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Pordenone Legge 2018: l’impronta della cultura, della comunicazione e della conversazione

26 Settembre 2018
Pordenone Legge 2018: l'impronta della cultura, della comunicazione e della conversazione

Nella prima parte dedicata a Pordenone Legge 2018 mi sono concentrata sugli incontri riguardanti l’etica, la storia e la letteratura. Temi tipici della cultura umanistica.

Oggi riprendo gli appunti e ripercorro, invece, gli incontri che si sono soffermati sugli strumenti della comunicazione e della conversazione, necessari per ragionare sul concetto di cultura (o culture) e che sono difficili da comprendere tanto quanto sono facili da utilizzare.

Ne parliamo?

Pordenone Legge 2018: comunicazione, conversazione ed esempi che focalizzano, disperdono e catalizzano l’attenzione

“L’umanista è colui che contesta l’autorità ma rispetta la tradizione”

È la citazione che apre il dibattito tra l’insegnante e linguista Lorenzo Tomasin e l’ingegnere informatico Juan Carlos De Martin intitolato:

  • L’impronta digitale

dove ci si interroga sul ruolo della cultura umanistica (tradizione) all’interno della cultura tecnologica (autorità). Un dibattito che si apre con una triplice critica di Tomasin alla cultura digitale fondata:

  • sulla quantificazione del tutto, perché senza dati sei solo un’opinione come tante,
  • sulla passione per la visualizzazione piuttosto che per la lettura,
  • sull’idea che il presente sia il centro della storia.

Le risposte di De Martin sono state un esempio concreto su come rimanere focalizzati sul tema favorendo, più che il dibattito, il confronto e la conversazione:

“Sono tornate in voga idee ottocentesche sul concetto di utile che vedono le discipline umanistiche inutili quando, invece, è importante in questo momento la solidarietà tra le discipline, per amore della conoscenza”.

Pur facendo parte, in quanto ingegnere informatico, della categoria vincente la dialettica di De Martin ha messo in luce che al depauperamento delle discipline umanistiche segue, di conseguenza, anche quello facente parte la sfera tecnologica. Di fatto, non ci sono né vincitori né vinti perché, attualmente, non si tiene conto dell’aspetto educativo da adottare per formare un cittadino consapevole. A supporto della conversazione instauratasi, Tomasin dice:

“Prima di insegnare a fare, l’università deve formare cittadini consapevoli e interrogarsi su come poter suscitare nei giovani un senso di maggior consapevolezza”.

Sai una cosa? Mentre i rappresentanti della cultura umanistica e della cultura digitale conversavano fra loro mi sono ricordata di un verso letto su un libro di poesie edito Talos Edizioni. Un verso che percepivo come incompleto e che, in quanto tale, tuttora mi induce a cercare il tassello mancante, il cuore del discorso.

L’impronta digitale potrebbe averlo identificato. La poesia si intitola Oggi è già domani e si chiude con la frase: – la cultura non è domandarsi perché si é ma domandarsi cosa si può fare per – e dopo aver ascoltato questo incontro di Pordenone Legge 2018 ho avuto l’impulso ad aggiungere un’altra frase. Il risultato è pressapoco questo:

“La cultura […] è domandarsi cosa si può fare per far comunicare il mondo umanistico (tradizione) con quello digitale (autorità)”.

Avrò fatto bene a seguire l’impulso ispiratomi durante L’impronta digitale?

Il dubbio è emerso mentre facevo la fila per:

  • La comunicazione è un posto dove ci piove dentro

svoltosi, guarda caso, nel primo giorno di pioggia a Pordenone Legge 2018 e nello stesso luogo in cui si è svolta la prima conversazione.

Al di là di questi dettagli geografico – atmosferici, La comunicazione è un posto dove ci piove dentro di Roberto Olivi si offre di spiegare perché i libri salveranno il marketing:

“Il titolo nasce per una passione per Calvino e, in particolare per la lettura di Lezioni americane. La comunicazione è un po’ come una spugna ed è in grado di assorbire cultura, influenze ed esperienze e la letteratura è sempre stata una grande fonte d’ispirazione per questo lavoro che sta diventando sempre più multicanale e frammentario”.

Con questa premessa, la presentazione di La comunicazione è un posto dove ci piove dentro mi ha letteralmente conquistata e il libro ha scalato in modo fulmineo la lista dei libri da leggere abbinandolo, inoltre, ad altre letture che percorrono i temi, sfiorati anche durante l’incontro, dello Storytelling aziendale e del Brand Journalism.

“C’è bisogno di gente che sappia raccontarle, le storie”

Tuttavia, come si fa a far combaciare il tutto? Roberto Olivi lo ha sintetizzato nei Six tweets for the next days alla fine del libro il cui intento finale era di condividere la sua esperienza umanistica e professionale.

Il dubbio sortomi dopo L’impronta digitale si è parzialmente sciolto grazie a questo incontro che si è concluso con una citazione tratta da Lezioni americane e che inizia con: – Sogno immense cosmogonie

Presa dall’entusiasmo e convinta di trovare altro materiale sul quale lavorare per costruire un percorso possibile di approfondimenti e riflessioni mi sono buttata a capofitto nell’incontro:

  • La comunicazione letteraria vuole un’alleanza tra libro e web?

Questo è l’incontro in cui la chiarezza di quanto avevo ascoltato ha ceduto alla confusione e allo sconforto. Perché?

Perché sono state introdotte delle considerazioni trasformatesi in cavilli che hanno reso dispersivo quello che doveva essere un discorso fluido e mirato. A ciò si è aggiunta la sensazione che ci fosse un certo senso di vergogna nell’ammettere di utilizzare le moderne tecnologie, come se esse esercitassero un’attrazione pericolosa da respingere a priori pur di preservare l’approccio alla lettura e alla scrittura tradizionali.

Mentre ascoltavo i relatori parlare ho ripensato a Il bene comune di Ann Patchett e a come viene narrata la separazione che si crea tra gli adulti e i bambini descritti nel romanzo. Sono due generazioni che, oggettivamente, non comunicano fra loro quando, in realtà, è questo il punto. Trovare l’elemento di congiunzione, non fissarsi sulle rispettive posizioni e condividerle per il bene comune, appunto.

Quello che mi ha fatto cadere nello sconforto e nell’avvilizione è che alla domanda di base non sono riuscita a individuare quei suggerimenti che mi sarebbero stati utili per sperimentare le modalità attraverso le quali stabilire un’alleanza tra libro e web.

È stato un po’ un incontro – scontro. Per fortuna non ero da sola nell’affrontare qualcosa che invece di chiarirmi le idee mi ha fatto prendere coscienza della confusione emanate dalle stesse.

La comunicazione letteraria tra libro e web ha avuto il pregio di aver comunque alimentato il dialogo e la riflessione con la lettrice che mi ha fatto compagnia in fase di ascolto.

  • Le nebbie di Avalon secondo Michela Murgia e Chiara Valerio

L’incontro con Michela Murgia e Chiara Valerio su Le nebbie di Avalon non era inserito nel mio programma personale ma in quello della lettrice che mi ha fatto compagnia nella giornata conclusiva di Pordenone Legge 2018.

Per una serie di sfortunati eventi ho avuto la fortuna di ascoltare quello che ancora adesso mi pare come un esempio di comunicazione capace di catalizzare l’attenzione e tenerti lì, in piedi, concentrata nello sforzo di non perderti una sola parola.

Michela Murgia, ascoltata a ParoleOstili e Chiara Valerio, che ho scoperto essere stata la responsabile della prima edizione di Tempo di Libri, hanno discusso sulla storia di Re Artù vista dal punto di vista delle donne, attraversato, approfondito e chiarito il tema del femminismo e del potere, scardinato i pregiudizi e i criteri che portano a dividere la letteratura per categorie di serie A o di serie B e riflettuto sul valore della lettura in quanto atto di relazione che può essere trasmessa.

Durante l’incontro c’è stato un ribaltamento.

Se la comunicazione letteraria vuole un’alleanza tra libro e web ha innalzato un certo grado di confusione, Le nebbie di Avalon descritte da Michela Murgia e Chiara Valerio hanno generato l’esatto contrario grazie ad una conversazione strutturata in modo colto, intelligente.

Per come si rivolgevano a vicenda, sembrava di vedere due donne chiacchierare di frivolezze quando, invece, stavano facendo emergere con non poca abilità un messaggio che fa paura per il peso, anche un po’ scomodo, di conoscenze e consapevolezze che l’universo femminile si porta dietro.

Sono andata via dall’incontro su Le nebbie di Avalon con l’obiettivo di recuperare la lettura dell’opera della Bradley e con una strana sensazione di sollievo in rapporto a un ricordo di ragazzina quando, guardando Excalibur, non capivo perché mi sentissi in colpa per non aver provato ammirazione per Ginevra tanto quanto Morgana mi aveva incantata.

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