La XVIII° edizione di Pordenone Legge si è appena conclusa lasciando memoria di un percorso a ritroso che ha portato autori ed editori ad analizzare il presente proponendo visioni future.
Causa raffreddore e assenza del grillo librario che mi ha guidato e orientato all’interno della manifestazione dedicata al mondo dei libri e della lettura, ci sono andata cauta con gli incontri (ma non con la scorta di libri). Ho quindi selezionato gli autori che mi incuriosivano di più cercando un equilibrio tra quelli di cui avevo letto (e quindi memoria) e quelli da leggere, per farne esperienza.
Ti avviso subito che, malgrado la selezione fatta a monte, questo post non sarà brevissimo. Il menù letterario che ho stilato per raccontare di cosa si è parlato a Pordenone Legge 2017 prevede:
- Carlos Ruiz Zafòn e la Tetralogia di Barcellona,
- Elizabeth Strout e Tutto è possibile,
- Wole Soyinka e la storia in un romanzo,
- David Lagercrantz e L’uomo che inseguiva la sua ombra,
- Andrea Segrè e Il gusto delle cose giuste. Lettera alla generazione Z,
- Umberto Ambrosoli e Massimo Sideri e Il diritto all’oblio e il dovere della memoria,
- Riccardo Mazzeo e Elogio della letteratura (e conversazioni con Zygmunt Bauman)
- Vittorio Lingiardi e Mindscape.Psiche del paesaggio,
- Luis Sepulveda e Storie ribelli,
- Rutger Bregman e Utopie per realisti.
Buon appetito cioè, scusa, volevo dire, lettura! 😛
Pordenone Legge 2017: gli incontri stampa con Zafòn, Strout e Soyinka
Si crea una strana atmosfera quando entra in sala l’ospite designato ad aprire gli incontri di Pordenone Legge. Non si vede l’ora di vederlo da vicino e di ascoltare il suono della sua voce per vedere se combacia con quella immaginata in corso di lettura. Almeno, questa è la percezione che ho avuto quando è arrivato Carlos Ruiz Zafòn, autore della Tetralogia di Barcellona che inizia con L’ombra del vento prosegue con Il gioco dell’angelo e Il prigioniero del cielo e finisce con Il labirinto degli spiriti, tutti editi con Mondadori. Un’opera immensa che mi è tornata alla memoria mentre leggevo Proust & il calamaro di Maryanne Wolf e che, dopo quanto è stato detto dallo scrittore spagnolo, desidero recuperare quanto prima.
Seguendo il filo delle domande fatte dai giornalisti e delle risposte, sono rimasta letteralmente conquistata dalle passioni di Zafòn per i libri, i vari registri linguistici che si inseriscono nella sua architettura narrativa e per la musica. Ho preso appunti con immenso piacere quando ha parlato di quanto siano importanti i libri e la letteratura in quanto metafora e simbolo di memoria, identità e ricordo culturale. Oltre che strumento capace di stimolare il lettore non solo sul piano intellettuale ma anche su quello sensoriale con l’obiettivo finale di creare un labirinto che comprendesse tutti i generi letterari. Un lavoro immane, messo in moto da una passione profonda per la scrittura lasciando che essa venisse influenzata anche dalla passione per la musica.
“La musica influisce anche sul mio modo di vedere i linguaggi e ha molti elementi con la letteratura che mi appare come un’orchestra di parole, composta da tanti elementi di cui tener conto per renderla armonica e offrire al lettore un’esperienza quanto più possibile simile a quella che si vive quando si ascolta un brano musicale”.
Mentre per quanto riguarda il suo rapporto con le traduzioni e i traduttori rivela un approccio che oscilla tra la conservazione del sapere veicolato dai vari linguaggi e il desiderio e la curiosità di collaborare con chi si occupa di effettuare il passaggio da una lingua all’altra.
“Collaborare con i traduttori mi permette di avere una visione più ampia della costruzione dei linguaggi e mi affascina imparare queste cose che fanno parte dell’architettura delle parole. E io amo le parole.”
Durante l’incontro emerge anche l’esperienza di Zafòn come sceneggiatore e incuriosisce sapere perché i suoi libri non diventeranno mai film:
“I miei romanzi vogliono essere un’ode al libro, un omaggio alla parola scritta e poi, niente come il romanzo può raccontare una storia con la dovuta intensità”.
Infine e, tornando al labirinto narrativo costruito con la Tetralogia di Barcellona, l’autore spiega anche come sia riuscito a trovare un punto fermo che lo orientasse e conducesse alla stesura e al compimento di un progetto narrativo estremamente complesso.
“Sapevo che questa sarebbe stata una sfida tecnica importante e per spiegarla a me viene in mente la metafora dell’andare in guerra con una strategia ben definita. Solo che non sai mai dove e da che parte arriverà lo scontro. C’era un piano dettagliato ma sapevo anche che in corso d’opera avrei dovuto cambiare un sacco di cose”.
Questi non sono gli unici temi sviscerati nel corso dell’incontro stampa con Carlos Ruiz Zafòn. Le domande poste sono state tante e l’atmosfera era così piacevole e colloquiale che il tempo è fluito in un battito d’ali, più che sufficiente per imprimere una vasta gamma di emozioni e sensazioni in chi ascoltava e che si provano anche durante la lettura dei suoi libri. Insomma, la voce dell’autore e quella dello scrittore combaciano perfettamente.
Molto amata dai suoi lettori e molto seguita anche sui social, Elizabeth Strout è l’autrice del secondo incontro stampa che ho seguito grazie a Pordenone Legge 2017.
Se con Zafòn arrivavo con un minimo di preparazione, incontrare la Strout rappresentava per me l’opportunità di avere le informazioni necessarie per avere un’idea complessiva di come nasce e quali storie si snodano in Tutto è possibile, edito Einaudi. Un romanzo che riprende alcuni dei personaggi dell’opera precedente, Mi chiamo Lucy Barton. Entrambi i romanzi sono stati scritti in parallelo e rimandano al forte legame che la scrittrice ha con la vita di provincia.
“Amo la provincia perché è lì che risiedono le mie origini”.
Cosa curiosa, ricordata da una delle domande che sono state poste durante la conferenza stampa, è che Elizabeth Strout parla del suo approccio alla scrittura vista come una serie di momenti di grazia, esplosioni creative che le consentono di conoscere e raccontare i suoi personaggi. Personaggi con i quali instaura un rapporto molto stretto e, allo stesso tempo egualitario:
“Li amo tutti, indistintamente, alla stessa maniera. Non li giudico e permetto loro di pensare e fare come e quello che vogliono. Mi limito a registrare, a fare da cronista dei comportamenti e delle relazioni di questi personaggi”.
In generale, le risposte date dall’autrice si sono rivelate brevi e concise e tutte concluse da un sorriso o una risata. Una signora elegante che non ha memoria di quando ha deciso di diventare una scrittrice perché si è sempre vista in questo ruolo. Un ruolo del quale ha ben chiara la funzione sociale della letteratura:
“La letteratura è per me molto importante. Serve a sviluppare il muscolo dell’empatia in un mondo in cui di empatia ce n’è ben poca”.
A questa affermazione, con il pensiero, m’inchino.
Il raffreddore, la sicurezza acquisita nel riuscire a non perdermi per arrivare a Pordenone Legge mi ha giocato brutti scherzi in occasione del terzo incontro. Ho girato verso il centro città una rotonda un po’ più in là ritrovandomi nella zona scolastica, alla chiusura delle lezioni. Distrazione, banale distrazione e non essendomi ben chiaro il punto in cui mi trovavo, ho cercato parcheggio con l’idea di raggiungere il luogo dell’incontro a piedi. Senza usare Google Maps e chiedendo indicazioni ai ragazzi che incrociavo.
Sono riconoscente a questi giovani d’oggi, mi hanno fatto da guida permettendomi di incontrare il Premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka e conoscere meglio il suo lavoro che coniuga l’arte letteraria con l’impegno sociale per favorire la vera conoscenza e la libertà. Ragazzi menzionati all’apertura della presentazione dell’autore nigeriano ospitata a Palazzo Cossetti, sede di Crédit Agricole FriulAdria, per l’attenzione e l’interesse che dimostrano sia come volontari sia come fruitori delle opportunità culturali, di dialogo e di confronto promosse da Pordenone Legge.
Opportunità che vengono offerte anche dallo stesso Soyinka tramite un Festival culturale che organizza a Lagos, in Nigeria, per celebrare e far conoscere la cultura e la diaspora africana e che ha, tra i temi ricorrenti, quello dell’immigrazione. Fenomeno che va affrontato sia all’origine sia alla destinazione con l’intento di porre tutti i soggetti che l’hanno e lo determinano di fronte alle rispettive responsabilità e su cui si muovono in parallelo gli obiettivi del Festival di Lagos che è quello di avviare anche un’inversione di tendenza.
“Per carattere, non ho mai accettato questa separazione e per questo colgo ogni occasione per risvegliare questa sensibilità africana. Per far sì che essi ritornino al loro paese d’origine almeno con il pensiero. In passato è stato programmato, via mare, il percorso a ritroso della tratta migratoria. Potrebbe diventare un evento annuale per offrire l’opportunità di tornare, superare i traumi dello sradicamento e del distacco, per ricordare. Anzi, se avete delle barche d’avanzo, fatemelo sapere”.
Anche con Wole Soyinka torna il tema del linguaggio e i suoi usi in ambito letterario, sociale, politico e mitologico. Tutti strumenti potenti per spiegare la realtà e trovare un equilibrio nelle polarità che vivono e fluiscono, s’incontrano e si scontrano nella società umana.
“Il linguaggio è un fenomeno a due facce. Il potere dei politici, esercitato attraverso il linguaggio, ha determinato l’ascesa della demagogia. Si tratta di una retorica capace di ridurre in schiavitù ma c’è sempre qualcuno che risponde a questo tipo di linguaggio. Così nascono i dissidenti, gli artisti, gli scrittori”.
“Sono cresciuto con la mitologia, nonostante si viva in una società sovrarazionale. Il fenomeno scientifico diventa più familiare se spiegato attraverso la mitologia e si evita così lo scollamento tra il mondo reale e il mondo dell’immaginazione. Ho sviluppato un interesse particolare per il dio Ogun perché è un esempio della veridicità della contraddizione umana che è un essere sia creativo sia distruttivo”.
E fu così che, appena concluso l’incontro con Wole Soyinka ho sentito l’impulso a muovermi verso il tendone dei libri, alla ricerca del suo primo romanzo, Gli interpreti, reso di nuovo disponibile da Jaka Book perché:
“Ai personaggi di questo romanzo sono assegnati dei compiti mitologici i cui nemici non sono all’esterno ma all’interno della società descritta da risvegliare”.
Pordenone Legge 2017: Lagercrantz, Segrè e…
Ho iniziato il penultimo giorno di Pordenone Legge andando all’incontro stampa con David Lagercrantz, lo scrittore svedese che sta continuando il lavoro di Stieg Larsson con Quello che non uccide e L’uomo che inseguiva la sua ombra, editi Marsilio.
Mi aspettavo un autore serio, pensoso e meditativo come un Peter Hoeg per capirci e, invece, è entrata in scena una personalità solare ed esuberante, travolgente e estremamente interessata alla figura di Lisbeth Salander e al suo passato. Partendo dal drago tatuato sulla schiena dell’hacker che lotta contro le innumerevoli forme di violenza e razzismo della società attuale, Lagercrantz ha subito spiegato cosa lo ha portato a continuare la Millennium Trilogy.
“Quel tatuaggio di Lisbeth, quel dettaglio mi ossessionava al punto che chiedevo un po’ a tutti quale rapporto avessero con i draghi. Alla fine mi hanno consigliato di andare a visitare la cattedrale di Stoccolma (se ne avete l’occasione, vi consiglio di visitarla perché è molto bella) dove è collocato un gruppo scultoreo che rappresenta San Giorgio che uccide il drago. Guardando con più attenzione, notai una sorta di vacuità nell’espressione dell’eroe e una grandissima disperazione negli occhi del drago. Associando San Giorgio al padre e il drago alla madre, ho intuito come doveva sentirsi Lisbeth. Nella scultura c’è un terzo personaggio, la vergine da salvare che però non sembra manifestare un particolare interesse o emozione per quanto sta accadendo. Ho avuto un brivido e ho visto in lei una metafora della società che non ha soccorso le vittime di Zalachenko. Da lì ho preso lo spunto per scrivere e continuare la storia di Lisbeth”.
Durante l’incontro stampa, Lagercrantz ha spiegato anche le difficoltà iniziali di lavorare su una storia e su dei personaggi delineati da un altro autore ma, per quanto terrorizzato dall’impresa, ha continuato sul suo progetto narrativo sapendo che “ogni scrittore vorrebbe che i suoi personaggi vivessero per sempre divenendo universali” e che la prosecuzione di Millennium vuole essere un omaggio a Larsson perché “permette di creare nuovo pubblico e nuovi lettori”. Cosciente di quanto l’opera del collega scomparso sia fortemente impregnata di passione politica e attivismo sociale, Lagercrantz ha reputato doveroso riprendere gli stessi valori espressi 11 anni prima e condividerli. A questa consapevolezza si aggiunge anche l’attenzione al presente, alle moderne tecnologie e al tema delle fake news che distorcono la verità mettendo in grave difficoltà il giornalismo investigativo proprio quando il suo ruolo deve diventare fondamentale per filtrare e comprendere la società in cui viviamo.
Generoso nel rispondere, l’autore ha stimolato le domande più disparate e anch’io ne avevo una. Solo che non riuscivo a finire di prendere appunti che già stava rispondendo a un’altra curiosità e ti confesso che già mi ero un po’ rassegnata perché ormai il tempo era scaduto. Invece si sono avvicinate la responsabile editoriale per la letteratura straniera Francesca Varotto e il capo dell’ufficio stampa Ambretta Senes e con una cortesia e un’attenzione che mi ha fatto venire gli occhi a cuore, mi hanno dato l’opportunità di chiedere.
Quello che volevo sapere era se i libri menzionati in Quello che non uccide, molti associati a personaggi positivi, vogliono indicare al lettore altre possibili piste e percorsi di ricerca per capire la società in cui viviamo e i suoi pericoli. Lagercrantz ha confermato questa impressione avuta in corso di lettura sottolineando i vantaggi pratici e concreti che lettura e letteratura possono fornire alla società. Scambio banale e scontato? Forse ma, quello che è stato importante per me è che c’è stato uno scambio ulteriore tra lettore e autore reso possibile dall’intermediazione attuata dall’editore in un contesto culturale straordinario come Pordenone Legge. E questi momenti così piccoli hanno un valore inestimabile. Si capisce che già in questo attimo si concentrano 5 giorni di felicità?
Si cambia campo e tematica con Il gusto delle cose giuste, Lettera alla generazione Z di Andrea Segrè e edito Mondadori. L’autore ha parlato di stile di vita e alimentazione con l’intento di orientare il lettore nel campo della disciplina agro-economica. Leggendo la quarta di copertina, Segrè è docente universitario a Trento e Bologna, ideatore di Last Minute Market e della campagna Spreco Zero e si occupa di studiare e applicare i fondamenti dell’ecologia economica, circolare e sostenibile.
Bene, a questo incontro stampa, ho avuto non poche difficoltà per entrare nel vivo delle tematiche spiegate dall’autore mentre mi è sorto un collegamento spontaneo con Lisa Bortolotti. Avrei voluto averla accanto perché sono certa che avrebbe preso molti più appunti e aiutato a vedere le potenzialità e il valore del percorso educativo rivolto ai Millennials e al mondo del lavoro.
Ad affascinarmi è la fondazione F.I.C.O. un progetto nato per fare educazione alimentare a Bologna tramite fattorie didattiche e con l’intento di coinvolgere quanto più possibile i giovani. A livello pratico e concreto, non si tratta di teoria ma di un progetto concreto. Un parco tematico accessibile a tutti che permetta di fare esperienza diretta delle biodiversità ambientali e dei vari processi produttivi che caratterizzano le aziende agricole. L’apertura del parco è prevista per il 15 novembre e la fondazione si sta muovendo anche per organizzare visite guidate rivolte alle nuove generazioni, dalle elementari in su. Di fatto, è stato creato un nuovo mercato il cui meccanismo finanziario funziona e si regge grazie alla collaborazione tra i privati che vi hanno investito e il pubblico che porta valore all’asset.
Ok, mi serve Lisa. Lei lo spiegherebbe meglio però è stato bello uscire un attimo dalla mia zona di comfort per ascoltare qualcosa di nuovo, innovativo e proiettato verso un futuro volto a migliorare lo stile di vita partendo dalla riflessione su temi quali l’etica aziendale e il valore e la messa in pratica del dono e dello scambio.
Si torna un pochino più vicino a tematiche trattate a Pordenone Legge e nelle quali mi sento più a mio agio con l’incontro stampa con Umberto Ambrosoli e Massimo Sideri, autori del libro, edito Bompiani, Diritto all’oblio, dovere della memoria ma di questo, ne parleremo con calma domani mattina.
Torni a leggere il seguito, vero?
No Comments