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La prima verità di Simona Vinci: storie di folli e normali

14 Luglio 2017
La prima verità di Simona Vinci: storie di folli e normali

Lo so, ti avevo promesso che con l’estate mi sarei dedicata a letture più leggere ma La prima verità di Simona Vinci, vincitore del premio Campiello 2016 e edito Einaudi, mi aspettava da quasi un anno.

Forse perché mi faceva paura o perché è uno di quei libri che raccontano quello che non vorresti mai sentire, vedere, sapere. Appena sfogli le prime pagine, ricordano che quelle cose alle quali ti sottrai esistono e, presto o tardi, vanno affrontate.

Prometto che le prossime letture saranno veramente più leggere ma ora è il momento de La prima verità.

La prima verità di Simona Vinci: trama e percorsi di un romanzo tormentato

La prima verità, più che una storia, è un complesso di storie. Storie che ruotano attorno al tema della follia e dei manicomi. Prima della Legge Basaglia, prima di Leros, prima di quel frangente temporale in cui immagini e documentazioni sulla vita dei folli cominciassero a fuoriuscire da mura e confini innalzati da occhi e sguardi “normali”.

La narrazione di Simona Vinci comincia con la descrizione della foto di una bambina legata a un letto, per mezzo di cinghie di contenzione. La voce, lo stile di scrittura è freddo e oggettivo ma non è sufficiente per permettere al lettore di staccarsi dalla lettura quel tanto che basta per difendersi da un eccesso di coinvolgimento emotivo.

A dirla tutta, l’impatto emotivo è devastante fin dall’arrivo di Angela e di altri volontari sull’isola di Leros. L’istituto psichiatrico che devono riqualificare è un mostro di cemento dove i pazienti più che deambulare, strisciano nella loro stessa sporcizia.

Gli infermieri non svolgono mansioni specialistiche, si occupano a tener dentro i matti. Per assicurarsi lo stipendio e aver di che sfamare le famiglia che vivono fuori dalle mura, lontano dai folli. Questi ultimi, i rinchiusi, non ricevono alcun trattamento umano, anzi, hanno perso forma e dignità umana e pochi di loro la conservano ancora. Alla prima protagonista de La prima verità, sono mostri spaventosi e solo confrontando le carte del manicomio riuscirà a dar loro storie e volti.

“Il mistero l’aveva ghermita con un artiglio invisibile e adesso la teneva stretta a sé, la scaldava con il suo alito che veniva da lontano e faceva odore di carne frollata e acqua di mare.
Le parole dei pazzi sono magiche.
Le parole dei pazzi sono sempre false e sono la cosa più vera di tutte.
Se entri nelle parole di un pazzo, cerchi di seguire il suo filo logico e di capire cosa ti stia dicendo, a un certo punto ti rendi conto che ti sei perso. Adesso stai nel bel mezzo di un labirinto. Il panico cresce. Non sai più da che parte girarti, come proseguire, non riesci più a ricordare come hai fatto ad arrivare lì, sai solo che ci sei, in quel posto inaspettato in cui tutto quello che credevi di sapere e che ti dava sicurezza non esiste più”.

Pian piano, pagina dopo pagina, Angela ricompone frammenti di vite spezzate, di menti i cui meccanismi si sono inceppati. Di persone che non avevano nulla di sbagliato e che sono state dichiarate un pericolo per la società, per comodità, da amici e parenti più preoccupati a come sbarcare il lunario che interessati ad affrontare il disastro emotivo e il crollo mentale di figli, madri, sorelle.

Sul filo di queste storie si percorrono i labili confini tra normalità e pazzia. Si individuano le possibili cause dell’allontanamento di individui considerati pericolosi e nocivi. Non adattatti al contesto sociale in cui sono nati e parzialmente cresciuti perché ne destabilizzano l’immagine di facciata. Individui che assumono il volto di un poeta, di un bambino, di una donna e i suoi ruoli di moglie, sorella, figlia, madre, oggetto. Di Stefanos, di Nikolaus, di Teresa e tanti altri ancora.

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Personaggi folli che hanno tratti comuni con persone realmente esistite alle quali l’autrice si è ispirata e che provengono da luoghi diversi, fisicamente lontani. A fare da filo conduttore, storie di abusi e sofferenze. Esseri umani che paiono spaventosi perché mostrano all’esterno, con i loro atti e comportamenti, l’irrazionale che si annida all’interno e dietro il velo del razionale e che reagiscono, istintivamente, a qualcosa che vuole spezzarli, piegarli, prevaricarli. Tormenti ed emozioni negative che si vogliono nascondere perché non stanno bene con il normale, il tutto bene, l’accettabile.

“La verità è che tanta gente sta male e non ha il coraggio di dirlo. Il malessere, la sfiducia, la depressione generata dalla mancanza di lavoro e di prospettive, la disperazione sono dappertutto, stringono i carrelli della spesa sempre più vuoti e pieni di roba scadente […]
Case dove le famiglie litigano, dove i figli escono sbattendo la porta perché non ne possono più di sentir parlare solo di soldi soldi soldi, crisi, niente lavoro, paura, paura, paura, ammazzo qualcuno, ti ammazzo, mi ammazzo.
E intanto? Intanto sto male, intanto impazzisco.
In silenzio, per carità, che i vicini non sentano.
Piano, per pietà, che nessuno se ne accorga.
Finché si regge, finché si può.”

La prima verità di Simona Vinci: impressioni personali

Se fossi andata in libreria e mi fossi trovata di fronte alla copertina de La prima verità, non so se avrei trovato il coraggio di acquistarlo e leggerlo. A far pendere l’ago della bilancia verso il – sì, lo leggo! – è stato incontrare di persona l’autrice a Pordenone Legge 2016 e conoscere il percorso, durato otto anni, che ha portato alla nascita di un romanzo in cui si mescolano i generi del noir, del travel, della fiction e l’approccio che ha usato per raccontare.

“In La prima verità volevo che ci fosse tutto, compresa la traccia di tutti i generi che sono stati riportati nel mio essere lettrice” – Simona Vinci.

La prima verità è scritto per lasciare tracce profonde nel lettore. Tracce per le quali non si può fare a meno di provare, contemporaneamente, repulsione e attrazione. La prima sensazione subentra per un, credo, naturale meccanismo di difesa, di paura verso l’ignoto e l’irrazionale.

Una volta aperte le prime pagine del romanzo (e questo non vuol dire superare la paura ma accettarne l’esistenza) è impossibile smettere di leggere (attrazione).

Durante la notte sognavo i luoghi descritti e narrati. Durante il giorno le storie di Simona Vinci si mescolavano a reminiscenze provenienti dal libro di Simone Cristicchi, Centro di igiene mentale – Un cantastorie tra i matti. Quanto può sopportare un “normale”? Forse meno di quello che può sostenere un folle.

Le impressioni su entrambi i testi si formano nel momento in cui ci si rende conto di come sono disposte le parole. Sono usate con accortezza per illustrare una realtà, senza accusare o condannare. Testimoni scritti di voci e di grida mute o zittite. Gli autori, seppur in modo diverso e in base alla loro sensibilità, si sono assunti la responsabilità di documentare e rendere visibile ciò che si tende a rigettare, rinchiudere, non riconoscere.

Una responsabilità che ha scelto di affrontare una faccia della verità e a porsi delle domande scomode e dolorose ma necessarie. Al non accontentarsi di cosa si è fatto per ridare un minimo di dignità umana a chi era considerato folle, ma nel capire cosa vuol dire effettivamente normalità o, più in generale, umanità.

“Prima eravamo matti,
adesso siamo malati,
quando saremo considerati uomini?” – Centro di Igiene Mentale, Simone Cristicchi.

Alla fine de La prima verità, il lettore potrà avere l’amara consolazione di intravedere un perché di così tanto dolore. Amara perché non esiste cura per la follia, consolazione perché si avrà poi coscienza della sua esistenza e il coraggio di porsi domande, anche quando si conoscono e si temono le risposte…

Autore: Simona Vinci
Titolo: La prima verità
Casa editrice: Einaudi
Collana: Stile Libero
Pagine: 397
Anno di pubblicazione: marzo 2016
Prezzo di copertina: € 20

Autore: Simone Cristicchi
Titolo: Centro di Igiene Mentale. Un cantastorie tra i matti
Casa editrice: Oscar Mondadori
Collana: Piccola Biblioteca
Pagine: 249
Prezzo di copertina: € 9

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