Questo martedì si torna, come da tradizione, con una Lettera allo scrittore per l’iniziativa de Il mondo di Athena però, per la prima volta non so bene a chi rivolgere la mia missiva e solo nella tarda serata di ieri ho pensato di azzardare un po’ scrivendo qualche parola a Nathaniel Hawthorne.
“Quando la giovane donna, madre di questa bimba, apparve dinanzi alla folla, il suo primo impulso fu di stringersi più forte al petto la sua creatura, e ciò non tanto per affetto materno, quanto per cercar di nascondere un segno ricamato o cucito al suo corsetto. Ma dopo un momento, pensando che un segno della sua vergogna non poteva riuscire a nascondere l’altro, sollevò in alto la bambina e, accesa in viso, ma con un sorriso di sfida e uno sguardo diritto, girò gli occhi sui suoi concittadini. Sul corsetto apparve la lettera A, ritagliata in una bella stoffa rossa e circondata da ricchi e bizzarri ricami d’oro; il lavoro era così accurato e denotava un tale sfoggio di fantasia che poteva venire scambiato per un ornamento del vestito, ed era di tale eleganza, rispetto al gusto dell’epoca, che difficilmente le rigorose leggi della colonia avrebbero tollerato di più”.
Caro Nathaniel,
ti riconosci in questo passo? L’ho carpito dal tuo libro di maggior successo e che tu scrivesti in appena quattro mesi. Come hai fatto? Sarebbe bello avere la tua risposta direttamente dalla tua penna ma, ormai è da tanto tempo che non sei più su questa terra, se non attraverso i tuoi romanzi.
Sono passati tanti anni da quando ho letto questa tua opera. Ho dimenticato parte della trama ma mi è rimasto il ricordo di una sensazione contrastante che oscilla tra la forza e il coraggio del femminile nel sopportare il peso dell’amore illegittimo e la rabbia invidiosa della comunità che non riesce a schiacciare l’animo, il sentimento di Hester Prynne. Sai, quando penso al tuo romanzo e a come hai delineato la psicologia della protagonista cado nell’errore, nella strana e stupida convinzione che tu stesso fosti donna…
C’è qualcosa di femminile, di aggraziato nel tuo modo di scrivere e di narrare. O forse anche tu, come molti scrittori, sei stato così immerso nel raccontare La lettera scarlatta da diventare tu stesso la fragile e forte Hester? E niente, per te ho solo un’unica, stupida domanda: come hai fatto a costruire una figura femminile così dettagliata e verosimile in così poco tempo? Come hai fatto a sentire, così forte e chiaro, la voce dell’animo appassionato di Hester? Come hai fatto a rendere così tossico (e attuale) il pregiudizio, il disprezzo di una comunità rispettosa dei propri valori sociali e, allo stesso tempo così bigotta? Come hai fatto a narrare tutto questo con uno stile leggero, scorrevole e un linguaggio, in fin dei conti, semplicissimo? In quattro mesi? Come hai fatto?
E poi, pensasti davvero che le tue opere fossero opera di un demone interiore che smaniava per emergere attraverso l’inchiostro? Questo mi sono chiesta quando ho letto Il diavolo del manoscritto, il racconto inserito in una raccolta a te dedicata e intitolata Frammenti del diario di un uomo solitario.
Tu parlasti di demoni, i tuoi personaggi parlano di demoni e questo un po’ mi dispiace. Avevi un dono e l’hai colto ma poi ho l’impressione che tu ne parli come se fosse una sorta di tormento dal quale non sei mai riuscito a liberarti. Ecco, forse qui, mentre ti scrivo ho altre domande rivolte a te, Nathaniel.
Se tu non avessi dato voce ai tuoi demoni scrivendo, avresti avuto la vita regolare, onorata e rispettabile che hai vissuto? Saresti poi ritornato a casa? Domande delle quali ho però trovato risposta in un altro passo tratto dal tuo racconto, Il mio ritorno a casa:
“Credo che il mondo sia migliore di quanto tu pensassi un tempo, apprezzo con più generosità i valori e ho più compassione degli errori. Ho una più alta stima della felicità contenuta nel presente e delle brillanti speranze tracciate dal destino. Nella mia mente sono germogliati nuovi fiori, come succede nell’estate indiana. L’inverno non ne distruggerà la bellezza, perché sono rinfrescati dalle brezze e dalla pioggia che soffia e cade nei giardini del Paradiso”.
Ho iniziato la lettera a te, Nathaniel, con delle tue parole e sempre con le tue parole la concludo. Perché per me è più facile così. Perché, tutto sommato, non c’è molto d’aggiungere. Posso solo dirti grazie, per essere esistito.
Una lettrice
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