Eccoci alla seconda parte della mia riflessione sulle scelte comunicative adottate sui Social Network, Facebook in primis.
Se la scorsa settimana ho preferito fare una carrellata dei contenuti che hanno stimolato in me una riflessione sulla comunicazione in generale, questa volta preferisco concentrarmi su un tema specifico e su come vengono interpretati determinati messaggi dopo la visione di un nuovo spot pubblicitario.
Mi piacciono le pubblicità. Sono microstorie che ruotano attorno a un prodotto e sono strutturate in modo tale da generare nel probabile consumatore un bisogno e l’idea che per mezzo di un qualsiasi prodotto si possa vivere un’emozione unica e irripetibile.
Ideare, pensare e creare uno spot pubblicitario che dica tutto nello spazio di pochi secondi non è cosa da poco. Soprattutto se l’obiettivo finale è di spiazzare e attirare l’attenzione convincendo il pubblico a volere, desiderare il bene di consumo promosso.
In queste settimane sono andati online i nuovi spot pubblicitari di H&M, Original Marines e Kenzo, con tanto di applausi e critiche di chi si è formato per leggere i messaggi che traspaiono da questi modelli di comunicazione.
Due su tre mi sono piaciuti, uno invece non mi ha convinta. Questo ha generato un confronto tra blogger. Ho un buon rapporto con i blogger (o meglio le blogger) che ho conosciuto sul web ma, per la prima volta, mi sono trovata in disaccordo con la grintosa e diretta Monia Taglienti e con la dolce e poliedrica Sara Daniele. Gli spot della discordia (si fa per dire) sono stati soprattutto quello di H&M e quello di Kenzo.
Andiamo per ordine e confrontiamo i nostri punti di vista perché è così che si fa nella comunicazione fatta come si deve, no?
La comunicazione nello spot H&M, perché a me è piaciuto mentre a Monia Taglienti no
Quando ho visto lo spot di H&M mi sono divertita. È energia allo stato puro e il vestiario ben si adatta al contesto cittadino e alla vivacità che contraddistingue i bambini in genere.
Secondo Monia, invece, il messaggio che emerge è di attribuzione impropria di atteggiamenti tipici del mondo degli adulti. Certo, la mimica facciale dei ragazzi esprime, in certi passaggi, un’aggressività a tratti inquietante (penso all’occhio e all’inquadratura della ragazzina dai capelli ricci) ma è anche da dire che la personalità dei bambini si forma e delinea anche e soprattutto per imitazione del mondo adulto.
La percezione/il messaggio segnalato da Monia che vede i protagonisti dello spot di H&M come costretti ad assumere atteggiamenti contrari alla loro natura non mi è arrivata.
Stanno ballando e la coreografia è un modo per incanalare la loro stessa energia che, in circostanze normali, potrebbe sfogarsi in morsi, prese in giro e dispetti di ogni sorta. I bambini sono per natura egocentrici e non sempre sono lo specchio di quella innocenza perduta che ispira il mondo dei grandi. A volte sanno essere prepotenti e anche un po’ perfidi.
E poi, il bambino che interpreta il ruolo del DJ è troppo figo. Nel complesso, la microstoria mi ispira voglia di mettersi in gioco e grinta. Se non hai visto il video, eccolo qui:
Al contrario, Monia ha apprezzato molto di più lo spot, sempre strutturato per promuovere l’abbigliamento per bambini, di Original Marines. Per il semplice motivo che è così che se li immagina. Giocoso, sognante e familiare.
A me, invece, è parso un pochino insipido. Bello, ma insipido. Original Marines punta sul sicuro offrendo al pubblico un’immagine rassicurante dell’infanzia dove le giornate trascorrono tra sogni, risate e giochi in cui tutto è lindo, pinto e profumato. Nessun salto nelle pozze di fango né birichinate degne di nota. E com’è possibile che i vestiti dalle tonalità chiare non si sporchino rotolandosi nell’erba? Molto bello, ma forse è un pochino stereotipato. Questo non vuol dire che non sia un bello spot, cambia il contesto che da cittadino diventa più campagnolo e il messaggio che arriva sta nel valore che dà alle piccole cose, caricando sul lato buono del mondo infantile.
Chissà, forse lo spot ideale è la combinazione dei primi due. Forse, chissà…
Lo comunicazione nello spot di Kenzo: il confronto tra blogger si fa un po’ più serio
Bene o male, il mio disaccordo con Monia per quanto riguarda H&M e Original Marines è relativo. Il gusto è soggettivo e non è che bisogna avere un’opinione condivisa su tutto.
Se no la comunicazione morbida spiegata da Francesca Sollo e sulla quale ho costruito il post riflessione di lunedì scorso non avrebbe senso, non sarebbe completa. Né valida, né professionale.
Con lo spot di Kenzo il confronto è stato un po’ più serio perché è uno di quegli spot che o piacciono o non piacciono. Insomma, non vi è una mezza misura e molti l’hanno definito un capolavoro.
A me non è piaciuto. Non ho pensato nemmeno un momento al profumo. Ho visto solo una bellissima donna che dà di matto per tutto l’edificio, in una varietà di espressioni, posture e passi di danza che dicono molto sull’incredibile preparazione tecnica e artistica di Margaret Quelley, figlia d’arte di Andy Mc Dowell. Quando si ricongiunge all’occhio non ho provato il desiderio di comprare il profumo. Anzi, mi sono appuntata di evitare assolutamente. Non ho sentito il bisogno di “liberare la mia anima”, guardandolo.
Diverso il parere di Monia e Sara Daniele, che condivido qui con te:
“Il prodotto di questo spot non è tangibile. Il profumo, da sempre, è una nota al nostro essere, ci identifica e ci colloca in una scala sociale.
Lo spot di Kenzo World descrive un individuo che esce dalla routine e si apre al suo vero essere; per di più, nel finale la donna Kenzo World, si unisce con l’occhio, l’elemento distintivo della collezione, come a voler intendere che è tornata alla sua anima, che ora è libera dalle costrizioni sociali e imposte di un fare che non le apparteneva.
Il riscatto di tutte le donne è servito in un pay off che descrive la liberazione dalla bellezza oggettiva e traghetta verso la rivoluzione dell’essere.
“Una pubblicità deve attirarti, per farti memorizzare il prodotto nell’immediato. Io, ad esempio, quando vedrò il profumo di Kenzo con l’occhio dove lei si lancia me lo ricorderò grazie a tutta quella danza quasi tribale.
Lo spot, anche se lungo, mi permette di associare indiscutibilmente il profumo con l’occhio a Kenzo al quale, fino ad oggi, legavo solo il classico fiore rosso.
In profumeria non l’avrei neanche guardato, sarebbe passato in secondo piano in mezzo agli altri prodotti. Poi, ovvio che ognuno ne trarrà sensazioni diverse”.
Esce fuori dagli schemi? Certo che sì!
È strutturato da professionisti della comunicazione coi fiocchi e i controfiocchi? Senza dubbio.
Mi è piaciuto? No. Ad un certo punto ho anche pensato quanto tempo ci volesse per arrivare alla conclusione, al succo del discorso. Preferisco lo spezzone al quale lo spot Kenzo è ispirato trovandolo più lineare ed elegante e meno schizzato e sincopato della versione rielaborata in chiave marketing.
Tuttavia c’è un però. Lo spot di Kenzo, tramite il confronto con Sara e Monia forse non mi ha fatto cambiare parere ma ha acquisito senso. Insomma, ne ho capito gli intenti comunicativi pur non avendoli percepiti di primo impatto. E ne sono uscita arricchita, pur rimanendo della mia opinione.
E tu, qual è il tuo parere su questi tre spot?
P.S. A proposito, c’è un libro di Isabella Pezzini, consigliatomi da Monia che, dopo questa piccola analisi, devo leggere quanto prima ovvero: Trailer, spot, clip, siti e banner. Le forme brevi della comunicazione audiovisiva. Lo leggiamo insieme?
1 Comment
Provo a dare un mio parere sullo spot di Kenzo, con una premessa: non sono per niente in target. Cioè, forse lo sarei per età e genere attribuitomi, ma non ho mai acquistato profumi in vita mia e in generale non acquisto capi di moda dei grossi brand. Questo mi rende ancor più anestetizzata davanti agli spot dei profumi, che in genere reputo noiosi, tutti uguali e, talvolta, un po’ ridicoli.
In questo caso invece, il brand mi si è tatuato nel cervello: probabilmente non comprerò il profumo, ma ricorderò il nome del marchio che ha scelto di realizzare uno spot fuori dagli schemi (fuori dagli schemi, naturalmente, per quanto riguarda la pubblicità. Io, essendo molto appassionata di danza contemporanea e di cinema, ho molta familiarità con questo tipo di linguaggio e ho molto apprezzato).
Ecco, se voleva attirare l’attenzione di chi di solito non viene agganciato… con me ha funzionato 🙂