Dov’eravamo rimasti con il resoconto di Pordenone Legge 2017? Ah, sì ai diritti e ai doveri dell’oblio e memoria, all’elogio della letteratura e ai percorsi intrapresi per vedere il paesaggio e la natura con occhi diversi e all’analisi di un presente che fa emergere la responsabilità in quanto parola chiave per la realizzazione concreta delle utopie che fanno capolino in una visione diversa del futuro.
Gli argomenti per nutrire la mente (e anche per riempire lo stomaco a fine lettura) non mancano.
Vieni a scoprire di cosa si è parlato in questa seconda parte di Pordenone Legge 2017?
Pordenone Legge 2017: tra diritti e doveri, elogi e paesaggi
Umberto Ambrosoli e Massimo Sideri sono stati ospiti a Pordenone Legge 2017 per presentare il loro ultimo lavoro di saggistica, edito Bompiani, Diritto all’oblio, dovere della memoria. Ripensando al libro di Giorgio Zanchini, ho deciso di ascoltare questo incontro perché l’ho percepito come una naturale prosecuzione della riflessione che si sta facendo negli ultimi anni riguardo alle moderne tecnologie e ai nuovi canali di ricerca e comunicazione offerti dal mondo virtuale.
Il libro, piccolo di formato ma incisivo nei contenuti, inizia informando il lettore della richiesta di un terrorista di essere cancellato dai motori di ricerca. Una richiesta che si inserisce nel diritto all’oblio dell’individuo e che si incontra e scontra con il dovere collettivo della memoria. Un caso che ha portato Ambrosoli e Sideri a soffermarsi sul contesto virtuale e la sua regolamentazione.
“Le fonti si stanno riducendo alla fonte offerta dai motori di ricerca. Le informazioni che circolano in rete sono prive di una regolamentazione precisa che causa un’alterazione della fonte stessa da parte di privati. Questo cambiamento porta a una complicazione del rapporto tra memoria e tecnologia. In questo libro non parliamo di fake news ma di quelle verità che vengono però distorte dai meccanismi della rete. Il nostro ordinamento non prevede il valore della verità e questo ci riporta alla necessità di formare il senso di responsabilità individuale anche se ciò può non portare alla consapevolezza collettiva”.
L’approccio degli autori del Diritto all’oblio, dovere della memoria è un approccio molto vicino a quello dello storico e delle sue modalità di indagine, diverso da quello giornalistico. I motori di ricerca non sono LA fonte ma la prima via d’accesso alla ricerca storica, uno strumento che richiede un’educazione e un insegnamento del suo utilizzo che non deve solo partire dalle scuole ma anche dai Nuovi Media.
“I Nuovi Media stanno cominciando a capire che anche da parte loro è necessario acquisire una nuova responsabilità editoriale e sociale perché il mito della neutralità della tecnologia è stato abbondantemente superato dalla realtà dei fatti”.
Due punti ho appuntato sul mio quadernino perché mi hanno colpito più di ogni altra cosa e che percepisco come fondamentali per individuare un equilibrio tra diritto individuale e dovere collettivo.
- L’importanza dell’imparare a distinguere le fonti messe a disposizione dalla rete e
- chiedersi da dove parte la richiesta di informazione perché se è vero che il diritto all’oblio può oscurare dettagli di un passato individuale è anche vero che tale diritto è circoscritto a un luogo e che quegli stessi elementi eliminati sono ben visibili altrove preservando la memoria collettiva.
La connessione e l’interdipendenza tra diritti e doveri rimane forte anche nell’incontro con Riccardo Mazzeo per presentare il libro, scritto con Zigmunt Bauman, Elogio della letteratura, edito Einaudi. Un testo che nasce dal desiderio condiviso di trovare e provare tutti quegli elementi che determinano la stretta relazione tra due campi del sapere fondamentali per lo sviluppo e il progresso dell’umanità, la letteratura e la sociologia.
“La letteratura è un mondo in divenire così come gli esseri umani sono mutevoli e stratificati. Il suo pregio è di spiegare e indagare la vita tramite l’esperienza individuale ma, in quanto soggettiva, non è sufficiente e per questo necessita di metodo. Metodo che viene offerto dalla sociologia che però, a sua volta, soffre un po’ della mancanza di parole per descrivere qualcosa che ha a che fare con l’esperienza”.
Riccardo Mazzeo ha raccontato i tratti salienti del libro condividendo con gli ascoltatori il suo rapporto con Bauman tramite vari aneddoti che mostrano su quali basi si era avviata e saldata la loro relazione professionale e d’amicizia.
“Bauman era di un’umanità straordinaria, era felice di far contente le persone ma era anche molto rigoroso”.
Una relazione che fa quasi da modello di riferimento dell’interdipendenza tra letteratura e sociologia il cui obiettivo comune è l’indagine a più livelli della natura umana e del suo modo di relazionarsi con i propri simili. Incontro stimolante che mi ha convinta ad acquistare un libro “fuori lista” ma più volte menzionato da amici, conoscenti e lettori, Le correzioni di Jonathan Franzen. Secondo Mazzeo, tutta l’opera narrativa di Franzen è:
“Il punto d’intersezione fra letteratura e sociologia, tra individuo e società”.
Diritto e dovere, letteratura e sociologia, cosa manca per concludere una giornata a Pordenone Legge così stimolante e sostanziosa? Mindscapes. Psiche nel paesaggio. Un altro saggio, scritto da Vittorio Lingiardi per Raffaello Cortina Editore, il cui intento è di restituire la centralità psichica del paesaggio perché racconta e fa parte della nostra storia individuale. Ad affascinare in tutto il discorso imbastito da Lingiardi è quella certezza in cui:
“Pur nelle sue infinite differenze c’è una specie di paesaggio comune che parla della nostra origine”
Il paesaggio è inteso non come qualcosa di separato dall’uomo ma parte di esso. Il volto materno, come ha spiegato Lingiardi, è il primo paesaggio con il quale l’individuo entra in contatto e il bambino studia le espressioni facciali della madre così come il meteorologo si sofferma ad osservare le nuvole. Ancora e sempre seguendo lo scambio di domande e risposte, il processo di guarigione del paesaggio è di riconoscerlo come luogo psichico e, come tale, va tutelato e rispettato.
“La mia idea di paesaggio contiene l’umano. Non lo vedo come due dimensioni a sé stanti che poi entrano in conflitto. Mindscapes non vuole contrapporre uomo e natura, ma dimostrare la loro interdipendenza e la scelta di concludere Mindcapes con una poesia di Giorgio Caproni è un modo ironico e profondo per dire che il luogo, il paesaggio fa parte di noi e della nostra esistenza”.
Si possono trovare immagini e parole più belle per definire la parola incontro? Perché è in questa considerazione finale dell’autore che mi permette di collocare le sensazioni provate nell’incontrare di persona Pia Ferrara, è stato bello vedere i post it colorati disposti tra le pagine della sua copia di Mindscapes ed è stato ancora più emozionante quando, prima ancora di confessarglielo, lei mi ha letto in faccia la pratica (saltuaria, giuro) di fare le orecchie ai libri, in prossimità dei passaggi (o paesaggi) sui quali sento il bisogno di tornare.
Aggiungo anche che sono rimasta spiazzata nel vedere due foto in bianco e nero accostate fra loro e che ritraevano due Brad Pitt. Cosa c’entra Brad Pitt con la psiche del paesaggio, mi sono chiesta. Ho dovuto leggere la didascalia per rendermi conto che erano due immagini diverse e che il secondo Brad Pitt era Hermann Rorschach.
Pordenone Legge 2017: Sepulveda e Bregman, il sogno e l’utopia
L’ultimo giorno di Pordenone Legge 2017 è stato baciato dal sole dopo una settimana alternatasi da nuvole, pioggia e tempo incerto. Un buon segno che mi piace collegare all’incontro stampa con Luis Sepùlveda in occasione della presentazione del libro Storie ribelli, edito Guanda.
L’autore, dopo 31 anni come apolide ha riavuto la cittadinanza cilena e la possibilità di tornare a casa. Per spiegare cosa provasse nell’essere di nuovo cileno ha utilizzato un’immagine molto semplice, quella delle scarpe preferite rubate e poi, dopo tanto tempo, restituite.
Una metafora calzante che è rimasta nell’aria e nel pensiero quando ha raccontato qualcosa di Storie ribelli, spiegato cosa intende dire quando la lingua è la sua patria e specificato il ruolo dello scrittore.
“Si tratta di una raccolta di scritti al quale si è cercato di dare un ordine e che fa parte della mia scrittura. Se si fa bene, anche il giornalismo può essere un genere letterario importantissimo”.
“Mi sono sempre sentito fortunato di far parte di un collettivo parlante di persone. La ricchezza della diversità sta nella possibilità di nominare la stessa cosa con parole diverse e capirla, riconoscerla lo stesso. La lingua è fatta di culture diverse e per questo l’ho sempre sentita come l’unica patria possibile”.
“Ruolo dello scrittore è scrivere per raccontare storie e partecipazione civile”.
Scarpe simboliche che hanno toccato tematiche delicate che vanno dalla politica europea a quella americana fino a toccare il fenomeno migratorio e il terrorismo.
“Oggi il potere è nelle mani di grandi corporazioni, gruppi economici che indeboliscono il ruolo dello Stato il cui compito principale è tutelare i diritti dei cittadini ad avere una vita migliore”.
“C’è una mancanza di intelligenza e sensibilità. L’immigrazione non è un problema ma un dramma e ci si dovrebbe chiedere perché si è arrivati a questo. Collegare il terrorismo con il fenomeno migratorio è pericolosissimo e non è un motivo per chiudere le porte dell’accoglienza”.
Scarpe comode come le favole che tanto piacciono al Sepulveda scrittore perché è un genere letterario dove c’è sempre una riflessione sulle attitudini umane rappresentate da personaggi animali. Un modo, quello della favola, di allontanarsi dal comportamento umano per capirlo meglio.
“La scrittura è un gioco. Mi piace il gioco della scrittura.”
E infine, le scarpe sono concrete come i sogni che si incamminano in cerca di fortuna pur sapendo che, forse, quella fortuna non arriverà mai.
“No [i sogni] non hanno fortuna ma questo non vuol dire che non si possa continuare a sognare”.
Il sogno fa parte del mondo delle idee ed è tra le idee che nascono le utopie di Rutger Bregman, l’ultimo autore ascoltato a Pordenone Legge 2017 e che ha presentato il libro, edito Feltrinelli, Utopie per realisti. Autore giovane ma non per questo meno valido per gli obiettivi che si pone il suo lavoro:
- Garantire ai cittadini il reddito di base.
“Il reddito di base non è un favore ma un diritto e una risposta a molte dinamiche presenti e e alle problematiche che sorgono a causa della povertà e degli automatismi sul lavoro”.
- Portare la settimana lavorativa a 15 ore.
“A partire dagli anni ‘60/’70 abbiamo cominciato a lavorare di più per l’avvento del consumismo e di lavori non necessari. Siamo arrivati in un momento della storia in cui dobbiamo ripensare il lavoro retribuito e spostarsi su occupazioni più utili”.
- Aprire i confini.
“Sicuramente è l’idea più radicale ma credo anche che l’immigrazione sia l’arma più potente per combattere la povertà”.
Partendo dal presupposto che ogni grande cambiamento è partito da un’utopia, Bregman ha spiegato che la scelta di un titolo che contrappone l’ideale al realismo nasce dalla necessità di formulare una visione, un piano che porti a una società diversa e, presumibilmente, migliore. Utopie per realisti è una raccolta di fatti storici ed esperimenti che dimostrano che l’utopia è fattibile. Non è facile, ma possibile perché:
“Ogni utopia inizia da una comprensione di ciò che non funziona nel momento presente e nel libro insisto su un concetto che si basa sul potere delle idee. Le idee, effettivamente, cambiano il mondo”.
A chiusura dell’incontro, l’ultimo che ho scelto di ascoltare all’interno di Pordenone Legge, l’autore ha detto una frase che aleggia ancora nella mia testa. Un piccolo mantra o frase motivazionale da ripetersi quando ci si troverà a ripensare agli ostacoli che impediscono l’attuazione concreta dei tre punti fondamentali di Utopie per realisti.
“Dobbiamo rivedere le nostre idee”.
Ed è in questa frase che il percorso a ritroso, l’analisi del presente e le visioni future trovano il loro punto d’incontro determinando una sospensione tra la stasi e il movimento e il nucleo originario di cosa significhi veramente cambiamento.
Pordenone Legge 2017: non solo autori e nutrimento per la mente ma anche osterie e sapori
Ho quasi finito questo secondo, lunghissimo resoconto di Pordenone Legge 2017 ma ci tengo a condividere ancora una piccola cosa con te. Le mie pause pranzo a La vecia osteria del moro, perché è sulle loro pareti esterne, infatti, che ho trovato esposte le locandine che raccontano i Pordenone Legge passati.
Un ambiente in cui non ho potuto fare a meno di rilevare tanti dettagli tra loro contrastanti ma che coesistevano in modo armonico, rendendolo accogliente al di là dell’immagine. Per dettagli contrastanti penso all’arredo curato fin nei più minimi particolari più simili a un ristorantino ricercato che a un’osteria, all’abbigliamento impeccabile del personale e agli indizi di tatuaggi e fisionomie che provengono da altri luoghi. Penso alla cortesia e professionalità di ognuno. Dettagli che mi hanno portata a tornare una seconda volta e nello spazio di un giorno, non solo per mangiare piatti tipici della cucina friulana (il frico!) ma anche per lasciarsi consigliare su una qualità di vino, per il puro gusto di assaggiarlo e di esplorare qualcosa di nuovo attraverso il gusto.
Non ho resistito alla tentazione di scattare qualche foto. Un po’ farti vedere alcuni dei dettagli che hanno determinato queste mie impressioni e anche perché mi sembrava una cosa carina, per farti sentire accanto a me in questo Pordenone Legge vissuto, per la prima volta, in solitaria.
Infine, ti lascio con il collage con le immagini delle locandine dei Pordenone Legge passati. Un collage che è stata fonte d’ispirazione per partecipare anche all’iniziativa di Veronica Ramos al quale puoi partecipare anche tu, seguendo le istruzioni fornite qui.
Ci leggiamo al prossimo post?
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