Visto che il Seo & Love l’ho immaginato in chiave fantasy e ora che sono tornata nella mia piccola casetta da hobbit. Mi rendo conto che, dall’approfondimento di determinati speech e argomenti, non posso fuggire. E così (sciocca!) inizio questo percorso di rielaborazione sulle otto regole dell’ingaggio perfetto di Rudy Bandiera.
Il suo intervento mi è piaciuto molto, tuttavia alcuni dubbi sono sorti durante l’esposizione. La forma con cui certe regole sono state illustrate andavano a cozzare con il senso effettivo delle stesse oppure era solo una mia impressione? Per capire in quale delle due correnti di pensiero mi sono immersa, ho rivisto gli appunti e chiesto lumi.
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In parole povere, cos’è l’ingaggio?
Senza andare a consultare il vocabolario, l’ingaggio è un termine usato in contesto lavorativo per indicare un contratto, un accordo stipulato tra datore di lavoro e dipendente.
In un contesto digital si parla più di instaurare delle relazioni umane. Queste ultime, una volta sviluppatesi attraverso la conversazione e il confronto, possono diventare collaborazioni lavorative basate sulla fiducia e sul riconoscimento del valore e delle competenze della persona con la quale si interagisce. Da qui parte una vera e propria caccia all’oro per chi ha fatto del web la sua postazione di lavoro in quanto canale di comunicazione attraverso cui attrarre clienti e aziende mettendo a disposizione tempo, competenze, contenuti. A grandi linee è così che percepisco l’ingaggio e, per quanto riguarda il mondo online, farsi notare offrendo valore concreto, con leggerezza, è davvero un bel problema.
Per Rudy Bandiera l’ingaggio è:
“Far sì che qualcuno faccia qualcosa. È scatenare una reazione”.
E sullo scatenare una reazione, ovviando all’ammutinamento del telecomando per passare da una slide all’altra, ha illustrato le sue 8 regole dell’ingaggio perfetto con un analogico battimano:
- Rendere le cose un fatto personale
- Spiegare mentre si racconta
- Diatriba sociale e i tabù
- Cardine sociale
- La provocazione genera dibattito
- Argomenti caldi
- Argomento di massa
- Visione
Non so te ma, alla fine dello speech, mi sono chiesta:
“Tutto qui? Mi sembra un po’ poco”
Con questo non intendo dire che l’applicazione di questi consigli sia facile, tutt’altro. Solo che, a parte il fatto che mi sono ricordata che dovevo fare la revisione della macchina, gli argomenti condivisi sono stati sviluppati in modo talmente semplice da sfiorare il semplicistico. A partire dalla prima regola, rendere le cose un fatto personale.

Immagine via Facebook
Le regole dell’ingaggio di Rudy Bandiera, riviste una ad una
Prima regola: rendere le cose un fatto personale
Nel mio immaginario un professionista è tale nel momento in cui sa svolgere il suo mestiere mantenendosi su un piano oggettivo, razionale e mirato.
Quando si dichiara che per scatenare una reazione si debba rendere le cose un fatto personale, perché se no il contenuto sarebbe mera informazione e l’informazione non interessa a nessuno, la cosa mi preoccupa.
Capisco che gli obiettivi siano diversi sui social (la gente va su Facebook per cazzeggiare e divertirsi) ma ciò non toglie che chi produce contenuti non può (e non deve) spostare la sua comunicazione professionale sul piano esclusivamente personale e/o soggettivo perché il background culturale, emozionale, esperienziale è diverso da persona a persona.
A prima impressione, il discorso di Rudy Bandiera sembrava suggerire che per coinvolgere le persone bisogna immedesimarsi in esse annullando, di conseguenza, quelle caratteristiche che ci rendono unici e diversi all’interno della collettività. Eliminando quel confine sottilissimo che c’è tra il rendere le cose un fatto personale (nel senso di farle nostre immedesimandoci in esse) e il comunicare le cose in modo personale (ovvero immaginando in modo razionale l’impatto emotivo del pubblico al quale ci si rivolge). Ho esposto questo dubbio e la risposta è stata questa:
“Quando parlo di fatto personale non parlo di giudizi, ma di storie. Se faccio vedere il dietro le quinte della mia azienda o della mia officina le persone si innamoreranno delle persone che vedono e quindi, di fatto, diventerà una cosa “personale”.
Con l’intento di:
“Far sì che gli altri vivano un’esperienza attraverso la nostra”.
In questa prospettiva, il rendere le cose un fatto personale ha senso perché ci si mantiene oggettivi, distanti e allo stesso tempo soggettivi, empatici quanto basta per coinvolgere un determinato pubblico senza imporre la propria individualità.
Seconda regola: spiegare mentre si racconta
Per quanto riguarda la seconda regola su come ottenere l’ingaggio perfetto, non mi è piaciuto l’accostamento dei verbi.
La narrazione è una cosa, la spiegazione è un’altra.
Se devi spiegare mentre racconti, allora c’è qualcosa che non va nel racconto stesso. Un esempio su dove voglio andare a parare lo potresti leggere nella novella di Madonna Oretta (la prima della sesta giornata del Decameron di Boccaccio). Ho chiesto a Rudy se fosse veramente sicuro che mentre si racconta si debba anche spiegare e così mi ha risposto:
“Si, sono sicuro. Se non avessi spiegato il fatto che Tesla arriverà in Italia e che le macchine costeranno poco non sarei riuscito a passare il messaggio che il mondo sta cambiando. Spiegare non vuol dire perdersi nel farlo ma semplicemente contestualizzare quello che si sta dicendo in modo da rendere la cosa il meno interpretabile possibile”.
Salvato in corner? Probabile. 😛
Terza regola: diatriba sociale e tabù
Per quanto riguarda la terza regola dell’ingaggio perfetto, vorrei tanto potermi appuntare sul petto una stelletta al merito, per aver portato il mio interlocutore sull’orlo di perdere la pazienza. Non ci sono riuscita. Anche se l’uso del verbo “schierare” mi evoca immagini truculente sul come ingaggiare battaglia, magari in stile Braveheart e con tanto di condivisione di scontri tra forze nemiche, di arti troncati e grida di guerra. William Wallace voleva solo vivere in pace e, se non gli avessero ucciso la moglie, non si sarebbe schierato in favore della causa scozzese e non avrebbe fatto quella brutta, brutta fine. Ma forse non ci sarebbe stata neanche una storia da raccontare per far sì che subentrasse quell’ingaggio basato su fatto che:
“Tutti apparteniamo a un gruppo di persone e alle persone piace sentirsi dire cosa pensare non perché siano limitate, ma perché creiamo e solidifichiamo le opinioni in base a quelle di altri”
Comprendendo che il punto non è allinearsi al pensiero comune ma assumersi le proprie responsabilità. Perché, prima o poi:
“Ognuno deve schierarsi per sostenere quello che ritiene giusto”.
… Magari evitando di finire su una tavola di tortura e porsi nel ruolo di agnello sacrificale gridando “Libertà!”. (appunto mentale, smettere di guardare film storici. Anche se Mel Gibson è Mel Gibson!).
Quarta regola: cardine sociale
Tornando a Rudy Bandiera, dopo la parentesi Mel (e che parentesi!) non c’è nulla da dire sulla regola che suggerisce di:
“Capire quali siano i valori che vogliamo estrapolare per sviluppare quello che è un principio di empatia”.
Quinta regola: provocazione
Provocare va bene. L’importante è non cedere all’impulso di minacciare, insultare, deridere o sminuire uno o più interlocutori (eccetera) al fine di ottenere l’attenzione della collettività. Ansia! Perché bisogna per forza provocare per ingaggiare?
“Perché l’attenzione è difficile ottenerla ma difficilissimo mantenerla. La provocazione serve appunto a creare domande e un dibattito successivo”.
Qui avrei preferito ottenere qualche esempio che mi permettesse di assimilare meglio il concetto ma forse il non averne è già sufficiente per capire la provocazione così come la intende Rudy Bandiera, indurre al ragionamento e non dare niente per scontato.
Sesta e settima regola: Newsjacking e argomento di massa
Poco e nulla da obiettare sulla sesta e settima regola dedicate al Newsjacking – parlare e pubblicare tenendo i considerazione i trend del momento – e all’argomento di massa, che peraltro mi ha ricordato di fare la revisione dell’auto, come già accennato all’inizio di questo post.
Ottava regola: visione ampia del futuro
Interessante invece l’ottava e ultima regola. Un argomento decisamente complesso da trattare ma all’interno del quale ognuno ha opportunità pressoché illimitate per allenare la mente (e il proprio modo di presentarsi e comunicare) alla lungimiranza.
Nel mio piccolo ci ho provato cercando di capire cosa sarà il web tra dieci anni e, durante lo speech, mi è venuto in mente un vecchio post di Rudy intitolato Puzza di bolla nel mondo dei social network datato 19 giugno 2013. Su di esso mi sono basata per formulare l’ultima domanda sulle 8 regole dell’ingaggio perfetto. Eccola, corredata di risposta:
Sono passati 4 anni e ho il sospetto che quello che hai scritto sia stato disatteso. Sono più i professionisti o sedicenti tali sui social che le persone in linea con il profilo casalinga di Voghera? Stiamo arrivando ad una eccessiva saturazione specialistica al limite della rottura di questa bolla? Se è così, come mantenere le attività sul mondo virtuale costruendo, parallelamente, una rete fisica, reale?
“Non credo sia stato disatteso. Gli instagrammer che erano Dei fino a due anni fa, oggi sono stati deprezzati e Instagram non è più considerato la panacea di nulla. E questo è solo un esempio, un altro lo si può trovare osservando anche in quello che sta succedendo a Twitter. Penso che all’inizio di ogni nuovo percorso vi sia una fase durante la quale le persone vanno a tentoni e sperimentano con arguzia, poi quella in cui arrivano tutti e poi, infine, quella in cui rimangono in pochi. Siamo tra la due e la tre, credo”.
Sulle 8 regole dell’ingaggio perfetto di Rudy Bandiera: conclusioni
In conclusione le 8 regole dell’ingaggio perfetto, prese singolarmente, sono ottime linee guida per raggiungere gli obiettivi che ci si pone quando si creano contenuti per comunicare qualcosa, qualsiasi cosa.
Non sono però da utilizzare tutte assieme e in modo improvvisato. Rudy Bandiera l’ha specificato subito ricordando che esse sono un po’ come gli ingredienti che si usano in cucina. Se da soli piacciono a tutti, accostarne di diversi in modo sbagliato creano un piatto che genera l’effetto contrario perché invece di attrarre, allontanano. Tutto sta nel saper dosare per ottenere la reazione desiderata.
Io ho reagito allo speech scrivendo questo post ma sono curiosa di sapere cosa ne pensi tu. Me ne parli nei commenti?
Se invece ti interessa vedere gli interventi per formare (come è giusto che sia) la tua personale opinione di quanto è stato detto al Seo & Love, c’è la possibilità di vedere i video acquistando il Live Streaming messo a disposizione in questo link .
Buona visione! 🙂
Photo Credits: immagine in evdenza via Pixabay
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