Bologna l’avevo vista di sfuggita, tanti anni fa, dopo la laurea e sotto una pioggerellina sottile sottile. Non mi aveva colpito più di tanto se non per il fatto che il colore predominante di questa città è il rosso e che non ho dovuto usare l’ombrello, ricca com’é di portici.
Avrei potuto fermarmi a Ferrara, perché sarebbe stato più comodo per Lisa venirmi a prendere per portarmi a Filo di Argenta.
Ho preferito scendere a Bologna. Volevo rivederla e capire se era come l’immaginavo. Vieni a fare un giro con me, per vedere com’è andata?
Bologna: ok, prima cosa, come si raggiunge il centro?
Avrei potuto (o dovuto) intitolare questo paragrafo con un più canonico come raggiungere il centro di Bologna ma ho preferito scrivere la prima cosa che ho pensato appena sono scesa dal treno, peraltro in ritardo di 40 minuti.
Speravo di avere Anna Le Rose come guida turistica. La seguo con costanza sui social perché è uno dei miei modelli per quanto riguarda il senso dell’umorismo e lo stile di scrittura. Riesce a catturarti, Anna, a stupirti per come racconta, comunica, osserva. Purtroppo non è stato possibile e ho dovuto affrontare la mia fobia della solitudine in una grande città a me ignota.
Quindi, ok, come si raggiunge il centro di Bologna? Telefono, Google Maps e via, per la strada sbagliata. Eh, ma che cavolo! Ma chi se ne frega, il centro l’ho raggiunto lo stesso e:
- Il frastuono del traffico era talmente alto da stordirmi. Mi sono chiesta come facessero i bolognesi a dormire con una simile colonna sonora che faceva da base al frinire delle cicale.
- Non riuscivo a sentire la cadenza romagnola e, per quel poco che ho sentito, l’accento a me pareva più vicino al romano che al bolognese. Si vede che ero uditivamente starata.
- Credo sia impossibile guardare dove si mette i piedi quando Bologna ti invita a spostare lo sguardo in alto, verso gli archi dei portici o porzioni di cielo. Per questo ho rischiato di essere investita da una bicicletta, fortuna ho sentito la scampanellata d’avviso. (Bravo, orecchio. Ottimo lavoro!).
- Il Caffè Vittorio Emanuele in Piazza Maggiore è stato il primo punto di stop. Avevo fame, volevo far colazione e poi Bologna è così carica di movimento, colori e rumori che mi veniva voglia di dirle di star ferma un attimo ma, come si fa a fermare il pensiero? Appena ti volti trovi un cantiere, una schiera di sedie, un cinema all’aria aperta, la facciata incompleta di San Petronio. Su cosa concentrarsi? Come si fa a fermarsi? Cappuccino e brioche e poi in cerca di fresco negli interni del duomo.
- La canotta nei luoghi di culto non è consona e anche se non fai un’offerta libera, non potrai sfuggire alla giacchettina in tela, in stile E.R. – Medici in prima linea. Leggero ma coprente. Le spalle non saranno nude ma l’assorbimento del fresco della chiesa andrà a farsi benedire. E anche i primi soldini. Non puoi fare foto agli interni se non versi un simbolico obolo di 3 euro comprendente un braccialetto identificativo arancione. Va bene, paese che vai, usanze che trovi. Si possono non condividere mentalmente, ma vanno rispettate. Lunga vita alle contraddizioni, danno un po’ di pepe alla monotonia.
- Per salire sulla torre degli Asinelli il biglietto si fa in piazza Maggiore all’infopoint e non sul luogo da visitare. Torna indietro. Gira, gira, gira per le strade di Bologna (e se vedi la libreria Feltrinelli, resisti, perché potresti non uscirne più). Una volta ottenuto il biglietto, tornare indietro. (Ricalcolo) Gira, gira, gira ancora e poi sali, uno scalino alla volta, in cima alla torre. Si fa fatica a salire ma non è un problema, un passo dopo l’altro e si raggiunge la meta e credimi, vedere una città dall’alto è basilare per ricordarsi di guardare le cose nella giusta prospettiva. Il problema è scendere con un crampo al piede, anche questo è stato un attimo significativo per una delle mie riflessioni a lungo termine. Se non sai come si scende, tanto vale salire perché il punto non è guardare avanti o rischiare di precipitare, ma saper memorizzare il percorso e non aver paura di tornare indietro. Anche se fa male.
Questi sono i tratti salienti della mia scappatella a Bologna. Ho passeggiato per via Zamboni alla ricerca dell’Università alla quale era indirizzata la lettera di Federico II e non so se l’ho trovata. In compenso mi hanno chiesto informazioni su dove trovare la casa dello studente. Lo zaino, a quanto pare, inganna. In via Zanolini ho aspettato Lisa, che mi ha portata a Filo di Argenta, fuori dal centro città.
Filo di Argenta: riguardo ai libri consigliati e ai libri presentati
A Filo di Argenta mi è stata preparata una stanza con il letto strategicamente collocato di fronte a una libreria. A fare da comitato d’accoglienza, peluche e fiori blu su una sedia.
Torniamo un attimo ai libri. C’erano testi di cose strane sull’economia monetaria, tutti gli Harry Potter (con mio grande giubilo e gaudio) diversi libri di Sibaldi. Non ho mai letto nulla di quest’ultimo ma Lisa, seguendo il caso (forse) me ne ha mostrati due, piccoli piccoli, La disobbedienza e Eros & Agape. Volevo cominciare a leggerli ma mi sono lasciata conquistare dai padroni di casa, dal gatto Okki e dalle conversazioni che sono nate spontanee. Il tempo era poco, dovevamo ragguagliarci su tutto. Sui nostri progetti, sugli obiettivi, sull’importanza di avere dei sogni e crederci per farli diventare veri, reali, concreti e tangibili.
Solo la mattina dopo, prima di andare a Milano Marittima per il Beach And Love, ho potuto leggere qualche pagina tratta da La disobbedienza di Sibaldi. Pensavo alle parole. Per me non sono astratte, sono come i libri o le persone. Le parole sono concrete, bisogna conoscerle. Non solo per il significato che racchiudono ma proprio per l’anima che le fa diventare vive, veicolo di qualcosa di molto più profondo. La disobbedienza spiegava il significato della parola gioia. Chissà perché ma, oltre a leggerla, l’ho sentita. Mentre scrivo, aspetto con gioia che arrivi il libro, l’ho ordinato appena sono tornata a casa.
In serata, cena alla Festa dell’Unità a Filo di Argenta e presentazione, organizzata da Giralibri, dell’ultimo libro di Cristiano Cavina, Fratelli nella notte, edito Feltrinelli.
Allora, io non mi tiro indietro quando si tratta di mangiare e così ho assaggiato i garganelli con il tartufo e l’ho difeso dal volontario della festa che voleva portarmelo via senza darmi il tempo di far la scarpetta. Mi pare che quest’immagine di me, abbracciata al piatto, sia sufficiente per comunicarti il mio grado di apprezzamento per il cibo e il servizio di un paese al confine tra Ravenna e Ferrara e poco distante da Bologna.
Per quanto riguarda la presentazione del libro Fratelli nella notte, l’ho comprato. Lo leggerò e ne parlerò su questo blog. A convincermi è stato il modo in cui l’autore ha scelto l’uso della parola epica. L’ha ripetuta spesso, per far in modo che arrivasse il racconto della storia intesa non come nozione imposta dall’altro e riferita a un determinato contesto storico ma come voce che fa da tramite, per ricordare come si viveva e sentiva ai tempi dei nostri nonni, ai tempi della guerra. A conquistarmi del tutto, come lettrice, è stato quando ha parlato dell’uso delle parole per definire qualcosa che può essere identificato anche con un solo termine. Esempio:
“ Per descrivere l’amore, non va usata la parola amore ma va raccontato per permettere a chi lo prova di riconoscere il sentimento che sta e vive al suo interno”.
Come potevo non prendere (e farmi autografare) Fratelli della notte di Cristiano Cavina del quale, peraltro, avevo letto Inutile tentare di imprigionare i sogni? Titolo che sbaglio sempre perché qualcosa mi fa sostituire “Inutile tentare di” con “Vietato” imprigionare i sogni. Curiosa questa cosa, tu che ne pensi?
Da Filo di Argenta, di nuovo a Bologna, per incontrarsi con Federica Segalini la quale mi ha dato “il colpo di grazia” con un altro titolo interessante, La rivoluzione creativa della vita quotidiana di Keri Smith. Ho ordinato anche questo insieme ai libri di Sibaldi. Senza leggere non so proprio stare!
A proposito, sempre per rimanere in tema libri. A passeggiare tra le strade e i portici della città mi veniva sempre in mente un romanzo di Enrico Brizzi e pensavo: “Bologna è come Jack Frusciante è uscito dal gruppo”. Se non l’hai mai fatto e se me lo permetti, ti consiglio di leggerlo, per farti un’idea di questa città movimentata, caotica, vitale.
Concludo questo post ricordando un incontro specialissimo. Ero fuori, nel cortile del luogo dove ho soggiornato. Spesso mi guardo i piedi, assorta nei miei pensieri però qualcosa mi ha fatto alzare lo sguardo. Ho visto arrivare una civetta, è atterrata sul cornicione della casa, a pochi metri da me. Ha abbassato la testolina, mi ha guardata con i suoi occhioni gialli che vedono tutto e a fondo, ha fatto destra sinistra con il capino. Sì o no? Ferma, che ti leggo! Pareva dicesse. Nel dubbio, ha spiccato il volo.
P.S. è stato l’incontro più emozionante di tutto. Di Bologna, di Filo di Argenta, di Milano Marittima. Per questo ho preso una civetta di peluche. A parte il fatto che è molto rosa, mi serviva. Per non dimenticare che anche se ci sono momenti in cui ci si sente persi, ci sono sempre dei segni che ti fanno ritrovare la bussola.
Concordi?
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