La settimana scorsa ho mescolato un po’ le cose scrivendo di Musica e vita: dall’ascolto di Ludovico Einaudi alla visione di Florence. Oggi invece mi concentrerò sulle domande e sulle risposte ispiratemi dal film Collateral Beauty.
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Collateral Beauty: accenni sulla trama e primo collegamento con il web
Will Smith, negli anni, si è dimostrato un attore capace e versatile e, con film come La ricerca della felicità e Sette anime, ha saputo interpretare e trasmettere emozioni fortissime, di quelle che lascia perdere il fazzoletto di carta e portati al cinema tutte le lenzuola di casa.
In Collateral Beauty non è stato diverso, vestendo questa volta i panni di Howard, un creativo carismatico e di successo che subisce un grave trauma per la perdita della figlia di appena sei anni. Non riuscendo a rielaborare il lutto se la prende con il Tempo, l’Amore e la Morte. Loro gli hanno dato e tolto la figlia e lui, per ripicca, cerca di svuotare queste allegorie di ogni significato.
Lo fa attraverso delle lettere fittizie cariche di rabbia e dolore ma, allo stesso tempo, paiono una specie di rettifica nei confronti di tutto ciò in cui aveva fermamente creduto e sul quale aveva fondato le linee guida della sua visione della Vita e del Lavoro.
“Tutto è collegato: Amore, Tempo, Morte.
Questi tre elementi connettono tutti gli esseri umani sulla terra. Desideriamo provare Amore, desideriamo trovare più Tempo e temiamo la Morte”.
Sono le prime battute del film, quando Howard è ancora propositivo, geniale, mentalmente aperto al confronto e alla condivisione di idee, emozioni, progetti ma il criceto nella mia testa ha cominciato a fare un giro contrario a quello impostato dal contenuto che ho fruito in quel giorno. C’era qualcosa che non mi tornava, era come se ci fossero state delle interferenze connettive e solo scrivendo questo post ho cercato di risolverle.
Per interferenze intendo, in primo luogo, l’uso dei termini utilizzati per parlare di Amore, Tempo e Morte. Più volte, nel corso di Collateral Beauty, esse vengono definite come cose e la percezione che si ha di esse (parlo da spettatrice) è che sono poco più che entità, fantasmi, elementi sovrannaturali. Nella mia testa dicevo:
“Ma no, non sono cose ma concetti astratti. Le cose sono qualcosa di definibile e concreto, il concetto astratto è puro pensiero. È il risultato di un ragionamento complesso volto a trovare risposta alle domande sul senso della vita. Un disperato (e antico) tentativo di mettere ordine al caos in cui ci sembra di vivere”.
Mi sembrava che ci fosse qualcosa di vagamente opinabile nel come l’essere umano interagisce con questi concetti.

immagine via Pinterest
Howard è un pubblicitario. Un pubblicitario fa una cosa apparentemente semplice, formula una domanda per generare nel pubblico di riferimento un bisogno che solo lui può e sa come soddisfare. Per questo è un creativo geniale, perché fonda il suo lavoro sfruttando paure e desideri insiti nella natura umana (desideriamo trovare amore, desideriamo trovare più tempo e temiamo la morte) solo che si mette a creare con qualcosa che va al di là della sua comprensione.
In tutto il film si è certi di ciò che si cerca, si desidera, si teme. Di sviluppi narrativi in questo senso ce n’era l’imbarazzo della scelta eppure la sua soluzione finale appare insufficiente, banale e scontata per alcuni.
Io mi sono chiesta perché Collateral Beauty è stato percepito come mancante di qualche cosa o al di sotto delle aspettative che vi erano state riposte e solo ora che scrivo mi rendo conto che forse tutto l’impianto narrativo si è concentrato sul fornire risposte quando invece la bellezza inaspettata e collaterale, la connessione con il Tutto sta in un’unica e poco formulata domanda:
“Perché desideriamo l’amore? Perché vorremmo trovare più tempo? Perché temiamo la morte?”
Howard l’aveva intuito ma la morte della figlia gli ha fatto perdere di vista l’obiettivo. Non è stato in grado di cogliere ciò che prende il titolo di Collateral Beauty. La colpa, la domanda e la risposta non sta nelle allegorie chiamate in causa ma nel modo in cui le persone si relazionano ad esse e da quale prospettiva emozionale vi si avvicinano.
Collateral Beauty: una breve conclusione
Una volta domandatami il perché, la sensazione di banalità percepita durante il film è andata a disperdersi e la bellezza collaterale e inaspettata che ho colto io non sta tanto nella storia di Howard ma in quelle veicolate dai co-protagonisti. Le scelte e i comportamenti di Whit, Simon e Claire determinano una connessione con le loro paure e i loro desideri che non sono più punti lontani da raggiungere ad ogni costo ma momenti che realizzano già nel presente, dialogando in continuazione con Amore, Morte e Tempo.
Ci sono molti momenti toccanti in Collateral Beauty e, cosa curiosa, molti ruotano attorno alla Morte e al sentimento con il quale vi si accosta.
Se penso al bambino che attende di tornare a Casa, con la sua valigia azzurra pronta in parte al letto d’ospedale, mi domando perché sentiamo il bisogno di temerla, perché siamo certi di aver sprecato il Tempo e perché non riusciamo a vedere sempre l’Amore in tutte le cose. Mi domando anche perché aspiriamo a controllarle, invece di viverle e basta.
Se non fossi andata a vedere Collateral Beauty, probabilmente non mi sarei chiesta tutto questo ma non è detto che siano gli stessi quesiti che ti saresti posto tu e per questo mi farebbe piacere leggere il tuo pensiero nei commenti. 🙂
P. S. A proposito, il prossimo film che andrò a vedere deve farmi ridere! Guardo uno dei titoli che mi sono segnata, Jackie… Qualcosa non quadra. -.-
Photo Credits: immagine in evidenza via Pixabay
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