Non mi sono mai sentita particolarmente attratta dai libri di Banana Yoshimoto eppure lei torna sempre, in periodi diversi della mia vita, a farsi leggere. Magari un titolo faceva capolino su uno degli scaffali della libreria di mia nonna oppure veniva raccomandato da qualche amica fidata o, in tempi recenti, appare nel Curriculum del lettore di Simonetta Pozzi o durante una chiacchierata con Social Muffin.
Qualunque sia la via, il ricordo o la situazione che associo all’autrice nipponica il mio percorso da lettrice mi conduce sempre a un qualche suo titolo e si instaura un dialogo strano, molto mentale e, solo apparentemente, emotivo. Vieni a scoprire cosa ci siamo dette (e se ci ho capito qualcosa)?
Una piccola premessa su Kitchen e L’abito di piume
Banana Yoshimoto ha esordito come scrittrice nel lontano 1987, con la pubblicazione di Kitchen e, vuoi sapere una cosa? L’ho letto e non me lo ricordo. In uno dei miei quadernetti sparsi ho solo appuntato che Moonlight Shadow è carino. Eppure non me lo ricordo così come ricordo veramente poco della trama de L’abito di piume. Un appunto mi dice che racconta dei percorsi dell’anima di donna abbandonata dal compagno ma nulla di più, se non che in certi punti mi è apparsa un po’ noiosa per le continue digressioni, tipiche di una scrittura che, tutto sommato, sfrutta molto bene e con eleganza la tecnica del flusso di coscienza messa a punto da James Joyce.
Il pregio e il difetto della Yoshimoto è questo, le sue storie hanno un’atmosfera ovattata. Sembra di vedere personaggi fatti di carta velina. Personaggi, per citare Shakespeare: – fatti della stessa sostanza dei sogni. Non a caso lo stile di scrittura di questa autrice viene definito onirico e mai termine risulta più adeguato.
Sono libri che svaniscono, non lasciano tracce visibili. Proprio come i sogni che, una volta aperti gli occhi, da vividi e colorati si fanno sbiaditi fino a scomparire del tutto. Non so se questa caratteristica mi piace o meno,ma so che, invece, i primi due libri de Il regno – Andromeda Heights e Il dolore, le ombre, la magia – mi hanno affascinato e da essi ho cercato di trarre alcuni passaggi da fissare nella memoria.
Andromeda Heights: la sottile e forte connessione tra esseri umani e piante
“Per la maggior parte delle persone le giornate iniziano e finiscono senza che accada granché, ma tutti gli elementi devono essere collegati in qualche modo se alla fine ne scaturisce una figura armoniosa, come la tela di un ragno che luccica al sole del mattino”.
Questo è uno dei pensieri che scorrono lungo le pagine di Andromeda Heights.
A parlare è Shizukuishi. Il suo nome rimanda a una varietà di cactus che il nonno coltivava. Shizukuishi è una ragazza orfana, allevata dalla nonna in una casetta isolata tra le montagne. Conosce il valore e gli effetti benefici delle piante con cui prepara the che vengono acquistati da persone provenienti da tutto il Giappone. Persone che soffrono di varie malattie, prima fra tutte il distacco dagli equilibri naturali che vengono completamente sovvertiti dalla vita frenetica delle città e della modernità in genere.
Una modernità che non tarda ad arrivare anche nei luoghi tranquilli in cui vivono le due donne e che le porta a scegliere altre strade, a dividersi. Se la nonna accoglie il cambiamento con pacata serenità, grazie alla sua esperienza esistenziale, la nipote invece soffre nel trovarsi catapultata in un mondo al quale non sente di appartenere fino a quando non incontra Kaede, un giovane sensitivo al quale farà da assistente.
Il rimando alla natura, ai suoi equilibri, agli spiriti che la regolano e la governano è costante e diventa un’unica grande metafora della vita e delle interdipendenze che si creano tra le creature viventi.
La parte più affascinante sta nel come Banana Yoshimoto descrive i cactus e la relazione che la protagonista instaura con essi. Shizukuishi vuole bene ai cactus e i cactus vogliono bene a lei, l’elemento vegetale entra in connessione con l’elemento umano. Si crea una comunicazione, a tratti surreale, molto suggestiva e sembra spiegare cosa accade quando diverse personalità entrano in contatto.
“A poco a poco capii fino a che punto i cactus, dotati com’erano di uno spirito di rara purezza, potessero far bene a chiunque aprisse loro il cuore. Le spine non servivano a ferire chi gli stava intorno: bastava chiederlo, e le punte si sarebbero arrotondate”.
Un modo molto elegante e delicato per dire che, nei rapporti umani, non bisogna mai fermarsi alla superficie.
Mi piace pensare che il cactus identifichi la persona apparentemente scorbutica e scontrosa, quella con la quale è difficile entrare in empatia perché dall’esterno non risulta particolarmente simpatica ma che, all’interno, nasconde tesori di un’umanità fatta di comprensione, amore, gentilezza e desiderio di aiutare gli altri a star meglio con sé stessi.
Le spine assumono un significato duplice; di difesa dal saccheggio e dall’uso improprio delle ricchezze che protegge e di via d’accesso a un’essenza della vita più profonda, fondata sulla capacità di fare le domande giuste per determinare una connessione sincera tra interno ed esterno.

Immagine via Instagram (@rita_fortunato)
Il dolore, le ombre, la magia: quando la perdita è solo una questione di scelta
Una volta che Shizukuishi comprende il principio e le regole della connessione fra gli esseri viventi subentra però un altro ostacolo, la separazione e l’adattamento a un ambiente a lei estraneo.
La nonna è lontana e l’unico amico che ha, Kaede, parte per un lungo viaggio e lei si trova sola immersa in un contesto urbano dal quale assorbe innumerevoli stimoli e sensazioni ma che la scaricano di ogni forza ed energia. Subentrano sentimenti di forte malinconia, di nostalgia per le montagne e le piante che era solita raccogliere per la preparazione di the rigeneranti.
Alcuni dei suoi cactus muoiono improvvisamente, prova dolore e pur capendone le origini fa fatica a decifrare e ricollocare al posto giusto gli elementi che operano in lei un profondo cambiamento. La noia si fa spazio nella sua quotidianità e la televisione diventa una forma di dipendenza della quale si vergogna. Si confida, tramite mail, con la nonna la quale le dice:
“[…] Limita il flusso di informazioni in entrata, fa’ riposare il cervello. Pensa alla tv come a una squisita tavoletta di cioccolato, e guardala a piccole dosi. Quando l’accendi, seguila con attenzione. Il destino ti ha fatto arrivare il televisore in casa, quindi è bene che tu non inizi a odiarlo. L’energia di cui abbiamo bisogno per considerare qualcosa un nemico è pari alla forza d’attrazione che quel qualcosa può esercitare su di noi. Non avercela con te stessa per la tua fragilità, non pensare che sia bastato così poco a trasformarti. Succede a tutti.”
Facile a dirsi, ma a farsi? Non è per niente semplice ma, durante la lettura de Il dolore, le ombre, la magia, è possibile.
In certi punti la voce di Shizukuishi si fa strada attraverso la mente del lettore con chiarezza, sembra quasi di vedere davanti a sé la luminosità di un sorriso sincero che racconta l’impulso degli esseri umani a sostenersi a vicenda, a ricercare quel qualcosa capace di farli stare bene non perché possiedono ma perché si sentono consci del loro posto nel mondo, e ad esso si adeguano facendo da conduttori per mille altre connessioni. Anche per le connessioni che si creano all’interno del secondo volume de Il regno vi è un inizio, uno svolgimento e una fine. Un distacco che a prima vista può sembrare definitivo, categorico ma che poi, riflettendoci sopra non è altro che un legame che ha assunto un nuovo significato e diventa motore del cambiamento.
“Ogni volta che finisce qualcosa, comincia qualcos’altro. Siamo solo noi a scegliere se vederlo o non vederlo”.
Molte sono le cose su cui riflettere mentre si leggono i libri di Banana Yoshimoto ma passano così lente e veloci che si fa fatica a interiorizzarle, a fermarle in corso di lettura. Forse è questo che ha determinato il suo successo come narratrice di storie, nel mostrare un mondo complesso con una scrittura semplice, delicata, trovando un equilibrio tra l’onirico e il concreto.
Non so se proseguirò con la lettura dei due libri successivi che compongono Il Regno ma, se dovesse capitare, è probabile che tornerei ad aprire le sue pagine per ricordare ciò che ho appreso. Nel frattempo, lasciami indugiare nel sogno ancora un po’. 😉
E tu, che ne pensi? Se non hai letto nessuno dei titoli raccolti in questo post, ti lascio a disposizione i dati e il link per acquistarli su Amazon. Fammi sapere quali dei quattro hai scelto.
Autore: Banana Yoshimoto
Titolo: Kitchen
Traduzione: Giorgio Amitrano
Casa Editrice: Feltrinelli
Collana: Universale Economica
Pagine:150
Anno di pubblicazione: novembre 2016, terza edizione
Prezzo di copertina: € 6.40
Autore: Banana Yoshimoto
Titolo: L’abito di piume
Traduzione: Alessandro Giovanni Gerevini
Casa Editrice: Feltrinelli
Collana: Universale Economica
Pagine:132
Anno di pubblicazione: novembre 2016, terza edizione
Prezzo di copertina: € 5.60
Autore: Banana Yoshimoto
Titolo: Andromeda Heights
Traduzione: Gala Maria Follaco
Casa Editrice: Feltrinelli
Collana: Universale Economica
Pagine:100
Anno di pubblicazione: gennaio 2016
Prezzo di copertina: € 5,60
Autore: Banana Yoshimoto
Titolo: Il dolore, le ombre, la magia
Traduzione: Gala Maria Follaco
Casa Editrice: Feltrinelli
Collana: Universale Economica
Pagine:109
Anno di pubblicazione: settembre 2016
Prezzo di copertina: € 6.00
P.S. Nell’immagine in evidenza non compare Kitchen perché non l’ho mai posseduto, mi era stato dato in prestito e, pur avendo dimenticato la trama, ricordo benissimo chi me lo consigliò. Che sia un esempio di connessione?
5 Comments
Io ho uno stano rapporto con la Yoshimoto. Comprai Kitchen nel lontano 2008, su consiglio di mia sorella. Accettai il suo consiglio, lei non è una gran lettrice, anche e soprattutto perché l’autrice era giapponese. Inoltre ero già fissata che volevo iscrivermi all’Orientale e il traduttore del libro è il fantastico Amitrano, ex insegnante ed ex rettore dell’università in questione. In seguito, comprai altri sui libri, stranamente in ordine di stampa italiana (non chiedermi perché: all’inizio era un caso perché li trovavo così in libreria e poi ho continuato) e sono arrivata ora a possedere 19 suoi libri: da Kitchen a Delifini ho tutti i suoi lavori. In pratica ho 10 anni di libri di quella donna. Alcuni non li ricordo proprio, erano delle vere schifezze (L’abito di piume ad esempio l’ho letto tipo l’anno scorso e boh), ma alcuni sono davvero bellissimi, solo che bisognerebbe andare a colpo sicuro sul comprare! Fortunatamente sono libri che costano poco, quindi ne approfitto quando ci sono gli sconti e voglio spendere solo 5 euro…
Non so manco come definirla. Ad esempio io trovo meraviglioso Tsugumi, l’ho riletto più volte e mi piace moltissimo, ma tutti mi dicono sempre che è un brutto libro… Boh! Un altro bello, che ho letto con piacere perché davvero sconvolgente e davvero giapponesissimo è NP… Wow. Poi alcuni sono solo una copia di una copia di una storia precedente, tipo Il coperchio del mare e Chie-chan ed io sono identici, cambia solo il posto e la parentela.
P.s. Maria Gala Follaco è la mia attuale prof di giapponese!
Caspita, che super commento, ricettedacoinquiline e quante informazioni interessantissime che mi hai dato! Mi appunto i titoli che ti sono piaciuti e ora che so che anche tu sei rimasta perplessa alla lettura de L’abito di piume, mi sento meno strana e poi, visti gli insegnanti che hai, quasi quasi mi metto a studiare giapponese assieme a te, ma credo sia una lingua un po’ difficile da imparare (già feci fatica con il latino all’università). 😛
Quando leggo questo nome ho sempre tanto da dire! Purtroppo è una scrittrice molto strana: alla fine di non ricordo quale libro lei stessa commentò con una frase del tipo “mi sento in colpa a scrivere racconti così corti perché mi sembra di truffare il lettore”. Le avrei quasi mandato una lettera per dire “e tieni ragione” ahahahah
Ma sai che la Follaco è stata alunna di Amitrano? A lezione ci racconta sempre di quando lui parlava tranquillamente di quando lui usciva con autori famosi giapponesi!!
È curiosa questa cosa in cui persone competenti narrino di persone straordinarie con semplicità, quasi banalità, non trovi? A volte certe storie sono così belle che quasi non riesci a credere che siano state vergate da esseri umani e quando entri in contatto con persone che hanno incontrato veramente gli autori che leggiamo sembra quasi irreale. Eppure si tratta sempre di persone. Probabilmente Amitrano riesce a rispettare l’autore non solo a livello lavorativo, ma anche umano. Parlare tranquillamente degli autori famosi con cui si relaziona è secondo me un bel segnale di cosa vuol dire aver cura dell’oggetto libro e di tutto quello che c’è dietro affinché passi di mano in mano, di lettore in lettore…
Esatto: significa che apprezza il suo lavoro, anzi, lo tratta più come qualcosa di bello e piacevole da fare. Infatti i suoi lavori sono tutti tradotti in maniera divina: in realtà tutti i traduttori (sono 2, fino a quelli che sono arrivata) della Yoshimoto sono stati suoi alunni!!