Forse ho visto il film e ne ho eliminato il ricordo ma, di sicuro, non avevo mai letto Trainspotting di Irvine Welsh. Ho deciso di approfondire questo autore (in verità scozzese) che ho avuto la fortuna di incontrare di persona nel corso degli incontri con gli autori a #PordenoneLegge2016.
Oggi ti racconto le impressioni ricevute. Buona lettura. 🙂
Trainspotting di Irvine Wels: trama e impressioni
Fin dalle prime pagine si capisce subito che ci si trova di fronte a un romanzo scurrile, sboccato, volgare. Linguaggio che ci può stare, se si parla di drogati e ubriaconi che girano per le strade di Edimburgo, fieri del loro vivere al di là dei margini della società civile.
Rispetto a In un milione di piccoli pezzi o I ragazzi dello zoo di Berlino è difficile percepire un qualsiasi desiderio di liberarsi da una forma di dipendenza trasgressiva. Trainspotting è un vero e proprio sputo in faccia alla società civile e alla vita stessa.
“La vita è una rottura di palle, non ti dà mai un cazzo. Partiamo tutti pieni di belle speranze, che poi ci restano in canna. Ci rendiamo conto che tanto dobbiamo morire, magari senza riuscire a trovare le risposte che contano veramente. […] La vita è una delusione, e poi moriamo. Ce la riempiamo di merda, la vita: la carriera, i rapporti e roba del genere, per illuderci che magari non è del tutto inutile. L’eroina è una droga onesta, perché toglie di mezzo tutte le illusioni”.
Tutta la trama di Trainspotting è costruita così, con ragionamenti contorti e sconclusionati che vogliono apparire come una vera e propria forma di ribellione verso le contraddizioni e le difficoltà della vita quando non sono altro che lagne volte a giustificare il degrado fisico, mentale e spirituale nel quale ogni personaggio scivola.
Una discesa veloce e diretta nei meandri della miseria umana dove si rifugge dalle proprie responsabilità verso amici, parenti, società condannandole. Un continuo giocare su una serie di controsensi che ne impediscono uno svolgimento determinato da involuzione ed evoluzioni di persone, ambienti, relazioni.
Trainspotting: denuncia sociale e manipolazione etica (e filosofica)
Si denuncia la collettività e il contesto perché, così combinati, pretendono l’adattamento dell’individuo in una scala di valori e convenzioni che creano dipendenza e annullamento del singolo però quest’ultimo si muove in senso opposto cadendo in un’altra dipendenza, la droga.
Un avvelenamento reciproco che porta a un’impasse culturale irrisolvibile. Non c’è nulla e nessuno da recuperare, o si ingloba o si espelle. Alla denuncia sociale poi, si aggancia anche quella che a me appare una vera e propria manipolazione etica (e filosofica) poiché, ad un certo punto, Irvine Welsh cita Kierkegaard secondo la visione di Rent, eroinomane:
“M’interessano i suoi concetti di soggettività e di verità, e in particolare le sue idee sul concetto di scelta; l’idea che una vera scelta può derivare dal dubbio e dall’incertezza, senza ricorrere all’esperienza e ai consigli degli altri. Qualcuno potrebbe sostenere […] che si tratta di una filosofia sostanzialmente borghese, esistenzialista, che cerca quindi di ridurre l’importanza dei valori sociali. Si tratta però anche di una filosofia liberatoria perché, quando questi valori sociali vengono negati, diminuisce la possibilità di controllo sull’individuo da parte della società e…”
Ma qui mi sembra di entrare in un terreno minato, difficile da sviscerare da sola e con competenza. Per questo motivo e, colpo di scena, lascio la parola a Federico Simonetti.
Trainspotting, secondo il lettore e esperto SEO Federico Simonetti
Innanzitutto ringrazio Rita per la possibilità di scrivere sul suo blog di un tema a me così caro: ho avuto con Trainspotting un rapporto di quasi dipendenza per oltre quindici anni.
Lessi il libro nel 2001, nell’impossibilità di reperire il film mi sono rifugiato tra le pagine del “romanzo”, se così si può definire: in realtà, Trainspotting è un insieme di storie brevi, di racconti, ambientati tutti nella stessa città e, più o meno, nello stesso gruppo di amici. Qualcosa di molto simile ai “personaggi POV” di George R. R. Martin, ma molto meno medioevali.
Ecco, i personaggi e i loro punti di vista: credo sia questa la vera forza di Welsh, una che recupererà molto di rado in seguito (solo con Colla e Porno, forse).
Quello che spiazza, leggendo Trainspotting, è il fatto che questi ragazzi, questa gioventù perduta e abbandonata, continuino a pensare, talvolta con livelli di complessità e autoanalisi profonda: Welsh ha, se non altro, il merito di trattare come esseri umani quelli che un universo borghese si è sempre concentrato a trattare come rifiuti.
Ecco, il rifiuto è forse un tema ricorrente in questa narrazione: eroina, cocaina, violenza, abbandono… sono tutti più o meno sintomi di un abbandono più grande, di una sconfitta storica del collettivo sul singolo, delle reti di protezione sociale sull’individuo.
Una bella interpretazione di questo concetto è colta, a mio avviso, in maniera magistrale dal monologo Choose life preso dal film:
“Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo […] Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos’altro.”
Ma non dobbiamo mai pensare di derubricare Trainspotting al livello di un romanzo di denuncia sociale: certo, possiamo trovarci dentro una feroce critica al labourismo e al tatcherismo, alle politiche sociali e all’abbandono di pezzi di società da parte dello Stato, ma in fondo troviamo un malessere diffuso, una miseria umana e intellettuale che attanaglia tutta la realtà. La madre di Renton, il protagonista, ha perso un figlio disabile che non è mai stato accettato dalla famiglia: lei reagisce a questo trauma compensando con l’amore verso gli altri due figli e, soprattutto, facendosi di Valium. Altri ricorrono all’alcol. Rent e i suoi amici, invece, si fanno di eroina.
Trainspotting è, soprattutto, una critica anarchica e nichilista della società dei consumi: senza proporre un’alternativa valida o praticabile, nella convinzione profonda che qualunque altro sistema sarebbe inutile. In fondo, ciò che non funziona è la vita stessa.
Il buco che ci divora e ci fa deprimere, quello che ci costringe a provare rabbia e a scaricarla contro di noi con la dipendenza, l’autoannichilimento, il consumo compulsivo di oggetti… è la vita stessa: Rent cerca soltanto di coprire quell’enorme buco con l’eroina. E non si tratta della risposta a un trauma esterno o perché “papà e mamma non mi hanno voluto bene da piccolo”, no. È soltanto che lui ha visto oltre il velo dell’ipocrisia, oltre il frame ideologico che Lacan definirebbe “il simbolico” e ci ha trovato – terrificante – il volto del Reale.
Siamo noi che continuiamo a cercare di coprirlo con i nostri maxitelevisori del cazzo, il colesterolo basso, l’assicurazione sanitaria e i nostri sforzi pseudo intellettuali.
Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?
Autore: Irvine Welsh
Titolo: Trainspotting
Traduzione: Giuliana Zeuli
Casa editrice:Tea
Anno di pubblicazione: ristampa luglio 2016
Pagine: 361
Prezzo di copertina: € 9.50
3 Comments
Hai incontrato Welsh?? Ma davvero?? Vengo a vivere a POrdenone!!
Era ospite all’evento e dopo la conferenza stampa l’abbiamo pure incrociato per strada che passeggiava tranquillamente. Il bello di #PordenoneLegge è anche questo, un vero e proprio incontro tra lettori e autori. 😊
Troppo bello!!