pausa racconto Scrittura creativa

Pausa racconto: storia di Filippetti, De Impicciotti e di un draghetto

3 Novembre 2016
Pausa racconto: storia di Filippetti, De Impicciotti e di un draghetto

Recita la terza traccia degli esercizi carveriani:

“Scrivete un racconto in cui la riservatezza di qualcuno viene violata”

Difficile, molto difficile.

Non sapevo proprio cosa inventarmi e così, per vedere cosa succedeva, ho messo vicino tre personaggi un po’ curiosi: Filippetti, De Impicciotti e un draghetto.

Storia di Filippetti, De Impicciotti e di un draghetto

Tamburino Filippetti, così si faceva chiamare, si alzava all’alba di mezzogiorno, indossava una blusa blu e un panciotto giallo, pantaloni a coste marroni e un paio di scarpe scalcagnate con un buco sulla punta dell’alluce.

Ogni mattina si caricava una sedia sulla schiena e si sedeva nella piazza del paese, a osservare i passanti. Qualche volta si trovava nel mezzo di qualche gruppetto, fermo ad aspettare come lui qualcosa che valesse la pena di essere narrata e, se ci si trovava bene, chiacchierava del più e del meno oppure inventava storie strampalate. Così, per il puro piacere di farlo. Un buon uomo, il signor Tamburino Filippetti.

“Oh, buongiorno signora Tuffetti! Come sta?”

“Buongiorno, signor Filippetti. Molto bene, grazie. E voi? Come state? A casa, tutto bene?”

“Tutto bene, grazie! A proposito, ho seguito il suo consiglio di togliere le tende in casa e Alvise, il mio draghetto di compagnia, ha smesso di bruciarle ma, poverello, ogni tanto devo lasciare che si sfoghi un po’. Non può tenersi tutto il fuoco dentro e così ho avuto un’idea!”

“Ah, che tipo di idea?”

“Semplice! Prima di uscire di casa appendo alle finestre della cucina cibi pronti, carne e verdure e in quella del salotto spezie ed erbe aromatiche varie. Se non è tanto arrabbiato dà una fiammata in cucina e io mi assicuro la cena se, invece, è veramente furioso, ha imparato ad andare in salotto…”

La signora Tuffetti allungò il collo e protese l’orecchio (era un po’ sorda) e domandò:

“perché in salotto?”

“Eh, perché in salotto ho appeso, come le raccontavo, fasci di erbe dalle diverse qualità. Alcune, una volta bruciate, rilasciano un profumo che, ho scoperto, hanno su di lui un effetto molto rilassante”.

“Ah, ma com’è fantasioso sig. Filippetti! Ottima idea!”

“Già, peccato però che ultimamente sia spesso più furioso che irritato. La mia casa odora di fumo ma, poffarbacco, di arrosti è un po’ che non ne vedo!” rispose Tamburino, accigliandosi.

“E se mescola ai fasci di spezie qualche verdurina e/o delle bistecche?” domandò allora la signora Tuffetti la quale, da brava cuoca, era interessata a sciogliere il dilemma al quale erano giunti.

Il matto del paese si guardò la punta delle scarpe, fece roteare l’alluce scoperto, infilò le mani nel panciotto e il suo viso si aprì in un largo sorriso:

“Sarebbe proprio un gran finale!”

“Glielo auguro, mi faccia sapere com’è andata. Alla prossima” disse la signora Tuffetti, chinando la testa in segno di apprezzamento prima di procedere per la sua strada.

Filippetti era proprio contento. Gli piaceva proprio starsene in piazza, incontrava spesso un sacco di gente interessante e nessuno si soffermava poi troppo sulla sua blusa blu, il panciotto giallo e le scarpe scalcagnate. Sembrava che andasse bene così com’era e si sentiva piacevolmente matto in un mondo di matti.

Non si accorse però che la normalità si stava affacciando da dietro la tendina di una finestrella alla quale la signora Ida De Impicciotti spesso si accostava.

storia di Filippetti, De Impicciotti e di un draghetto

immagine via Pixabay

Filippetti e la De Impicciotti si conoscevano bene eppure, quest’ultima, aveva ormai preso l’abitudine di studiare il profilo di Tamburino, intento a girarsi di qua e di là, per salutare o chiacchierare con persone vere o amici immaginari. Se qualcosa non le tornava, verificava con discrezione e, quando sentì parlare di Alvise capì che c’era qualcosa che non quadrava.

“Non esistono i draghi e poi, che idea balzana quella di appendere bistecche e fasci d’erba alle finestre, ma voglio controllare. Vado a chieder lumi al signor Grifigno, il vicino di Tamburino” pensò la De Impicciotti, infilandosi cappello e cappotto, pronta per uscire.

A dispetto del nome, Grifigno era persona cordiale ma preferiva starsene a casetta e accudire il suo orticello. Stava giusto valutando se piantare qualche albero da frutto ai confini della sua tenuta quando vide arrivare la signora Ida, a passo svelto e deciso.

“Buon pomeriggio, signor Grifigno!” esclamò allegra la signora Ida “Ha per caso visto il signor Filippetti, ultimamente?”

“Ah, sì! L’ho visto uscire poco prima di pranzo, perché?”

“Ah, bene bene. A proposito, ho saputo che di recente ha preso un animaletto da compagnia. Le risulta?”

“Beh, sì, un bel draghetto. Di quelli che rimangono piccoli, sa?”

“Ma come? Ha adottato un draghetto e lei non mi ha detto nulla? Non ci credo, sono animali che non esistono!” balbettò la signora De Impicciotti.

“Ma sì, ma sì. Gli ha dato un nome stranissimo. Alvise, mi pare”.

“Ah, grazie mille per l’informazione, signor Grifigno. Va bene, allora continuo con la mia passeggiata. Sa, ultimamente faccio fatica a digerire.”

“Oh, mi dispiace. La passeggiata le farà sicuramente bene!” disse Grifigno, un po’ perplesso da quello strano comportamento.

Ida superò lesta la casa di Grifigno e raggiunse quella di Tamburino. Si guardò le spalle e, accertatasi di non esser vista, si introdusse nella proprietà di Filippetti.

“Uh, guarda qua quante erbacce!” brontolò l’intrusa “se non se ne stesse sempre in piazza avrebbe il tempo di curare un po’ di più questo giardino. Grifigno non me la racconta giusta, voglio vedere con i miei occhi questo fantomatico draghetto!”

Girò intorno alla casa ma le persiane erano chiuse e non riusciva a vedere all’interno. Sostò un attimo sull’ingresso e si accorse che una mattonella del porticato era leggermente rialzata rispetto alle altre. La tastò con il piede, si muoveva.

“Vuoi vedere che qui c’è la chiave per entrare?” si domandò, meditabonda

“Bingo!” esclamò subito dopo.

Sotto la mattonella, in effetti, c’era la chiave e con quella, entrò.

Dentro era buio pesto e nell’aria si mescolavano odori contrastanti. Ida non riusciva a vedere niente e, mentre cercava l’interruttore della luce, sentì come un tonfo provenire da quello che, in base all’ultima volta che era stata ospite da Filippetti, doveva essere il salotto. Qualcosa si stava avvicinando a lei, ne sentiva distintamente il passo. Trovò l’interruttore e accese la luce.

Alvise era giusto di fronte a lei e la guardava, curioso. Era un bell’esemplare di drago. Non più grande di un cane di mezza taglia ma proporzionato. Artigli neri, lucidi. Squame grigie con riflessi bluastri e occhi color ambra. Ida era impietrita. Non osava nemmeno respirare, doveva uscire. Voleva uscire, ma non riusciva a muoversi.

Alvise inclinò la testa e si avvicinò, adagio, alle caviglie dell’intrusa e cominciò ad annusarla. Le parve innocua e così cominciò a strofinarglisi addosso, come un gatto.

La donna si intenerì e, accucciatasi, cominciò a fargli le coccole:

“Eh, ma che draghetto coccolone che sei! Piacere di conoscerti, Alvise caro!” tubò Ida, rasserenatasi di colpo.

Ad un certo punto l’attenzione di Alvise si concentrò sulla piuma del cappello della De Impicciotti la quale, se ne accorse:

“Cosa c’è, draghetto bello? Ti piace la piuma del mio cappello?”

Si tolse il copricapo e lo avvicinò al naso del cucciolo.
La piuma gli solleticò una narice, stava per starnutire.
E starnutì.
Rilasciando una lieve fiammata.
Sui capelli di Ida.

You Might Also Like

2 Comments

Leave a Reply

error: Content is protected !!
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: