interpretarla e decodificarla secondo quelle che sono le sue categorie, i suoi strumenti. È l’inno alla soggettività e all’eterno tentativo dell’uomo di scoprire e ricondurre il mondo all’interno della propria consapevolezza.
- Intermezzo. L’ho detto e lo ribadisco: sono un lettore di racconti. Gran parte della mia biblioteca è composta da raccolte di racconti. Però – forse un lettore smaliziato l’avrà letto fra le righe dei due autori precedenti – sono anche un lettore di prospettive. Cerco il ribaltamento. Cerco la soggettività di visione che trascende le categorie della realtà. E allora è lecito citare anche due romanzi.
Cent’anni di solitudine. Nessun errore, signor responsabile delle risorse umane. Sì, mi rendo conto che prima si citavano autori e ora un solo romanzo. Ma è il bello delle esperienze lavorative. C’è il tempo indeterminato e c’è lo stage. Con Márquez ho finora avuto solo una breve collaborazione (come con il romanzo seguente), e posso dire di aver letto solo Cent’anni di solitudine. Un romanzo difficile e complesso. Un romanzo dotato del più bell’incipit che io abbia mai avuto modo di leggere. Un romanzo capace di rendere immaginifica ogni vicenda che vi è contenuta, e che mai resta immobile: sempre si muove, cambia, si trasforma.
Manhattan transfer. Anche con John Dos Passos – autore che mai avevo sentito nominare, prima di questo libro – ho potuto collaborare solo brevemente. Il libro in questione è un romanzo corale con decine di personaggi, e le loro vicende portano avanti la storia di una città, e lo fanno con un tale caos che è davvero difficile star dietro alla narrazione. Manhattan transfer si chiude inevitabilmente con la sensazione di aver perso qualcosa per strada. E allora scatta la rilettura, perché c’è sempre qualcosa nascosto fra quelle pagine, e in qualche modo siamo di continuo spronati a trovarlo, a far quadrare una situazione complessa e inconcludente, proprio come la vita che Dos Passos è andato a rappresentare.
- Pre-finale. Nel curriculum ho glissato su altri aspetti. Aspetti anche importanti che è bene riassumere in qualche riga. Prima di tutto il mio interesse di studioso. Ho affrontato (anche fuori dagli anni universitari) decine di saggi di teoria letteraria e critica. I formalisti russi resta il mio primo grande amore. Ho poi tralasciato tutte le letture relative al mestiere di scrivere, ovvero tutta la formazione come autore e come editor, mestiere che ormai porto avanti da otto anni. Ma questa è un’altra storia, e la si dovrà narrare un’altra volta.
Cos’abbiamo in tasca?. Un nuovo cambiamento, signor responsabile delle risorse umane. Ma è l’ultimo, gliel’assicuro. Perché da autori a libri, ora siamo passati a un singolo racconto. Un racconto di Etgar Keret, contenuto nella raccolta All’improvviso bussano alla porta. Un singolo racconto, fra le mie ultime esperienze lavorative che riporto in questo curriculum, che condensa in appena due pagine l’idea di possibilità. L’avere in tasca tutto il necessario perché, chissà, proprio oggi potrebbe accadere. Potrebbe accadere quello che in fondo stiamo aspettando da tempo, e allora – diamine – tanto vale farsi trovare pronti.
Maurizio Vicedomini, lettore, scrittore, editor e direttore di Grado Zero
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